ESTIMITA’: a me i riflettori!

Inviato da Nuccio Salis

estimita

I messaggi veicolati incessantemente dai mass-media, con tutta la loro carica esplicita ma anche implicita di invadenza simbolica, sono sempre più capaci di orientare gli stili di vita delle persone e condizionarne interessi, modelli di consumo e tendenze identificative. Il bombardamento rapido e sistematico di immagini, suoni, slogan, viene accuratamente programmato in modo tale da bypassare le difese critiche e raziocinanti del soggetto umano, per indurlo con puntualità, come in una sorta di movimento automatico, a seguire i dettami omologanti di mode e abiti mentali comunemente agiti.

Attualmente, la creazione artefatta del prototipo del consumatore medio, sembra essere però andata oltre il già complesso meccanismo della fabbrica dei bisogni di cui nessuno avrebbe bisogno. Agli astuti persuasori mestieranti, oramai, non basta più aver costruito (con la collaborazione dei seguenti) automi acritici infatuati di loghi, marche e oggetti di consumo. Un’altra caratteristica che emerge con severa prepotenza, fra i tratti descrittivi salienti dell’umano contemporaneo, sembra infatti essere quella della estimità.

 

Essa è riconosciuta come quella qualità attraverso la quale ciascun individuo è portato a far trapelare la propria interiorità, rendendola visibile e condivisibile. Invero, è questa la proprietà che sospinge ciascuno di noi a realizzare rapporti di scambio, reciprocità e apertura col prossimo. Esattamente come il suo rovescio, ovvero l’intimità, ad essa si può addurre certamente una importante funzione, specificamente riguardante l’ambito della ricerca e della costruzione di un sistema di legami e di alleanze strategiche, col fine di poter contare su dinamiche interpersonali provviste dell’elemento del supporto e della gratuità affettiva. Trattasi dunque di una risorsa assolutamente spendibile, dai risvolti utili e imperdibili.

Cosa succederebbe, però, dal momento che il suo uso superasse il dosaggio di una sana e saggia finalità di unione e complicità interpersonale basata sulla fiducia? Ovvero, se da un concetto di limite nel comportamento, si passasse ad un comportamento “limite”.

In altre parole, l’interrogativo riguarda quale sia l’utilizzo efficace dell’estimità, affinché la stessa non trascenda in un’apertura verso l’altro non protettiva, azzardata, ingenua, senza pudore o, in alcuni casi, marcatamente pianificata per fini opportunistici. Come l’intimità, dunque, essa va ricercata e sapientemente usata in modo congruente, al fine di preservare il Sé da derive personologiche poco equilibrate e assai perniciose.

Una volta identificate le sue funzioni, questa andrebbe integrata a doppio anello con il corrispettivo psichico dell’intimità, a cui è deputato specularmente il compito di salvaguardare il mondo interiore, generando capacità autoriflessiva e introspettiva, difendendo gli angoli remoti dei propri vissuti e della propria identità, il cui spessore emozionale e valore esistenziale non può essere desecretato senza alcun criterio, alla mercé di chiunque. L’intimità rappresenta dunque un richiamo alla percezione di valore di se e della propria storia, quindi essa si palesa come attitudine a potenziare autostima e consapevolezza interiore.

Entrambe, dunque, andrebbero contemplate secondo un principio di sintesi armonica e di unione integrata. Esattamente come i principi “estroversione” e “introversione”, legati alla teoria junghiana dei tipi psicologici.

I disagi, assai probabilmente, si manifestano dal momento in cui una delle due componenti è iperstimolata in modo tale da prevaricare sulla sua controparte utile e complementare. Per tradizione culturale, l’estimità, così come l’estroversione, è stata in un certo senso considerata prioritaria, più importante, e quindi premiata. L’intimità, e relativa compagna introversione, viene percepita, in modo del tutto pregiudiziale, come una sorta di aspetto debole e vulnerabile dell’individuo, una spinta intimistica che mal si addice ad un mondo che richiede sfacciataggine, vigore, forza emotiva, capacità di imporsi e di sopraffare. In una società organizzata intorno al conflitto e alla divisione, dove si vive sgomitando, osservare caratteri introversi diventa un’esperienza che suscita allarme e preoccupazione, e che fa bollare come malattia o difetto, qualità come la timidezza o la discrezione, rischiosissime zavorre in una società il cui valore di se è dato dall’abilità di competere, di emergere a tutti i costi, fosse anche con l’espediente vigliacco, con l’artificio disonesto, con tutti i mezzi leciti e illeciti pur di primeggiare, tagliare traguardi e prendere medaglie e medagliette.

L’elevata tensione sociale dovuta a una crescente crisi occupazionale e difficoltà di trovare una propria adeguata e gratificante collocazione, congiunta a un recrudescente e inarrestabile arrivismo  e “cultura” della sopraffazione, trova nell’intimità una diversità con la quale non si è capaci di colloquiare. Chi rivolge particolare cura alla dimensione del Sé interiore, specie tra le nuove generazioni, si ritrova puntualmente in una situazione di collocazione marginale rispetto al gruppo, esperienza che porta, nel soggetto dipendente dalle attenzioni altrui, a recidere questa importante qualità, ed a optare verso una trasformazione innaturale e irrispettosa circa la propria autenticità, con la conseguenza di espandere il disagio e il malessere interno.

Nella odierna società consumista, non solo si è indotti ad avere le cose superflue che hanno gli altri, ma si è spinti anche a voler essere come coloro che sono chiamati vincenti, in quanto semplicemente popolari. In questo consiste precisamente l’eccesso di estimità, ovvero l’accettazione di una situazione avvertita come inadatta al vero Sé, ma accolta col fine di esorcizzare la paura numero uno dell’essere umano: rimanere solo e non ricevere considerazione da nessuno. Pur di rifuggire da questo orrore viscerale che caratterizza ogni soggetto umano dalla cosiddetta notte dei tempi, egli preferisce accodarsi a uno squalificante panorama identitario del Sé, pur di non subire l’esperienza dell’out-group. È esattamente su questa angoscia primaria che si gioca tutta la strumentalizzazione del bisogno umano e della sua conseguente corruttibilità, ed è altresì su questo aspetto che si impernia la vera chiave di svolta dell’individuo e dell’intero genere umano. È il superamento di tale terrore primigenio che segnerà definitivamente l’attraversamento del confine con quella bestialità arcaica e manipolabile che, ancora oggi, fa prevalere il nostro immaturo e rudimentale istinto di aggregazione. Tale paura sembra esprimersi, spesso e volentieri, in una sorta di meccanismo preventivo di reattanza, secondo la quale il soggetto sembra pensare che sia meglio mostrarsi subito come molti a loro volta appaiono, con maschere dovute a comportamenti di obbligata estimità, in un carnevale orgiastico di identità fasulle, dominate dalla paura, dal disagio e dalla frammentazione di sé.

È questo eccesso di estimità che sollecita in modo perseverante la voglia di essere al centro dell’attenzione a tutti i costi, di mostrarsi, di farsi notare, di far discutere, di essere oggetto di interesse. In un contesto socio-culturale determinato dall’esperienza ricorrente di essere inascoltati e incompresi, incapaci di dar voce, senso e respiro ai propri stati emotivi, la naturale conseguenza è il lancio di un grido che invoca sguardi su di se, e non importa per quale causa, pur di non avvertire l’angosciosa e ferale mortido riempire ogni anfratto di pensieri e sensazioni. Ed ecco, di conseguenza, tutti quei comportamenti devianti, destabilizzanti o inattesi, che riempiono le cronache distraenti dei media nazionali, e che si manifestano mediante espressioni di sé narcisistiche, esibizionistiche, quindi attraverso un’identità che sa riconoscere se stessa soltanto nel caso si metta in sovraesposizione, in una spasmodica rincorsa al palcoscenico.

Le tecnologie multimediali di cui disponiamo forniscono un mezzo per espandere questo potere di sovrabbondante esposizione di se. Social network, web-cam, siti personalizzati, I-Pad, consentono una diffusione della propria identità che rinforza e richiama di continuo il desiderio di mostrarsi e di raccontarsi pubblicamente. Se privi di un adeguato autocontrollo, tali mezzi possono esporre a rischi e pericoli che includono la violazione della propria riservatezza, con diffusione di materiale audio e video della cui fruizione non ne è garantita la liceità. Inoltre, l’abituale impiego senza alcun filtro critico, ma anzi condotto addirittura allo scopo di esaltare la propria irrinunciabile visibilità, rimette in auge quella prima regola della psicologia del comportamento a cui ho già fatto riferimento, e che si potrebbe sintetizzare nel motto: “Meglio preso a bastonate che non considerato affatto”. L’essere umano preferisce gli sputi in faccia all’indifferenza e all’abbandono, proprio come ampiamente trattato anche in Analisi Transazionale a proposito della funzione delle carezze negative.

L’eccesso di estimità rompe il confine fra segreto e incondivisibile, e prorompe sull’altro, senza che questi ne accordi il permesso, rovesciando contenuti della propria vita, mediante rivelazioni che aprono all’inconfessabile. Per ritornare al linguaggio transazionale, si potrebbe dire che cessa l’incomunicabilità circa la struttura del Copione amartico di terzo livello, che contiene tutta quella sceneggiatura riservata, fortemente “top secret”, considerata talmente personale da avere vergogna di condividerla, anche per le spiacevoli conseguenze che si paventano.

Forse è veramente il caso di riflettere, in tutti i luoghi della formazione dedicata soprattutto ai giovanissimi, sui processi del fenomeno riguardante l’eccesso di estimità, in quanto questo argomento chiede di essere affrontato col rigore filosofico e psicologico che merita, nel tentativo di attenuare questa labilità identitaria, e restituire dignità e vera vita a ciascun essere umano. 

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