assumersi la responsabilità del destinatario


assumersi la responsabilità del destinatario

 

            Chiaramente non siamo in ambito spedizioni e corrieri, bensì nell'ambito ancor più complesso della comunicazione che dall'emittente e dal destinatario non può prescindere. Parlare della complessità e dei possibili fraintendimenti insiti nella comunicazione è ormai consuetudine diffusa non solo da parte di esperti; con insistenza si analizzano le diverse modalità del comunicare, l'importanza del contesto, la presenza ineludibile e spesso insopprimibile del "rumore " di fondo che può influire sulla comunicazione fino a condizionarla e persino alterarla.

 

            Molta strada è stata compiuta, con il contributo di osservatori esperti e specialisti della comunicazione per comprendere che una comunicazione per essere tale non solo sarà corretta verbalmente, bensì sarà congruente e coerente con il linguaggio paraverbale e non verbale e perché sia efficace occorre che sia circolare, tutti e molti altri ancòra elementi cardine che sostengono e guidano l'operato del counselor nel dialogo con il cliente.

            Tra queste priorità, ormai generalmente diffuse e almeno in parte comunemente accettate nelle relazioni interpersonali, resta spesso nascosta e quasi sempre ignorata una particolarissima e delicatissima competenza: assumersi la responsabilità del destinatario. Che cosa significa? Significa che mentre comunichiamo all'altro il nostro pensiero, i nostri  progetti, ciò che vorremmo, ecc...in quello stesso momento è nostro compito scegliere la modalità più efficace perché l'altro possa comprenderci al meglio. È nostro compito facilitare all'altro la comprensione di quanto stiamo comunicandogli e quindi mentre parlo sono concentrato su di me e contemporaneamente sul mio interlocutore.

            In questa duplice concentrazione si condensa la complessità della comunicazione che implica, in effetti, che l'emittente osservi il destinatario e proprio in ragione del suo feedback non verbale e paraverbale si adoperi a chiarire, a precisare, a fermarsi o a procedere più lentamente. Diffusa è la  convinzione che questa sia operazione di eccellenza, normalmente non richiesta, da impiegare soltanto nelle relazioni interpersonali di particolare importanza. Un esempio forse anche un po' troppo banale è sufficiente a renderci consapevoli che una simile convinzione, laddove si incontrasse (eufemismo o metonimia? fate voi) costituirebbe un serio problema. Ed ecco l'esempio: se userò abitualmente un linguaggio trasandato, impreciso, di basso livello nella convinzione che usare un linguaggio corretto sia necessario solo quando mi troverò di fronte a persone speciali, che cosa accadrà quando mi troverò in quelle occasioni? Su quali riserve di abilità potrò contare? Su quali dimestichezze di termini appropriati? Quanto pesantemente influiranno sulla mia lucidità mentale così poco allenata, l'inevitabile stato ansioso e l'emozione che ogni occasione "importante" necessariamente comporta?

            La nostra società è generosa di informazioni al punto che neppure occorre che le cerchiamo, ce le scodella continuamente e accarezza la nostra già solida tendenza a sentirci liberi, autonomi, autosufficienti, aumenta a dismisura la concentrazione su noi stessi e impoverisce di fatto le relazioni interpersonali. Se in linea di principio ci ha reso accoglienti e favorevoli all'inclusione, nella realtà dei fatti, ci sta progressivamente abituando a convincerci che in caso di mancata comprensione o comunicazione, è l'altro a non aver compreso, è l'altro non capace, è l'altro disattento. Sarà bene che noi ci alleniamo ad osservare il nostro interlocutore per imparare a comprendere se, come e quanto ciò di cui stiamo parlando gli arriva, "leggendo" il suo sguardo, le espressioni del suo volto, la sua postura, i suoi movimenti, il suo atteggiamento e tanto più quanto più teniamo a che comprenda correttamente ciò che per noi è importante.

È un dono per lui certamente e, almeno nella stessa misura,  dono per noi stessi.

 

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

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