I condizionamenti


condizionamento

I condizionamenti sono quelli che ci impediscono la crescita e l’evoluzione. Molte delle memorie sono dure da de-condizionare e da armonizzare proprio perché molto antiche e radicate. I condizionamenti sono quei blocchi e quelle memorie così radicate da causare le coazioni a ripetere, atteggiamenti a volte distruttivi per noi e per gli altri. Si può comunque iniziare il lavoro che sarà duro ma possibile. Nello Yoga Sutra di Patanjali, i condizionamenti sono: Avydia (mancanza di consapevolezza), Asmita (egoità), Raga (attrazione), Dvesha (repulsione), Abhinivesha (paura della morte).

 

Per Avydia s’intende la mancanza di consapevolezza, l’ignoranza, non riferita all’istruzione. Infatti, esistono persone molto istruite ma ignoranti. Questo stato non è di chi non si è potuto permettere una laurea o non ha desiderato studiare, ma appartiene a chi non è consapevole della propria identità. È la non conoscenza del nostro essere parte di un Progetto Divino. Ultimamente è di moda dire di essere atei, senza Dio. Questo probabilmente è dovuto alla poca stima che si hanno delle religioni in generale. Non sono le religioni ad aver creato danni alle società, bensì gli stessi uomini. Come dire che preferiamo essere anarchici perché non stimiamo i governi. Non è la politica a non funzionare ma chi ci governa. Così sarebbe bene ritornare a considerare che non siamo solo essere materiali, non abbiamo solo un corpo e una mente: noi siamo molto di più, esseri spirituali. Non possiamo pensare di essere arrivati dal nulla, perché la fisica dimostra che niente può nascere dal nulla. Se ci fa paura la parola “dio”, se ci sembra, ingombrante potremmo chiamarla con altri nomi, nessuno lo vieta; l’importante è fare pace con quella forza suprema che ci crea e ci tiene in vita. Il materialismo, anche quello esasperato, ancora non ha saputo darsi una risposta sulla magia della vita e non riuscirà mai a darsela se non abbandona un po’ di presunzione. Comprendo bene quest’allontanamento da certe dottrine e dogmi. L’ho fatto anch’io perché non riuscivo a sopportare le contraddizioni. Ecco che ritorniamo all’importanza di un vero insegnate e dell’istruzione.

Asmita è l’egoità, la nostra identificazione con il corpo psico-fisico. Come diceva Jung, è l’insieme dei contenuti psichici nei quali l’individuo si identifica. È tutto ciò in cui noi ci identifichiamo, che sia essa materia sottile e grossolana. L’identificazione può essere anche nel pensiero, nelle emozioni, in uno status symbol. Se noi andiamo allo stadio con atteggiamento da guerrieri è perché ci siamo identificati nella squadra del cuore. Se svolgiamo un lavoro che ci condiziona anche nel rapporto con i famigliari e gli amici è perché ci siamo identificati in quell’attività e non riusciamo a comprendere che ci possa essere dell’altro nella nostra esistenza. Non è raro vedere gente andare in pensione ed ammalarsi, proprio perché non hanno più quell’occupazione che per loro era diventata la vita stessa. Questi sono tutte identificazioni che possono portare a disturbi psichici, stress e malattie.

Raga è l’attaccamento. Qualcosa a cui siamo legati, dal quale facciamo fatica a staccarci. Vale per e in tutti i campi. Potremmo essere attaccati a certi amici ed esserne gelosi, al marito, ai figli, ma anche al ruolo che ricopriamo, al nostro successo, alla nostra casa. È n condizionamento che porta a dipendere psicologicamente e fisicamente a cose e persone, quindi causa di stress e nevrosi. Raga ha il suo opposto, Dvesha. Non vanno presi separatamente, perché l’uno è il risultato dell’altro e viceversa. Quando ci attacchiamo a qualcuno in maniera sbagliata a qualcosa o a qualcuno, poi vi è il rovescio della medaglia: dall’attaccamento alla repulsione. Vi sono tanti esempi che si possono fare. Lo vediamo ultimamente in molti matrimoni che sembravano perfetti. Quante coppie avremmo potuto dire che erano fatti l’uno per l’altra. Poi improvvisamente, non si sa perché questo amore (malato!), che univa quella coppia, si rivela la loro croce, la loro prigione. E da un rapporto che appariva a tutti meraviglioso e del quale molti erano addirittura invidiosi, sfocia in una separazione che ha del surreale. Litigi, maltrattamenti, minacce, fino a giungere al divorzio. I due non si parlano più e se ci sono dei figli li utilizzano per ricattare il coniuge. Da un amore con la A maiuscola alla triste separazione. Ma cosa non è andato? Molto si potrebbe dire a riguardo è non è nell’intento del discorso. Voglio solo affermare che quando si hanno aspettative, e si pretende da un altro ciò che non ci può dare e si pensa che l’altro sia ciò che noi volevamo che fosse, ecco insorgere le delusioni che portano al deterioramento di tutti i rapporti, sia quelli di coppia che ogni tipo di relazione. Dall’attaccamento alla repulsione il passo è breve!

Abhinivesha è invece l’attaccamento alla vita che porta alla paura della sofferenza, della malattia e quindi della morte. Il non comprendere che siamo esseri spirituali porta a incomprensioni sull’ontologia del nostro essere che è immortale e beato. La paura di abbandonare parenti, amici e cose materiali ci destabilizza, creando paure e disagi. Dovremmo pensare alla morte come al sogno. Anche durante il viaggio onirico siamo in un’altra dimensione diversa da quella in cui viviamo e fin che non ci svegliamo non sappiamo di essere in quella dimensione. Ci appare tutto come vero. Quindi prendere il trapasso come un viaggio in un’altra dimensione permetterebbe di essere più rilassati durante quel momento delicato che è l’abbandono del corpo fisico. Purtroppo non siamo abituati perché non siamo stati educati a farlo e nessuno ce lo ha insegnato. Anzi vedo con rammarico che quando qualcuno è gravemente malato, invece che accompagnarlo in maniera dolce verso l’altra dimensione, all’afflitto vengono raccontate bugie che lo illudono apparentemente. Perché lo spirito sa quello che sta per accadere come pure il nostro subconscio. Quindi mentire non serve a nulla se non a complicare la dipartita. Anche il fatto di rimanere attaccati a chi sta per lasciarci fisicamente, non è affatto un bene per nessuno, perché non permette a chi se ne è andato di continuare la sua evoluzione.

Questo condizionamento ci porta a identificarci con ciò che non siamo, quindi un ruolo o addirittura il nostro corpo. Per esempio se ci identifichiamo con il ruolo di madre, una volta che i nostri figli sono cresciuti e se ne vanno di casa, ci troviamo come svuotati, senza nulla da fare, come se ci avessero tolto parte della nostra esistenza. Invece noi non siamo il ruolo che ricopriamo, come non siamo il corpo che indossiamo. Questo è solo uno strumento dell’Atman, la nostra anima, che è l’unico vero soggetto dell’esistenza. Lo stesso vale quando ci identifichiamo nel nostro lavoro o in qualcosa a cui teniamo come la casa, l’auto o qualsiasi altro oggetto materiale.

Non è strano vedere gente in pensione che si ammala perché resta attaccata psicologicamente al lavoro che faceva prima. Invece di trovarsi altre attività o altri interessi, queste persone rimangono legate al passato, credendo di appartenere a ciò che svolgevano prima.

Questi attaccamenti sono causa di disagio, stress che creano disarmonie, malattie e pessimi rapporti con sé stessi e con il prossimo. Questo perché non essendo noi stessi ma fuori di noi non possiamo essere felici ed appagati. Ecco perché è necessario un lavoro di introspezione e di ricerca interiore. Ritrovare sé stessi è il cammino giusto verso la via della salvezza, per congiungerci alla nostra Fonte. Non potremo mai elevarci ed evolvere se non riusciamo a comprendere chi siamo veramente.

Potrebbero interessarti ...