dialogare con se stessi...


ansia

 

dialogare con se stessi...

 

         Parlare di ciò che ci appassiona ci permette di vincere quasi con facilità la resistenza dell'interlocutore o di un'intera platea di ascoltatori, ma non è affatto scontato che riesca a convincere ...noi stessi.

         Mentre ci rivolgiamo all'altro, soprattutto se abbiamo un ruolo che ci pone abitualmente in posizione di vantaggio (come ad esempio quello di docente o di counselor) mettiamo in atto strategie utili ed efficaci a far sì che il nostro messaggio arrivi, che ci sia restituito un feed back che confermi l'avvenuta comunicazione e, per immediata trasposizione, supponiamo di esercitare tale abilità comunicativa anche con noi stessi, tra noi e il nostro interlocutore interno. Addirtttura, più constatiamo effetti positivi nella comunicazione con gli altri, più si rafforza la nostra convinzione di avere un buon dialogo con noi stessi, di essere in grado di ristabilire, quando lo vogliamo o quando è necessario, il nostro equilibrio interiore.

 

MA, come quando un evento è noto e visibile scambiamo la sua visibilità per semplicità, o peggio per banalità, così può accaderci di sottovalutare la complessità che si nasconde proprio in ciò che già da tempo crediamo di aver compreso in noi.

Direi addirittura che più ci appare facile parlarci, più spesso affermiamo "sono d'accordo con me stesso" e più rischioso si fa gestire il dialogo con noi stessi. L'approccio gestaltico, in effetti, ci rammenta che leggere l'ovvio non è impresa così ovvia e naturale come si potrebbe ipotizzare e proprio perché è abilità essenziale per comprendere la realtà, ci guida per diventarne capaci.

         Dicevamo dunque il dialogo con noi stessi. In quanto dialogo, anche il dialogo con noi stessi presuppone  che due siano gli interlocutori e che da una posizione iniziale, si giunga ad una finale, attraverso un passaggio interlocutorio;  occorre, insomma, che si realizzi un confronto tra me e...e chi?

Come "funziona" questo dialogo interiore? è una "voce" interna o esterna, quando ci assilla di più, quando tace...se tace?

         È certo che non è semplicemente il mio pensiero, è qualcosa di altro, di più potente, forse è un "calcolatore interno", un computer che indirizza le mie azioni, mi indica cosa devo fare, mi infonde coraggio o mi impedisce di sfruttare al meglio il mio potenziale, mi riconosce meriti, mi suggerisce che sono gli altri in errore...
È possibile, ne siamo sempre più convinti, allenare il dialogo interiore perché sia a noi utile ad esercitare un modo di pensare positivo ed è altresì provato che i migliori risultati si hanno quando si influenzano i dialoghi interiori in modo mirato e sistematico così che rispondano tutti a determinati princìpi.

MA, se il mio interlocutore interno è così influenzabile e, a sua volta, ha potere di orientarmi in una o in un'altra direzione, non sarà il caso di allertare ogni mia competenza e abilità per scoprire da chi è esso condizionato?

Accendiamo i nostri radar alla ricerca del "persuasore occulto" ogni volta: può essere esterno o... interno, come le nostre stratificate e consolidate convinzioni, macigni solidi multiformi e cangianti, abili nel mimetizzarsi, tanto da apparirci come reale rappresentazione della realtà. Ed è proprio così che dalla realtà siamo allontanati, introdotti in un mondo interiore in cui condizionamenti e resistenza al cambiamento hanno preso il posto del dialogo.

 

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

 

 

 


 

 

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