Un dono a …noi stessi


Foto di Rob van der Meijden da Pixabay

           È il dono più autentico, di grande efficacia nell’immediato e persistente nella nostra memoria come risorsa inesauribile, fulcro da cui attingere energia, eppure lo concediamo con estrema parsimonia all’altro e a noi stessi: è il perdono.

Perdonare l’altro, gli altri, il mondo, noi stessi resta in noi scelta rara, frequentemente accompagnata da atteggiamento che conserva una qualche rigidità, un distacco, una sorta di latente pervicace censura, un giudizio che, soltanto sopito, riappare e si concretizza per una minima incomprensione e prontamente sminuisce, addirittura nega il perdono che avevamo dato (all’altro o a noi stessi), poco dopo averlo concesso riaprendo vecchie ferite interiori, antiche giustificazioni.

 

           Irrilevante l’entità e persino la gravità di ciò che ci disturba, che si interpone tra i nostri progetti di vita, ci impaccia, ci contraddice; irrilevante chi sia –a nostro giudizio- responsabile del nostro fastidio o del nostro dolore, che abbia ragionevolmente agito per il nostro bene o sia a noi ostile, mosso da rivalsa o sfida; irrilevante che sia l’altro a chiedere di essere perdonato o che l’idea del perdono si sia aggrumata, chissà perché e come, nella nostra mente e noi la stiamo tenacemente rifiutando; irrilevante infine che nella nostra vita crediamo che mai nessuno ci abbia veramente perdonato, o, se è talvolta accaduto, è soltanto perché noi, il perdono, lo abbiamo meritato.

           Eccola la parola chiave: merito. Il perdono va meritato e l’altro, gli altri quasi mai lo meritano ai nostri occhi, a volte persino noi ci sentiamo non meritevoli. Evitiamo, in nome di questa discriminante, di chiederci a chi spetta valutare se e quanto merito è stato acquisito da noi stessi o dall’altro, percepiamo che solo a noi spetta decidere e valutare. Talvolta neppure il trascorrere del tempo risolve il nostro subbuglio interiore e mentre la nostra inquietudine è dimostrazione palese che l’atto del perdonare è possibile, proprio in ragione della nostra convinzione che spetta a noi decidere, in contraddizione con noi stessi ci ripetiamo che non abbiamo scelta.

Stabilire il merito nostro o dell’altro è certamente realtà complessa, pur sottesa, e fortemente condizionante oltre il momento presente. E dunque, come il counseling insegna, proviamo a vedere la situazione da altra prospettiva.

Se dare il perdono fosse autentico atto per noi stessi di libertà? In primis, certamente libertà da noi stessi, dal nostro copione di vita che come una corazza allo scopo di  proteggerci, ci chiude dentro schemi che non siamo più in grado di infrangere? È il copione di vita che abbiamo inconsapevolmente cominciato a costruire fin da bambini e che è strutturato con insegnamenti, ingiunzioni e controingiunzioni, quelle stesse norme da cui ci proviene quell’ingombrante spinta a dover meritare qualunque cosa, un premio, una coccola, un sorriso, il perdono.

Proviamo a sostituire il devo con un posso e scopriremo di essere nella condizione di trovare il modo e il coraggio noi di meritarci il perdono e se è l’altro ad attenderlo da noi, forse anche nell’altro possiamo leggere elementi meritevoli.

Continuiamo a spostare angolazione sull’atto del perdonare: il perdonare che ci appare impossibile, è in realtà una scelta, e  poiché ogni scelta implica una rinuncia, forse inconsapevolmente opponiamo resistenza e ci diciamo che non c’è scelta, che è impossibile perdonare, per evitare che seguendo una scelta inevitabilmente si rinuncia a qualcos’altro.

A cosa rinuncio se scelgo di perdonare? E se scelgo di perdonar-mi?

Rimandiamo alla prossima riflessione.

 

Cordialissimamente

Giancarla Mandozzi

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