Un dono a …noi stessi 2


Foto di Kohji Asakawa da Pixabay

            Il perdonare (dicevamo nella precedente riflessione) è in realtà una scelta che, proprio in quanto tale, implica una rinuncia, e dunque quando crediamo di essere sicuri che perdonare sia impossibile, forse inconsapevolmente stiamo opponendo resistenza ad accettare quell’inevitabile rinuncia legata al perdono che intravediamo confusamente e temiamo.

Proviamo a chiarirci. A cosa rinuncio se scelgo di perdonare? E se mi trovassi nella condizione di scegliere di perdonar-mi?

 

Per andare dritti al punto, chi perdona, in qualsiasi caso, decide di accettare la situazione di fatto anche se dolorosa o ingiusta accettando conseguentemente anche la propria impossibilità/incapacità a modificarla.

È questo che in tante situazioni ci ferisce più dell’offesa o del tradimento subìto. L’accettazione di un dato di fatto richiede una grande energia e una volontà ferma determinata ad agire per il nostro “vero” bene-essere, liberi cioè dalla naturale propensione a puntualizzare, o addirittura ad elaborare una qualche forma di restituzione vendicativa del torto. È più facile, certo, rimanere nella condizione di vittima dentro quella rabbia tutta convogliata contro la persona o le persone che ci hanno procurato dolore e il tutto si complica e molto quando quel qualcuno che ci ha inferto una ferita, pur senza lucida intenzione, magari solo per superficialità,qu el qualcuno…siamo noi.

Oserei affermare che le ferite più profonde nella vita sono quelle che ci infliggiamo da soli, sono quelle a cui ripensiamo con animo ansioso e turbato, che restano ignare e intatte del tempo, sempre pungenti e penetranti, a rimarcare il segno evidente che non abbiamo scelto di perdonar-ci. Più che l’azione in sé (o la mancata iniziativa) ci fa star male l’aver commesso noi un errore che sciupa e compromette l’immagine di noi stessi che con fatica andiamo costruendo. Si tratta di un’immagine che probabilmente non corrisponde a verità né per i suoi punti di forza, né per le fragilità, ma è quella su cui possiamo fondare la nostra autostima e sappiamo bene che compromettere l’autostima non ha mai avuto risvolti desiderabili.

Nella misura in cui diventiamo capaci di accettare un nostro limite, saremo in grado di accettare il limite dell’altro e saremo pronti a volgere lo sguardo ad un orizzonte più ampio, al superamento del contingente, per riconquistare l’amicizia verso noi stessi e verso l’altro, per recuperare in pieno il valore del perdono. 

L’effetto che segue il perdono è comunque soluzione, una sorta di guarigione della propria anima ferita, sensazione di benessere riconquistato, è il dono che possiamo farci.

Il perdono ha questa capacità terapeutica, ci libera dalle zavorre che ci portiamo dietro da una vita intera. E’ possibile perdonare anche quando le persone che ci hanno ferito non appartengono più a questo mondo? Noi siamo attori, registi e scenografi dei nostri film. Con la visualizzazione possiamo spostare il nostro orologio avanti nel futuro, ma anche indietro, nel passato, per recuperare risorse ed esperienze dimenticate.

Da tempo la scienza ha dimostrato con i fatti che il nostro cervello non riconosce la differenza tra l’immaginazione e la realtà. La maggior parte delle volte però, usiamo questa grande “libertà” come una grande “schiavitù” e così le catene ci legano al rancore, alla rabbia, alla solitudine.

Nella scena, tratta dal film  “Una bugia di troppo”, l’albero di Jack rinasce, così come la sua vita: è un uomo diverso.

Questo è quello che accade con il il perdono, si rinasce. Si respira con più gioia e più amore. A volte il percorso è lungo, non si finisce mai.

(Virginio De Maio,in https://www.ilcinemainsegna.it/video/3-parole-che-ti-liberano/)

La Dottoressa  Grazia Aloi scrive:

Chi è ferito, per qualsiasi motivo, prova dolore, proprio perché si è feriti solo se ci sono di mezzo i sentimenti, altrimenti si proverebbe solamente rabbia per lo schiaffo all'autostima e prima o poi la rabbia svanirebbe o si trasformerebbe in astio; il Dolore no, il dolore della ferita affettiva non passa finché non ci sarà una sua risoluzione; risoluzione che è sì aiutata dal trascorrere del tempo ma non del tutto perché occorre un atto trasformativo decisivo e non lasciato al passare del tempo.

Il trascorrere del tempo mitiga il ricordo e lenisce la sofferenza, come un balsamo, una pomata lenitiva, ma è 'sintomatica', non toglie la causa. "Pensa a te stesso, cerca di dimenticare" sono soluzioni consolatorie ma non risolutive.

https://www.paginemediche.it/medici-online/interviste/cosa-significa-perdonare

           Al counselor spetta il compito di sedimentare e agire queste preziose abilità per aiutar-si e poter aiutare la persona che le/gli si affida a leggere, a vedere quanta potenzialità attiva origina dall’atto di perdonare o perdonar-si, quale profondo e durevole stato di bene-essere, tutt’altro che un gesto di debolezza o sconfitta.

Cordialissimamente

Giancarla Mandozzi

 

 

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