La fiducia nel percorso di Counseling


fiducia

Il tema della fiducia in un percorso di counseling è molto vasto. Fiducia del counselor verso il cliente e le sue possibilità di evoluzione. Fiducia del cliente verso il counselor. Troppa fiducia e attese miracolose, troppa sfiducia e sospettosità. Costruzione di una fiducia equilibrata durante il percorso. Origini di tutto questo nell’infanzia e nell’evoluzione della persona. Esperienze positive e negative che hanno determinato il comportamento individuale attuale. Etica e valori. Deontologia professionale. Insomma potremmo dire e scrivere tanto, siccome in questi giorni è per me un tema di attualità, in questo articolo vorrei radunare alcuni spunti e farne una personale rielaborazione.

Da piccolissimi impariamo una fiducia che corrisponde ad un abbandono totale, siamo completamente dipendenti e non possiamo fare altro che confidare ciecamente che qualcuno ci amerà e si prenderà cura di noi. Tracce di questa fiducia totale iniziale, e di quello che ne facciamo crescendo, resteranno per sempre dentro di noi. Un bambino piccolo impara a non perdere fiducia quando la mamma se ne va. Impara che gli adulti non ci sono sempre, e che fidarsi significa appunto confidare che poi ritorneranno e ci saranno per lui, e quindi non preoccuparsi troppo durante la loro assenza. Quello che scrivo è un drastico riassunto, ovviamente la questione meriterebbe ben altro, ma in sostanza si tratta di questo. Se la fiducia cieca del bambino non viene tradita, o se invece è proprio questo che accade, e non una volta ma tante, questo determinerà in buona parte il comportamento, il pensiero e l’emozione dell’adulto su questo tema, se ci fidiamo o no degli altri ha le sue radici nell’infanzia e nel primo rapporto di fiducia della nostra vita.

 

Fiducia significa dar credito a qualcuno. La parola credito contiene la radice credere, come la parola fiducia deriva da fides, fede, e richiama anche foedus, patto. Se mi fido di qualcuno significa che non pretendo un contratto, che non potrò impugnare una norma, far ricorso a una autorità o a un giudice. Mi fido, dunque scommetto. Sapendo che potrei anche essere tradito. E qui c’è una differenza tra un bambino ed un adulto che ha un buon equilibrio sulla questione fiducia. Nel counseling c’è un esplicito contratto a tutela reciproca, ma in effetti questo non sostituisce la fiducia reciproca, semmai la confina.

Un cliente con un buon equilibrio su questo tema sa che fidarsi significa scommettere. Ma una scommessa non del tutto alla cieca. Cerca di approfondire l’impressione che ha del professionista, e comunque si fida relativamente soprattutto all’inizio, sospende per un po’ il giudizio. Clienti poco autonomi si affidano completamente, clienti sospettosi si fidano troppo poco e a priori, magari perché in passato hanno avuto esperienze negative. A volte, l’equilibrio del cliente sul tema fiducia è da costruire durante il percorso, limitando l’affidamento alla cieca oppure riducendo la sospettosità, quale che sia l’obiettivo del percorso stesso.

Inoltre, se sono adulto e ho un buon equilibrio posso anche accettare i limiti delle persone a cui ho dato fiducia. Le persone non sono mai completamente affidabili, non lo sono su tutto, non lo sono sempre. Sta a me decidere se le delusioni che mi danno sono accettabili o no, e in questo caso interrompere la relazione, ma se per fidarmi pretendo il 100% di affidabilità verrò inevitabilmente deluso. Proporre questo a un cliente è compito del counselor, fargli sapere che è un professionista capace ma non infallibile, altrimenti la fiducia equilibrata non sarà sperimentabile.

Il counselor può aiutare il cliente che si affida alla cieca a prendere atto degli svantaggi dell’ingenuità, ed anche il cliente sospettoso a rendersi conto degli svantaggi della sfiducia, che sono meno evidenti ma altrettanto devastanti delle relazioni e del benessere personale. Quando viviamo nella sfiducia e nel sospetto non stiamo bene, il dubbio ci tormenta e comunque non possiamo più provare le belle sensazioni che la fiducia ci permette: solidarietà, appoggio, comunanza, amore. Quando ci fidiamo stiamo bene, perchè in qualche modo riviviamo quel primo rapporto importante, basta imparare a non esagerare.

Penso che un percorso di counseling permetta al cliente sostanzialmente questo. La possibilità di sperimentare una relazione di fiducia, perché il counselor fornisce sufficiente protezione. La possibilità di sperimentare una relazione adulta, perché il counselor non è un taumaturgo, non risana ogni cosa, e, pur essendo speriamo competente e capace, è un essere umano e come tale ha dei limiti. Ecco, un buon percorso di counseling permette al cliente di sperimentare protezione, fiducia equilibrata, accettazione positiva dei limiti di sé e dell’altro. E per diverse persone queste sono grandi novità.

Vorrei accennare adesso al tema delle “prove”. Quando qualcuno teme di essere tradito, ma non è sicuro, ne cerca le prove, e me le racconta. (E qui ovviamente c’è una trappola, il cliente chiede un appoggio, vero che ho ragione? Se lo dimostro a te, se convinco te che sei counselor, allora ho ragione. Beh, appunto, siamo counselor e non giudici). A volte ci sono evidenze vere e proprie, dati di fatto che dimostrano che qualcuno si è approfittato della fiducia del nostro cliente, e quindi occorre che lui o lei prenda una decisione, un provvedimento. Anche per ora non faccio nulla è una decisione, significa comunque che il cliente ha preso atto della realtà, questo vale soprattutto per chi tenderebbe a ignorare più o meno inavvertitamente le evidenze per non affrontare la situazione. Apri gli occhi, guarda i dati di fatto, e poi decidi, possibilmente non d’impulso. Pensaci almeno un po’, lascia decantare almeno un po’. Come counselor possiamo aiutare il cliente a fare questo. A volte non ci sono evidenze vere e proprie, ci sono sospetti, ci sono indizi, ma non sono incontrovertibili, potrebbero indicare che qualcuno sta tradendo il nostro cliente, ma non è certo. E qui parte qualcosa che tende, accenna, alla paranoia. Parte una serie di ipotesi, elucubrazioni, tomenti, che sono frutto appunto di questa incertezza: potrebbe essere ma non è certo. Ecco, qui l’aiuto del counselor può essere distinguere reale da ipotetico, certo da possibile. Anche qui poi occorre decidere e possibilmente non d’impulso. Ma sapendo che la decisione è basata su probabilità, non su dati di fatto.

Infine, molti affermano che per avere fiducia negli altri occorre avere fiducia in se stessi. Sono d’accordo, questo vale particolarmente per noi counselor. Fiducia nelle nostre capacità e competenze, auto protezione, evitare di cadere nell’onnipotenza oppure nell’auto svalorizzazione. Però credo che per fidarsi degli altri sia altrettanto o forse più importante meritarsi la fiducia degli altri, vale per tutti e per i professionisti dell’aiuto forse di più. Quando i nostri comportamenti, pensieri e sentimenti sono tali che ci accreditano verso le persone che incontriamo o con cui stiamo, meritiamo fiducia. Di solito sono comportamenti di sufficiente coerenza, comportamenti etici, autentici. Meritare fiducia ci aiuta a fidarci degli altri, perché interrompe quel circolo vizioso che gira all’incirca così: io non mi comporto in modo da meritare stima e fiducia, cerco di nascondere quello che faccio, cerco di mostrarmi meglio di quello che sono, … dunque gli altri faranno altrettanto. È il primo articolo della legge scout: la Guida e lo Scout pongono il loro onore nel meritare fiducia. Per me è un grande indirizzo per la vita. E per il nostro lavoro.

Grazie a chi mi ha letto, a chi vorrà commentare o dialogare attraverso i social network e anche a tutti i clienti che mi hanno dato fiducia in questi anni.

Simonetta

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