narrar-si, una conquista preziosa e mai definitiva


narrar-si, una conquista preziosa e mai definitiva

 

            Narrar-si. Verrebbe da chiedersi: "che cosa c'è di difficile nel narrare se stessi, a se stessi o ad altri?"

            In realtà, poiché narrare a noi stessi e all'altro chi siamo, che cosa vogliamo, qual è il senso che della vita andiamo cercando, sia che lo facciamo a voce o per iscritto, con gesti (ah! la chiarezza espressiva dei mimi) o con strumenti che la nostra personalissima creatività ci suggerisce, ad esempio con  la luce, come spiega, a proposito di Caravaggio, il noto direttore della fotografia Vittorio Storaro (http://www.edizionikalos.com/narrare-con-la-luce), sentiamo immediatamente l'enorme carico di responsabilità che ci sovrasta, avvertiamo distintamente come ad ogni istante affrontiamo il terribile rischio di scoprire in noi altro, qualcosa che smentisca a noi stessi l'immagine che di noi ci siamo con grande fatica costruita. Avvertiamo ad ogni istante quanto sia complicato stabilire un punto di equilibrio tra sollecitazioni diversissime e forti, soprattutto tra la realtà e la nostra interpretazione, la nostra personalissima modalità con cui vediamo e leggiamo dentro e fuori noi stessi; la sensazione che ne traiamo è una sorta di molesta inquietudine. Ri-conoscere, proprio mentre ci narriamo che stiamo interprentando, sì, insomma che stiamo narrando a modo nostro, che stiamo costruendo un mondo modellato ad hoc su di noi, solo raramente può divertirci, quasi sempre rende evidente senza possibilità di smentita che stiamo interpretando per suffragare in noi alcune certezze, per convalidare il nostro...copione.

            Ed ecco che una sorta di vaso di Pandora si rovescia sul nostro animo e lo opprime, lo punisce o peggio lo deride per questo vano e maldestro tentativo inconsapevole e tuttavia continuo ed estenuante di nasconder-ci a noi stessi. Il ferreo proposito di assomigliare noi all'immagine che di noi  ci è piaciuto e ci piace vedere e nutrire, d'un tratto, proprio mentre stiamo raccontando (narrar-si appunto è ben altro) ci si rivela subdolo meccanismo, del tutto inefficace a proteggerci da dubbi e quanto mai inadatto a rafforzare l'autostima.

            Presi dal vortice convulso della vita contemporanea, di tutto ci occupiamo e tralasciamo soltanto ...di colloquiare con noi stessi. Il colloquio, nel suo significato autentico di dialogo è scambio tra due modi di vedere, due logos, è lo strumento formidabile che abbiamo comunque a disposizione per armonizzare ciò che siamo e ciò che vorremmo essere, senza infingimenti, senza omissioni, bensì con determinata volontà di accogliere ogni cambiamento in noi per avvicinarci all'immagine di noi che abbiamo, al modello di persona che desideriamo essere. È questo il dialogo che può (dovrebbe?) accompagnarci in ogni istante della nostra vita di relazione intra e interpersonale e dunque sarà suscettibile di continui mutamenti, coerenti con quel cambiamento continuo e inevitabile che accomuna noi essere umani, ogni creatura e ogni contesto della realtà.

            Se questo scambio con noi stessi ci è ignoto, quando qualcuno (magari il counselor) ci chiederà di narrarci, è probabile che come un fiume in piena travolgeremo l'altro con vivacissimi e abili racconti, con esempi, con episodi diversi sì e tuttavia tessere di un unico puzzle: la nostra immagine  ... o forse, sem+nza proprio saper che cosa dire, rimarremo confusi e frastornati, in silenzio, chiedendoci che cosa questo narrar-si possa significare.

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

 

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