PENSARE IL TEMPO ALL’OCCIDENTALE. Limiti e contraddizioni della filosofia del “quì e ora”

Inviato da Nuccio Salis

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Nel tentativo di trovare risposte soddisfacenti (soprattutto sul piano pratico) al quesito su cosa renda felici su questa terra, una delle filosofie più conclamate asserisce che l’essere umano dovrebbe concentrarsi esclusivamente su ciò che lo coinvolge nel suo immediato presente. È il noto approccio dell’hic et nunc, da cui si evincono e si dispensano consigli su come vivere liberandosi dalle trappole temporali del passato e del futuro.

Molto acclamato e diffuso, quanto improbabile da realizzare, la filosofia del “qui ed ora” ha certamente contaminato almeno gran parte dell’impostazione clinica e terapeutica nel trattamento della persona con difficoltà, indicando traiettorie di aiuto orientate a indirizzare gli sforzi di ciascun soggetto sulla dimensione temporale più concreta dalla quale può reperire le sue risorse per investirle in modo effettivo nel suo contesto, e per influire di conseguenza in modo tangibile sul piano di realtà nel quale si trova ad agire.

In breve, ciò che si raccomanda di comprendere ed interiorizzare è il modo con cui impadronirsi ed interpretare il tempo, nella consapevolezza che il passato non lo si può modificare ed il futuro è una scatola ancora chiusa piena di sorprese. Pertanto, l’attenzione alle vicissitudini della propria biografia esistenziale viene deviata completamente sul presente, mettendolo in evidenza come unico contenitore dello spazio-tempo da cui è possibile ricavare soluzioni pragmatiche e con riscontro immediato e misurabile. Il presente, infatti, è ciò che stiamo vivendo, mentre le altre due coordinate temporali (presente e futuro) non possono essere soggette al nostro controllo, e l’essere umano ha notoriamente terrore ed angoscia di ciò che non può assoggettare al suo dominio.

Diventa pertanto abbastanza facile promuovere questo tipo di paradigma, forte anche di riflessioni di ordine religioso e filosofico, basti pensare alle dottrine orientali quali induismo e buddhismo che ricalcano la legge del karma, ascrivendo alle modalità del nostro presente il risultato delle nostre scelte del passato, e pertanto al futuro come la costruzione progressiva delle nostre attuali azioni e decisioni. Ma anche sistemi di pensiero più vicine ai giorni nostri hanno ripreso questi concetti, si può ad esempio richiamare Nietzsche che guardava con interesse alla possibilità di ottenere un pieno appagamento una volta liberati dalle due gabbie del passato e del futuro, l’una perché ricade con i suoi contenuti di pena e stridore di denti, e l’altra perché apre prospettive di incognite e di vuoti, disgregando il senso di stabilità e producendo angustia e afflizione. Pertanto, l’identità dell’uomo felice è delineata soltanto in colui che ha sciolto questi vincoli.

Ovvero, la liberazione da ogni cruccio esistenziale deriverebbe dalla rimozione dei ricordi e da una mancanza di progettualità per l’avvenire. Ma una tale condizione non è auspicabile per un essere umano sano, ovvero con la coscienza di essere nel tempo, di scorrere aggravato anche dal peso dei ricordi e al tempo stesso ponendosi domande e pianificando la sua vita proiettato in avanti e nell’evoluzione.

Tale teoria della gestione temporale è da una parte comoda, accattivante e facilmente accettabile, anche se, appunto, di non reale applicabilità, dal momento che vivere nel qui ed ora implicherebbe una sfida titanica al senso del tempo, della nostra storia e della nostra narrazione identitaria in divenire.

Cioè, è realisticamente possibile ed affrontabile una tale impresa? Forse, anche chi la propone, dovrà certamente fare i conti con un vissuto che è comunque, inevitabilmente, il risultato delle pressioni del passato e del futuro. Insomma, è pur vero che trascorriamo un periodo storico significativo della nostra vita dentro una struttura che è ingegnata appositamente per proiettarci nel futuro e generare progetti e aspettative. È inviso difatti il concetto del “vivere alla giornata”, dal momento che richiama un atteggiamento troppo leggero e superficiale in merito all’organizzazione della propria esistenza.

L’esperienza relazionale, peraltro, sembra richiamarci continuamente al confronto con la nostra linea temporale, dal momento che ci imbattiamo fin dalla nascita con persone che ci chiedono “cosa farai da grande” (proiezione al futuro), o “ti ricordi quando… allora sì che…” (proiezione al passato).

È vero che, da una parte, concentrarsi sul presente sembra più auspicabile come comportamento organizzato e più prolifico nel fronteggiare le dinamiche della propria vita e dei propri vissuti, dal momento che si attinge da ciò che per davvero è disponibile in quel preciso contesto, sia come risorse interiori che opzioni esterne. Tuttavia, se lo si fa, è altamente improbabile che si venga totalmente affrancati dalle tensioni dello spazio-tempo del passato e del futuro. Questa prerogativa può appartenere agli asceti o, forse, anche a coloro che sono trascesi dal tempo a causa di condizioni cliniche considerate attualmente delle patologie. Pensiamo, per esempio, a come l’invecchiamento neurodegenerativo del cervello aiuti a non impregnare e non saturare certi archivi della memoria, non producendo più un presente collegato a rievocazioni quanto meno di breve termine. Forse tale meccanismo è anche funzionale per chi si prepara a traslare verso dimensioni “altre”, e si attiva quando il tempo trascorso qui dispone di una eccedenza supplementare che non è più utile a chi ha esaurito la sua missione. Bruciare i ricordi e la memoria può essere infatti l’indizio più eclatante di fine percorso, di esaudimento del proprio progetto esistenziale in questa temporanea dimensione. Il problema è però appunto che le filosofie che caldeggiano l’approccio del “qui ed ora”, spesso mi  sembrano carenti di una profonda ed autentica consapevolezza completa di cosa sia il tempo, e sostengono ad effetto la loro teoresi adeguata esclusivamente su un modo di pensare il tempo lineare e monolitico.

Ovvero, se gli insegnamenti della scuola del “qui ed ora” puntano a realizzare un potenziamento effettivo di padronanza del tempo, consapevolezza e migliore efficienza del Sé, lo fanno comunque dentro l’orizzonte culturale occidentale, in cui la linea del tempo è soltanto una, ed è schematicamente raffigurabile come un segmento semplice in cui si svolge e si sviluppa l’esistenza del singolo che comincia da un punto A e termina in un punto B. Incastonare questa linea del tempo in un circolo che non ha né inizio né fine, renderebbe già complicate le dinamiche in oggetto. Per non parlare poi di argomentare su cosa esista prima del punto A e dopo il punto B.

Nonostante, dunque, il tentativo apprezzabile di superare le arcaiche e contorte vie di analisi propugnate dalla psicanalisi, il confronto col passato e con li futuro permangono comunque sullo sfondo di un insegnamento da cui se ne ricava la loro collocazione lungo una direzione unica e lineare. Si è passati cioè, storicamente, dall’indagine del passato condotto secondo i caratteri ortodossi dell’epistemologia psicoanalitica, ad approcci che hanno rivalutato il valore del Sé in funzione dei suoi requisiti legati all’attualità nel proprio divenire. Tutto questo, però, non ha ancora sottratto vivamente l’individuo dal suo confronto con il tempo.

In pratica, per poter ottenere e verificare risultati che qualificano l’efficacia di un tale intervento, è necessario a mio parere rivalutare l’ordine degli elementi culturali attraverso cui si interpreta e si vive il senso del tempo. Il risultato contemporaneo è comunque una lettura del tempo statica, prevedibile e lineare, assoggettata a bisogni peraltro di natura molto spesso materiale e pragmatica. Ciò ricorda un po’ quelli che fanno yoga giusto per fumarsi poi una sigaretta ma con un senso di pace interno. Vuoi mettere la differenza?

Più complicato, lo comprendo, pensare invece al tempo come a una mera illusione, che è un parametro che si pone molto al di là della sua relatività, per presentarsi piuttosto come una sorta di pellicola che contiene al suo interno l’immensa e incalcolabile quantità di potenziali fotogrammi che costituiscono l’epica delle nostre vicende, e che abbiamo scelto di vivificare attraverso la nostra presenza, attivando scenari e drammi che non si sarebbero potuti realizzare senza il nostro voluto e partecipato contributo come co-creatori della nostra sceneggiatura esistenziale.

Esiste dunque un livello di fronteggiamento del tempo ancora più radicale, che certamente richiede uno stato di presenza e di Coscienza più maturo e consapevole, ed esso consiste nel prendere atto che il passato, in realtà, non è mai esistito. Continua ad essere proiettato e spalmato su una sorta di multisala olografica, da cui si potrebbe pure riprendere da qualunque punto, a patto che si comprenda a beneficio di chi e di che cosa. Quelle trame e quelle vicende che noi ci portiamo dentro sono gli allestimenti su cui si sono configurate le parti di noi: siamo noi stessi! Gli alchimisti lo sapevano, e per questo erano fedeli alla formula “ciò che è dentro è anche ciò che è fuori”. Pertanto, quello che ho appena asserito non è affatto assurdo a chi ne conviene attraverso esperienze che esulano dai faziosi indottrinamenti della società capitalistica occidentale, la quale, falsamente democratica anche sotto questo aspetto, apre e consente piccoli spiragli di spiritualità, a patto o che siano ricondotti e delegati alle caste sacerdotali tradizionali, oppure affidati a improvvisati guru in Mercedes che fanno propaganda di facili e demenziali ricette “new age”, che nulla però hanno a che vedere con una gnosi spirituale per davvero corrispondente ai bisogni autentici dell’individuo. 

Concludendo, anche se appunto non è affatto facile, e nemmeno per il sottoscritto che sostiene e sperimenta tutto ciò, trovo però che sia necessario procedere espandendo la Coscienza, poiché solo in essa coincide il conoscere di ogni cosa e soprattutto quella tanto ricercata trascendenza rispetto al tempo, dal momento che solo lo stato della Coscienza (diversamente appunto dalla mente che ricorda e pianifica) è il continuo punto dell’eterno presente, il vero status coincidente con il tanto agognato e ricercato “quì ed ora”. Poiché la Coscienza, esattamente per somiglianza dalla Fonte Originaria da cui proviene, ha la caratteristica che Jung attribuisce a Dio, dal momento che la sua circonferenza è da nessuna parte, e il suo centro è dappertutto.

Con sentita gratitudine a chi ha letto interamente e fino a qui.

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