il counselor e gli elementi distorsivi della comunicazione


il counselor e gli elementi distorsivi della comunicazione

            Il ruolo di counselor implica necessariamente una conoscenza approfondita  della complessità nella comunicazione, la competenza di gestirla e di far fronte alle eventuali resistenze dell'interlocutore con strategie appropriate. Che cosa intendo con resistenze? Certamente quelle esplicitate e risolte dall'approccio gestaltico, quelle di cui ci ha parlato e offerto fondamentali esemplificazioni Fritz Perls e anche le resistenze, anch'esse inconsapevoli, di cui si è occupata e si occupa l'Analisi Transazionale, come i giochi psicologici , definiti dinamiche relazionali disfunzionali (Eric Berne,  A che gioco giochiamo ) e distorsioni valutative, interferenze soggettive nella valutazione, come  l’effetto alone.

 

            Ciò che accomuna i giochi e l'effetto alone (preso come esempio di tante altre possibili interferenze soggettive nella valutazione) è che sono inconsapevoli e il soggetto che gioca  o distorce  la valutazione può essere del tutto sincero quando rifiuta categoricamente l'obiezione che il suo comportamento non è stato coerente, né congruente o la sua valutazione non è stata obiettiva. Confrontarsi perciò con una persona in aiuto, inconsapevole vittima di un gioco o rigidamente abbarbicata alle sue personalissime distorte valutazioni su tutti, su tutto e persino su se stessa, è per il counselor una situazione di grande difficoltà e massima responsabilità.

Molti esperimenti hanno dimostrato che giocare un gioco o più giochi ripetitivamente è frutto di complessi automatismi innescati prevalentemente dal copione di vita e fortemente connessi a convinzioni così radicate da costituire parte identitaria del soggetto nei confronti di se stesso. Eric Berne dà questa definizione di gioco: il gioco si compone di una serie di transazioni che hanno una motivazione nascosta, un gancio e un anello che portano al tornaconto  (ibidem) e definisce il copione: piano di vita basato su una decisione presa nell’infanzia, rinforzata dai genitori, giustificata dagli eventi successivi e culminante in una scelta decisiva  (Eric Berne, Ciao e Poi,’72) . Al counselor compete di usare una sapiente strategia per aiutare la persona ad acquisire per gradi la consapevolezza dei suoi atteggiamenti e del suo comportamento, tenendo in grande considerazione che quel terribile gioco si perpetra e funziona proprio perché è "candidamente", ingenuamente ignorato dal giocatore.

            Qualsiasi dubbio possiamo aver nutrito sul fatto che il soggetto sia consapevole del gioco dunque viene fugato da Berne e dall'Analisi Transazionale e così ...ne compare all'orizzonte uno ben più inquietante: forse, anch'io sto giocando ? Il dubbio è l'antidoto per eccellenza, quello che può salvarci, può offrirci l'opportunità di riflettere, osservarci aumentando la nostra consapevolezza e scoprire se, quando e in che modo distorciamo la comunicazione. Il dubbio è il sostegno di cui ogni counselor, ogni formatore sente il bisogno.

            Ad esempio nella scuola, la mancata consapevolezza da parte del docente che almeno uno dei soggetti coinvolti stia distorcendo la comunicazione quanto può compromettere la relazione educativa? Se il docente è ignaro che lo studente stia giocando per un tornaconto, per uno scopo ulteriore nascosto, incongruente con il Verbale, non presterà la necessaria attenzione al paraverbale e al Non Verbale, non riuscirà ad osservare/verificare quale altro scopo lo studente sta cercando: bisogno di carezze-svalutazione di sé e del mondo esterno, difesa di sé, coerenza con le convinzioni del proprio copione, ricerca verifica/giustificazione al proprio comportamento, manipolazione dell’altro, ... e soprattutto potrebbe entrare inconsapevolmente nel gioco, raccogliendo da subito il gancio  e seguendo l'anello  che lo perpetua, fino a creare una relazione simbiotica con l'alunno, il che esclude che possa a questo punto gestire propriamente il ruolo di formatore ed educatore. Quante volte il docente ha di fronte un alunno (o il counselor ha di fronte un cliente) che ripetitivamente usa lo stesso comportamento: “Perché non ? Sì ma…”  , “Non sono capace” , “Prova a smuovermi”  ? 

“Perché non ? Sì ma…”  La prima frase rappresenta la proposta di soluzione ad un problema, la seconda è la risposta che esprime un netto rifiuto, introdotto da apparente iniziale consenso. Ogni soluzione che il docente suggerisce al problema posto dall'alunno viene respinta. È un gioco che nasce dall'ostilità e/o rabbia nei confronti di una persona che rappresenta l'autorità e le figure genitoriali autorevoli dell'infanzia.              Il gioco vuole apparire come una richiesta di aiuto, di un consiglio o sostegno rivolta al docente da parte dell'alunno (o al counselor da parte del cliente), ma in realtà ha lo scopo opposto: respingere ogni consiglio, a prescindere dall'efficacia.

Nel gioco del “Non sono capace” , l'alunno utilizza la propria debolezza come arma offensiva o manipolativa; la propria incapacità e i propri limiti sono accentuati per spingere gli altri, specialmente gli adulti, ad un eccesso di attenzione, di cura, di generosità. L'alunno in tal caso, non chiede, bensì pretende in virtù del proprio disagio, così la propria incapacità diventa un segno di merito. Chi si dichiara incompetente, incapace, è esonerato dallo svolgere compiti, dall'assumersi responsabilità, dal doversi esporre di fronte agli altri; lo svalutarsi è fastidioso ma l'alunno che  vive un simile gioco è più fortemente ricompensato dall'evitare il sottoporsi alle critiche degli altri (docente e coetanei). Chi si dichiara incapace può avanzare pretese e, con le proprie debolezze esibite, può ricattare gli altri. E non meravigliamoci se il gioco è molto diffuso anche tra gli adulti.

“Prova a smuovermi”  è una sfida vera e propria; rappresenta un gioco di potere, messo in atto dal ragazzo nei confronti di chi rappresenta ai suoi occhi l'autorità. È come se dicesse: voglio proprio vedere se riesci a smuovermi e a farmi fare quello che dici tu.

Il ragazzo, disposto a tutto pur di affermare la propria decisione, vuole dimostrare di essere il trionfatore. Le basi sono la rabbia aggressiva contro l'altro, insieme alla svalutazione di sé. Comprendiamo bene che solo se il docente è attento a capire le ragioni nascoste di tali comportamenti, riuscirà ad aiutare lo studente a liberarsene, potrà ad esempio nel momento in cui  si dichiara di non essere capace, indurlo a verificare che cosa in realtà è capace di fare e gli consentirà di distinguere le sue incapacità vere da quelle "false".

            E la distorsione valutativa a scuola? In ogni POF (Piano Offerta Formativa) di ogni scuola, sia di Istituto Comprensivo (cioè la Scuola di Base tre-quattordici anni) che accoglie  Scuola dell'Infanzia, Scuola Primaria e Secondaria di I grado, sia della Secondaria di II grado, la valutazione viene proposta come curata in modo da perseguire la massima obiettività, trasparenza ed uniformità di giudizio e, ne conveniamo tutti, non potrebbe essere che così. Dunque, quali pesanti conseguenze può avere una qualsiasi distorsione inconsapevole come l'effetto alone ? Si tratta di distorsione cognitiva che induce Sopravvalutazione o Sottovalutazione, quando una singola, specifica caratteristica influenza/determina la valutazione globale e trovando la sua base nel Pre-giudizio, nell'esperienza del già noto, già percepito, già sentito...orienta l’attenzione selettiva. Che sia una forma di generalizzazione o di deduzione arbitraria non verificata dal generale al particolare, resta interferenza soggettiva, in un ambito che vuole intendersi obiettivo e per questo sempre legato a confronti ed esiti collegiali, e tanto più pericolosa se resta inconsapevole. E il pensiero corre a quanti adulti conosciamo vittima di valutazioni e persino giudizi del tutto soggettivi e tuttavia da loro vissuti come verità; counselor e docente, ben consapevoli che "la mappa non è il territorio" , potranno essere di aiuto.

            Intanto prendiamo atto che se è vero che per comprendere l'altro (il cliente, l'alunno) occorre imparare a leggere il Paraverbale e LNV (Linguaggio Non Verbale), le parole del corpo e le voci del silenzio, è altrettanto importante che riserviamo questa continua e accurata attenzione al nostro  paraverbale e non verbale. Buon lavoro a ciascuno di noi counselor, formatori e ad ogni adulto.

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

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