“E’ IMPOSSIBILE NON APPRENDERE”. Imparare: il mestiere della vita

Inviato da Nuccio Salis

abilita di vita

Dagli studi sulla comunicazione abbiamo acquisito ed introiettato il noto enunciato che postula: “è impossibile non comunicare”, annoverato come il primo grande assioma della scuola di Palo Alto, diretta da Paul Watzlawick. Per medesima analogia, potremo altresì affermare che per quanto riguarda l’apprendimento, si può sostenere in tutta tranquillità che “è impossibile non apprendere”. E così, se è vero che non vi possono essere soggetti che non comunicano, è altrettanto opportuno considerare che non vi possono essere individui non in grado di apprendere.

Sul livello dei fenomeni comunicativi, si fa riferimento alla trasmissione di messaggi non intenzionali, inviati cioè senza un reale e premeditato atto di volontà. È questa considerazione che, di fatto, estende l’attività comunicativa a tutti i soggetti la cui sola presenza raggiunge altri osservatori.  In linea parallela a tale assunto, si potrebbe concludere che anche i processi dell’apprendimento possono avere luogo anche in assenza di una ragionata organizzazione del percorso di acquisizione di dati e di sviluppo di competenze.

 

Quindi, se è impossibile non comunicare, è anche impossibile non apprendere. Pertanto, si potrebbe anche asserire che la comunicazione non intenzionale sta alla comunicazione, come l’apprendimento accidentale sta all’apprendimento. Ovvero, ciò che esiste come evento più o meno fortuito, all’interno della generale costellazione che fa capo alla comunicazione o all’apprendimento, ne fa parte come una possibile risorsa espressiva in grado di auto-generarsi, senza comandi esterni pre-programmati.

Questa prospettiva allarga le possibilità di osservazione scientifica ed estende anche le ricadute sul piano educativo, in termini pratico-operativi.

Pensando in modo particolare al campo della pianificazione didattica, totalmente invaso dal paradigma del controllo, del monitoraggio, della valutazione itinerante e dell’organizzazione strutturata di procedure legate a passaggi algoritmici, non ci si può non rendere conto di come questa sorta di ossessione automatizzante e meccanicista, rischi di sottomettere l’esperienza dell’apprendimento del bambino ad una logica di mera uniformità ad un livello standard. In pratica, secondo questo tipo di visione delle cose, l’apprendimento può definirsi avvenuto se si può osservare e misurare il grado di competenza attesa dalla richiesta a cui omologarsi.

Si deve tristemente constatare che, nonostante i progressi concettuali e metodologici nel campo della pedagogia, la scuola conserva ostinatamente i vecchi modelli, utilizzando la tecnologia al servizio degli stessi, e quindi assimilando innovazione soltanto per promuovere e garantire una equifinalità dei risultati, sottostimando cioè l’importanza circa i processi e gli stili personali che caratterizzano l’individualità di ciascun studente.

Forse, come operatori nell’area educativa, dovremmo contribuire con maggiore efficacia a divulgare la prospettiva dell’apprendimento come modalità continua di ricerca e implementazione del sapere. Esso deve cioè essere presentato come un cammino che coincide con la linea della vita stessa, di cui ne è sia strumento che fine. Se questo concetto non matura e non si diffonde abbastanza, si rischia di ingabbiarlo dentro parametri piuttosto obsoleti, ovvero considerarlo esclusivamente come prerogativa di chi può gestirlo soltanto mediante griglie, dentro luoghi fisicamente idonei, quali aule, laboratori ecc.

La conseguenza di un tale riduzionismo potrebbe ricadere negativamente su tutti coloro che per vari ordini di motivi non hanno finalizzato gli apprendimenti ufficiali, nei tempi e nei luoghi standardizzati.

Il fatto è che la vita stessa offre una immensa e straordinaria palestra di opportunità, in merito alle ricche potenzialità di accesso all’esperienza dell’apprendimento. Questo processo, di fatto, è ininterrotto, ed è ormai appurato che comincia fin dalla nascita intrauterina, periodo evolutivo in cui il bambino costruisce una serie di competenze dapprima addirittura insospettate.

Quindi, dove inizia e dove finisce l’apprendimento? Forse non si può identificare un preciso luogo o momento in cui esso comincia o termina. Si tratta piuttosto di una straordinaria avventura che ci accompagna per tutta la vita. È un fenomeno permanente, sovrapponibile alla nostra stessa esistenza. Non abbiamo imparato soltanto a scuola. Forse, anzi, la maggior parte delle cose più importanti che facciamo o che sono legati ai nostri interessi e valori, le abbiamo realizzate mediante apprendimenti che esulano dai contesti formali dell’apprendimento, e che si sono ancorati alle contingenze della vera vita. Insomma, non abbiamo appreso sui sussidiari come potare l’uva, baciare il partner, gestire un trasferimento abitativo ecc.

Occorre riportare l’evento apprenditivo in un orizzonte di dibattito che riallacci l’insegnamento istituzionale con la complessa e ben più articolata esistenza del quotidiano. Assistiamo, invece, ad un continuo ed inesorabile processo di scollamento fra contenuti trasmessi e reale investimento sulla realtà, in termini di soddisfazione di profondi bisogni educativi. La scuola non sembra voler ricucire questa discrasia, incrementando piuttosto la sua autoreferenzialità, perdendo così la possibilità di rappresentare un importante agenzia di riferimento per le disorientate nuove generazioni.

In conclusione, nonostante i continui dibattiti sul tema, che fermentano in varie sedi, e le possibili strade percorribili indicate dagli aggiornamenti pedagogici, la scuola persevera nel nozionismo, nell’indicare mete legate alla prestazione, dal de-contestualizzarsi rispetto ai luoghi culturali dell’agire, e in fin dei conti nel naufragare alla deriva, grazie anche alle scellerate scelte di malagestione politica imposta dai vertici ministeriali.

Per fortuna, ciò che conta è che nessuno può smettere comunque di imparare, e di acquisire conoscenze e abilità da validare nella propria vita, guadagnandosi spazi propri di espressione e di attività.

Tutto è occasione di apprendimento. Questo procedimento è dinamico, interattivo, aperto e senza conclusione. Esso è da considerare all’interno di un’ottica ‘every day life’, e che in pratica ci chiede soltanto di lasciarsi guidare dai segni apparentemente casuali che si manifestano, poiché questi ci richiamano ad una lettura chiara e profonda sui nostri significati e sul nostro percorso.

La ‘maestra vita’ conosce molto di più della ‘maestra scuola’, possiede un’offerta formativa di ben più vasto valore, ed un repertorio di occasioni accidentali di apprendimento che non è paragonabile in modo alcuno ad esperienze limitate in termini spazio-temporali.

Ci sono numerose opportunità dalle quali possiamo ricavare preziosi insegnamenti, per noi e per i nostri piccoli.

Vi è da recuperare una pedagogia perduta, fatta anche di circostanze più o meno estemporanee, e quindi di elevato spessore formativo, parimenti al sapere organizzato per unità didattiche. E allora, vi sarebbe da domandarsi, ma dov’è finito il bambino di Rodari? Quello che impara osservando il fornaio impastare il pane, quello che ammira un vigile urbano deviare il traffico, o quello che vorrebbe inseguire un treno e volare nei suoi sogni? Può essere accettato il fatto di doverlo dimenticare, perché sostituito da un pragmatismo di tendenza clinico-diagnostica? Personalmente non lo accetto, ed anzi nel mio piccolo cercherò di custodirlo e difenderlo ad oltranza, affinché ciascun bambino colga che l’apprendimento non è un vissuto fatto a compartimenti stagni, ma la sua risorsa vincente per non smettere mai di divertirsi con la ricerca e con le domande.

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