Finzione del "come se" nel lavoro coi sogni per un insight autentico e profondo


if you can dream it you can do it

Attraverso la “finzione del come se”,[1] nel lavoro coi sogni, la persona sperimenta realmente le sue emozioni e può rappresentare i diversi ruoli e le dimensioni del sé nello spazio sicuro e difeso del setting.

Entrando nello spazio del “come se”, nella simulazione di essere qualcuno o qualcosa d’altro, il cliente comincia a distaccarsi dalla situazione di immobilità emozionale, da una visione della vita in bianco e nero, nella quale non ci sono mezzi toni. La persona recupera la rabbia non espressa nel senso di colpa, la possibilità di coesistenza di amore e odio, conquistando la scala infinita di grigi che connette il bianco col nero e iniziando a restituire fluidità al gioco dei sentimenti.[2]

Nel qui e ora della seduta, la sperimentazione simbolica di esperienze vissute emotive, alle quali si possono ottenere riscontri diversi da quelli che sono concessi dalla situazione di partenza, consente di recuperare lo sviluppo degli strumenti affettivi e cognitivi che non erano disponibili alla persona nella situazione difficoltosa originaria.

 

Contattare e comprendere i propri autentici bisogni che emergono dalle esperienze di rappresentazione del dramma, consente di andare oltre il tentativo periodico e negativo di chiudere le situazioni ancora aperte del passato, avvalendosi degli strumenti, affettivi e cognitivi, che caratterizzano quel passato.

L’intervento gestaltico, secondo anche la prospettiva di Rossi, sostiene la ricerca di un ponte tra la storia esperita nello spazio onirico e la modalità di condurre la propria vita, agevolando una nuova organizzazione del sistema di credenze e l’esame dei propri bisogni e motivazioni. Il passaggio dalla narrazione dell’evento al farlo rivivere riattualizzandolo, fa si che il cliente possa terminare le situazioni reali ancora aperte. In questo modo si attua un rovesciamento temporale, nel quale il cliente si trova a rendere consapevolmente attuali, e quindi modificabili, i momenti con cui è abituato a trasferire in modo inconsapevole il suo passato nella situazione presente. Si può quindi “parlare di intervento sul flusso della condotta come operazione integrativa”,[3] in quanto è “questo rovesciamento che permette il recupero del «senso» del proprio esistere che rende sperimentabile la modificazione della condotta”.[4]

Secondo Rossi, parafrasando Gorgia, chi si è lasciato “ingannare” dalla drammatizzazione ed ha accettato la finzione del “come se” terapeutico è più sapiente di chi non è passato attraverso ad essi. Quanto più l’inganno è completo, tanto più è ampio e intenso l’insight che ne deriva. La misura della sapienza è commisurata alla sincerità dell’immedesimazione ed espressione dei sentimenti che si accetta di contattare.

 


[1]Oliviero Rossi,  “L’inganno che guarisce” in In Formazione  Psicoterapia Counseling Fenomenologia,  n.1, gennaio - febbraio 2003, pagg. 56-61, ed. IGF. Roma.

[2]Ibidem.

[3]Oliviero Rossi, “Il teatro del sogno come flusso della condotta”  in In Formazione Psicologia Psicoterapia Psichiatria, n. 31, maggio - agosto 1997, pagg. 56-73, Roma.

[4]Ibidem.

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