noi migranti da ...noi stessi


Maurits Cornelis Escher, Altro Mondo II,xilografia,1947,31,5x26 noi migranti da ...noi stessi

noi migranti da ...noi stessi

            Che sia migrazione forzata non c'è dubbio, ma è altrettanto certo che della forzatura, della costrizione non abbiamo quasi alcuna percezione. Siamo progressivamente condotti lontano da noi stessi fino allo straniamento, lo stesso straniamento, che in intensità massima è proprio dell'esperienza migratoria.

Come non riflettere su questa nostra inarrestabile deriva, nel momento stesso in cui movimenti migratori di diverse origini e di intensità crescente quotidianamente ci pongono interrogativi pressanti, inquietanti ci sollecitano a trovare soluzioni che possano delineare una realtà più equa, più umana nel prossimo futuro?    Se ne parla con insistenza a tutti i livelli e tuttavia è evidente che ciò che riesce impossibile è ancora comprendere veramente che cosa significhi l'esperienza  migrante per il soggetto che la vive, per scelta o per costrizione, che cosa significhi per la sua vita, come modifichi irreversibilmente ogni prospettiva, ogni relazione a cominciare da quella con se stessi.

 

Nell'esperienza migratoria, oltre la perdita dei luoghi, anche la lingua, essenziale elemento identitario e del sistema di pensiero, diviene estranea: non permette di comprendere, di comprender-si, preclude il fondamentale legame di rispecchiamento con l'altro, con il contesto. Il Noi diviene un Voi: si perde il tramite dell'appartenenza. La lingua spezzettata, il perdere il filo della storia, della propria storia, testimoniano che si sta perdendo il senso di padronanza e di potere nella gestione delle cose del mondo.[http://www.psychomedia.it/cpat/editoriali/49-edit.htm].

È un'esperienza, quella migratoria, autenticamente traumatica che cambia il rapporto del soggetto con sé  e con il mondo; lascia un segno profondo, una sofferenza, sia nella persona, sia nella collettività.

            E noi che possiamo scegliere se restare o andare, noi che amiamo il viaggio come svago rigeneratore dalla routine, noi che possiamo goderci incontrastati le nostre abitudini, noi che rincorriamo il benessere e ci sentiamo soddisfatti di ogni nuova conquista, fosse anche l'ultima "app", noi che abbiamo declinato ogni rapporto autentico con noi stessi, non stiamo vivendo inconsapevolmente la condizione di chi è incapace ormai di «ritrovar il senso» della propria vita e la propria identità? La società liquida, di cui Zigmund Baumann ci ha enumerato le insidie, ci ha allontanati così tanto da noi stessi che non siamo quasi più in grado di ricondurci alla radice intersoggettiva dell'esperienza umana, di ri-costruire i legami della persona con noi stessi e con il mondo.

Il counseling è l'àncora che può aiutare la persona a riprendersi il proprio posto nel mondo, ma occorre in primis che la persona abbia leale e congruente volontà a riacquistare una realistica consapevolezza essenziale perché possa essere ri-costituito l'orizzonte della sua esperienza personale in rapporto ad altri soggetti.

Ancora una volta la narrazione di sé può costituire il fio con cui ri-tessere il senso della propria vita, la narrazione diviene strumento di consapevolezza e concreto oggetto terapeutico, tra metafora e psicodramma, partendo dalla cura della memoria, di quella memoria di cui ormai siamo incapaci, piegati a vivere solo frammenti isolati di presente vagamente orientati all'immediato futuro, mai oltre.

            Anche a noi, migranti e migrati lontano da noi stessi, è necessaria la ri-costruzione della storia individuale e collettiva, per sentirci ancora una volta come individui e come collettività artefici della propria storia (anziché ripetitori  impotenti di dissennata distruzione). La narrazione, dunque, come strumento e strategia trasversale a vari contesti anche professionali, come paradigma di lettura e di intervento, fruibile in situazioni diverse.

            Nell'ambito della pedagogia, della formazione e della cura lo strumento narrativo/ricostruttivo permette di educare i sentimenti, di dare forma ai sogni e agli eventi reali, di delineare i confini di una identità in crescita. Così come nei passaggi critici della difficilissima gestione del ruolo genitoriale o professionale si rintraccia, nell'ambito della consulenza, il filo di una storia per cercare un senso alle discontinuità e ai cambiamenti inattesi, alla sofferenza e riportarli in un ambito di comprensione e ri-progettazione. Un lavorio estenuante, faticoso, ma non più rinviabile è ciò che siamo chiamati a compiere con il massimo zelo perché ciascuno possa  ritrovar-si.

 

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

 

 

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