Esperienze di gruppo tra attrazione e timore


Da sempre la dimensione di gruppo esercita in me grande curiosità e attenzione. Sia nella mia vita privata che nella mia attività professionale come Counsellor e come Insegnante, mi misuro e mi confronto quotidianamente con la vita “nei” e “dei” gruppi, osservando quanto nel contatto sociale, nel rapporto con gli altri esseri umani, ogni individuo trova risposte alle proprie esigenze biologiche, fisiologiche e sociali.

 

Il “gruppo” è un’esperienza costitutiva di ognuno di noi: gruppo famigliare, gruppo amicale, gruppo di lavoro, gruppo di interesse. Ho scelto l’Analisi Transazionale anche perchè, sia a livello teorico che di intervento, ha focalizzato la sua attenzione sul “gruppo” quale situazione privilegiata per favorire processi di cambiamento. Questo significa che il gruppo mi cambia, mi dà la possibilità di vivere un’esperienza che mi modifica. Ogni gruppo nel quale sono stata mi ha quindi reso un po' la persona che sono oggi.

 

 Penso al gruppo come un’entità unica, con una sua “personalità” come sosteneva Berne (1966), che è più di una semplice somma di singoli membri. Quando osservo un gruppo nuovo nella mia esperienza professionale, mi interrogo innanzitutto sulle possibili connessioni tra le persone (quindi cosa ci ha portato qui in questo posto e in questo momento) e il sistema-gruppo e tra il gruppo e i suoi singoli componenti. Come i diversi contesti esterni al gruppo, che si intrecciano con le vite di ciascun partecipante, possono contagiare il gruppo nel suo insieme? E come il gruppo può contagiare i partecipanti?

 

So, per formazione, che la partecipazione di ciascun individuo all’esperienza di gruppo è “storicamente” determinata, cioè influenzata dalle esperienze relazionali del passato, a partire dal gruppo primario, quello famigliare. Tuttavia trovo nell’esperienza di gruppo un aspetto unico e un valore aggiunto legato al fatto che sia un luogo in cui, quando le cose funzionano, “le risorse di ognuno sono disponibili per tutti”. Per questo motivo nei vari ambiti professionali che ho attraversato ho sempre cercato di inserire una dimensione di gruppo, che permettesse di mettere insieme le risorse.

Il gruppo è anche d’altra parte però una dimensione particolare, spesso temuta ed evitata, che rievoca ad alcune persone vissuti difficili e spiacevoli.

 

 La scelta del piccolo gruppo nasce quindi dall’idea di dare la possibilità ai partecipanti di fruire l’esperienza di appartenere ad un gruppo e trarne i possibili vantaggi, e allo stesso tempo garantire uno spazio sufficiente a ciascuno per poter condividere emozioni, pensieri, sensazioni, senza sentirsi “fagocitato”. Mi piace pensare che in questo modo il gruppo possa diventare “spazio riflessivo” (Schermer e Pines 1998) ovvero uno spazio che “in cui i membri si legano emotivamente e da cui possono emergere le varie personalità, così che ciascuno possa individuarsi, diventare più sè stesso e, allo stesso tempo, contribuire a creare un gruppo in cui emergono somiglianze e differenze.”

Sia nella conduzione di gruppi di adulti, di genitori o di adolescenti ho potuto osservare e ascoltare quanto il gruppo sia stato un modo di poter accedere a punti di vista diversi, a modi differenti di vivere la medesima situazione o difficoltà, a quanto le riflessioni di ciascuno abbiano aperto nuovi spunti di pensiero, a volte utili a cambiare il proprio, oppure a far emergere strategie e risorse prima “poco consapevoli.

Allo stesso modo nella conduzione di gruppi di movimento per bambini avviene la medesima “contaminazione”: il movimento di uno diventa stimolo per l’altro e viceversa; i vari esercizi di emulazione reciproca permettono ai bambini di sperimentare movimenti nuovi e di farli propri, esattamente come accade verbalmente nei gruppi di adulti.

Se dovessi scegliere un’immagine che rappresenta per me che cos’è un gruppo, che funzione ha, sceglierei l’immagine di un ponte“Un ponte percorribile in entrambe le direzioni, che consente spazi di condivisione anche molto profonda, e altri di solitudine accogliente. Attraversando il ponte si può decidere di ritornare dentro le proprie mura e guardare al mondo protetti dalla siepe del proprio giardino e, di nuovo, scegliere di appartenere al mondo attraversando gruppi differenti”. (Corbella 2014)

 

 

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