Disabilità

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Cambia il termine non la sostanza. Un tempo si parlava di handicap, oggi di disabilità. Due termini che ritengo inadatti a rappresentare situazioni e condizioni di vita che vivono molte persone. Handicap richiama qualcosa di animale e competitivo, come le corse dei cavalli. In un modo o in un altro, siamo tutti portatori di handicap, a meno di considerare veritiero il mito del superuomo. Molti provano disagio nel confronto con una persona disabile e questo avviene per diverse motivazioni. La paura di potersi trovare un giorno a dover sperimentare personalmente o nella propria famiglia la disabilità. Timore di offendere con parole e comportamenti fuori luogo. Senso di colpa per essere “normali”. Le famiglie dei disabili il più delle volte orientano la loro quotidianità in funzione della disabilità, precludendosi una vita sociale e isolandosi dalla comunità “non disabile” ritenendosi, a torto, diversi dagli altri. Alla famiglia è necessario rielaborare il lutto onde recuperare una visione ottimistica della vita. Certo, non è facile, spesso dipende anche dal tipo di disabilità, ma il meccanismo della negazione è sempre dietro l’angolo. Il counselor può fare molto, purchè eviti di sostenere la negazione per il timore di far male. Il coinvolgimento delle famiglie nel cerchio perverso del pietismo e della rivendicazione risarcitoria è un altro rischio. A volte si creano proprie enclave della disabilità, dove ci si ritrova tra famiglie che presentano tale problematica, associazioni a tutela delle persone disabili e cosi via. E’ il luogo d’incontro dove sentirsi uguale agli altri. A volte può essere terapeutico ma è anche il segnale che una vera integrazione è ancora lontana. Vi sono sicuramente isole felici, aree di integrazione vera, a patto di non scadere nel puro assistenzialismo o ancor peggio nel pietismo. Occorre evitare che sia la disabilità il perno della ruota del quotidiano ma sia al contrario la persona disabile. E’ una prospettiva diversa ma fondamentale per il percorso verso l’integrazione. Diviene cruciale mettere in rilievo ciò che la disabilità concede che ciò che impedisce. Anche il disabile è una persona con molte risorse. Laddove esiste un percorso di integrazione vera lo stesso disabile acquisisce consapevolezza dei propri limiti evitando la strutturazione di atteggiamenti di rabbia e rivendicazione che sono correlati il più delle volte alle richieste assurde della società che considera prioritari efficienza e produttività. Una società più umana è forse parte della soluzione. Certo l’umanità oggi appare meno consistente, ci si preoccupa molto dei diritti, sicuramente passo necessario, ma se il centro dell’agire rimane non il disabile ma la patologia, la disfunzionalità, la propulsione verso l’integrazione tende a regredire.

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