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Perché mai metterci o ri-metterci in gioco risulta così difficile, da indurci a creare alibi?

Quando ci sentiamo capaci di fare meglio, non ci manca la voglia di agire e neppure l’entusiasmo a provare con energia più e più volte, ma quando ci troviamo di fronte a un evento che non avevamo previsto, ad un dato di fatto legato ad un nostro errore, in noi scatta come d’impulso la resistenza ad accettarlo; che occorra ritentare,  provare una diversa strategia poiché abbiamo commesso uno o più errori, non avvertendo in noi capacità rassicuranti, ci destabilizza e quasi ci sentiamo inadeguati al compito. È questa percezione di mancata autoefficacia che ci immobilizza e ci suggerisce di fermarci alle molteplici cause e concause che si sono opposte a noi fino ad invalidare i risultati che speravamo.

 

Concordi tutti nel mettere all’angolo l’alibi, nel catalogare il lessema alibi come da evitare e solo condannare, de factu, e forse proprio per questo, non riuscendo a rinunciarvi, abilmente lo rielaboriamo, sì che assume forme cangianti e sempre nuove da esibire agli altri certamente, ma soprattutto così sapienti da convincere noi stessi e così, in definitiva, lo  alimentiamo.

Ci entusiasmiamo e condividiamo persino sinceramente quando (e sono frequentissime le occasioni in cui accade) qualcuno accusa l’alibi come disvalore, come scelta negativa e da evitare, ci esaltiamo ad ascoltare canzoni (Daniele Silvestri), a leggere riviste, poesie (Elsa Morante), amiamo film e persino più volentieri scegliamo di entrare in un ristorante, in una biblioteca che si definisca “alibi” e ne esibisca la scritta a caratteri cubitali sul frontespizio dell’ingresso. Potremmo definirlo una specie di inconsapevole processo di liberazione personale da quel comodo rifugio che, al di là delle parole, in realtà l’alibi è per noi. Insomma anche questo è segno di un tentativo, questa volta inefficace e maldestro, di trovare un “alibi di ferro” per non uscire dalla nostra zona di comfort.

È sintomatico e significativo che il motore di ricerca sul web offra per “alibi” esempi quasi esclusivamente riferiti al mondo dello sport, coerentemente con la finalità alta e implicita nell’esercizio sportivo che è quella di individuare i propri limiti e insieme i limiti del contesto in cui operiamo, per poterli progressivamente vincere. Ascoltare Julio Velasco che con determinazione si confronta e affronta la cultura degli Alibi come l’ha definita anni orsono e che resta una sorta di impronta digitale del suo ruolo di allenatore, è decisamente pacificante proprio perché errori e tentativi fallimentari, analizzati coraggiosamente con decisione e naturalezza, si fanno strumento efficacissimo di autentica crescita per ciascuno, atleta, allenatore, imprenditore, persino per chi ama lo sport praticato da altri e, comodo in poltrona, inneggia ai suoi beniamini.

           Julio Velasco ha fondato i suoi successi sportivi lavorando sulla mentalità dei propri giocatori e sull'assunto che la realtà va accettata per quello che è e che trovare giustificazioni esterne quando non riusciamo a raggiungere la metà che ci stiamo prefiggendo è atteggiamento da perdenti. Siamo noi chiamati a trovare strategie e comportamenti che, nonostante la realtà ostile, possono portarci al traguardo desiderato e questo implica dinamicità di pensiero e azione, saper cogliere cosa è meglio fare o agire conseguentemente.

Traslata da un contesto sportivo ad un contesto professionale la Cultura degli Alibi costituisce il comodo rifugio per tutti coloro che, non centrando i risultati attesi, si sentono così sgravati da qualsiasi responsabilità (… non è colpa mia, ma del contesto!).

Se andiamo ad analizzare con oggettività chi sono i presunti “fenomeni” e come si muovono per raggiungere i loro risultati, scopriremo che non sono affatto “fortunati”, sono persone normali che, però, pensano in modo diverso. Sono persone che ragionano in maniera proattiva, che non imputano mai ad altri la causa di eventuali insuccessi, che hanno il coraggio di fare scelte spesso controcorrente, che lavorano duramente e che in questo modo trasformano le difficoltà in opportunità. Sono quelle persone che si sentono causa di tutto ciò che accade intorno a loro e che anche quando parlano utilizzano sempre la prima persona IO o NOI come soggetto dei loro pensieri;  quasi mai usano LUI o ESSI. (Claudio Molossi inhttp://www.spheragroup.it/blogosphera/477-la-cultura-degli-alibi-una-testimonianza.html)

Gli alibi, in quanto scuse, sono pericolosi, sabotano i nostri sogni e i nostri desideri, impedendoci di realizzarli. Potremmo definirli  “auto-inganni”.

Trovare alibi è un raccontarsi bugie perché non si è in grado –o così crediamo­– di ammettere l’errore con l’altro e neppure con noi stessi.

Prenderne consapevolezza è il primo passo per un positivo cambiamento.

Proprio per migliorarci è giusto porsi domande, avere dubbi su se stessi, sulle proprie capacità, ed è salutare essere critici verso i progetti che elaboriamo, nei quali crediamo e che intendiamo affrontare; quando, invece, accampiamo scuse per giustificarci, consentiamo alle scuse di bloccarci e allora, difficilmente raggiungeremo  i nostri obiettivi.

           Talvolta creiamo alibi per proteggere l'autostima cercando di autoconvincerci che in altre circostanze avremmo potuto e saputo fare meglio e,  con allenata abilità, creiamo noi, più o meno consapevolmente, le condizioni che giustificheranno l’eventuale insuccesso:   stare alzati fino a tardi prima di un esame in modo che la scusa della stanchezza sia valida se andasse male, o rimandare lo studio fino all'ultimo momento così da poter dire di non aver studiato abbastanza sono tecniche che potremmo essere indotti ad adottare. Per descrivere questo comportamento, gli psicologi sociali Edward E. Jones, della Princeton University, e Steven Berglas, della Harvard Medical School, hanno coniato il termine di «strategia auto-ostacolante».

http://www.counselor.it/articoli-news/maliberariamocidalmitodellautostima_239.html

           “Se lo puoi immaginare, lo puoi creare”, parola di  Walt Disney.

Riflettiamoci, in fondo, è cominciato tutto con … un topolino.

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

 

 

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