L’EDUCAZIONE DUALISTICA DEL PENSIERO. Tutti a scuola di Verticalità

Inviato da Nuccio Salis

dualistico1. La formazione scolastica, dalle primarie in poi, è un’autentica palestra di addestramento del pensiero convergente, ovvero quella modalità cognitiva che processa le informazioni già in possesso sulla base di steps già collaudati, riconfermando in buona sostanza il proprio sistema interno di conoscenze e di convinzioni personali. Dati statistici e visibili conseguenze sembrano confermare pienamente questa abituale finalità istituzionale.
Dopo la scuola dell’infanzia, infatti, che mostra molto spesso di sapersi prendere cura e di mettere al centro i reali bisogni dei bambini, il percorso di crescita subisce un brusco e violento arresto, ribaltando e dunque disperdendo tutto il potenziale creativo stimolato durante l’esperienza cosiddetta prescolare.
Certo, sarebbe molto facile bersagliare di critiche una scuola che nel nostro Paese ha forgiato soldatini per un regime, che conserva ancora predelle e predelline nei suoi arredi mentre si mostra il più delle volte fatiscente e fuori norma con le regole edilizie sulla sicurezza o sulle barriere architettoniche; mi rendo conto che è troppo semplice attaccare una scuola che ha trattato i sinistromani come malati, etichettandoli di mancinismo, che ha fatto sempre fatica a seguire le innovazioni, e che oggi si ritrova ad arrancare dentro un vortice di confusione normativa, tensioni, disorientamento, conflitti e incomprensioni con le altre agenzie formative.


Pur tuttavia, ogni volta che si producono o si comparano ricerche e studi sull’educazione e la didattica del pensiero, tale critica viene puntualmente avanzata, e non certo per abile diletto provocatorio, ma soltanto per il fatto che la tradizione scolastica nel processo insegnamento/apprendimento continua da sempre a privilegiare una sola forma del pensiero, quella convergente, lasciando al margine gli essenziali processi di modellamento di un pensiero orientato anche alla rilettura del dato in chiave critica, creativa e ricostruttiva.
La persistenza su tale modello può suscitare facilmente riflessioni di natura socio-politica, che si prestano molto a un prelibato orizzonte di lettura sul fenomeno dei rapporti di potere e sul legame istituzione/cittadino.
La perseveranza di tale negligenza, infatti, non può essere giustificata infatti su un piano didattico, dal momento che le ricerche scientifiche sui processi dell’apprendimento e della crescita personale olistica, dimostrano nel dettaglio i vantaggi di una combinazione dei processi convergente e divergente del pensiero. Perché dunque si continuano ad addestrare gli studenti soltanto su una sola direzione?
La formazione tradizionale si propone ad appannaggio del pensiero convergente, premiando chi esegue la regoletta e la formuletta con la precisione che è richiesta, per più e più volte, come in un interminabile automatismo che consegna grandi riconoscimenti a chi si adegua a ciò che si sa e al dato certo ed incontrovertibile, a chi dimostra di saper consacrare le forme del sapere accettate ed acquisite. Declamare a memoria una poesia, ovvero far uscire dalla bocca i suoni corrispondenti a quelli acquisiti dal codice letterale appreso, viene maggiormente riconosciuto rispetto a una personale rielaborazione creativa su un contenuto di conoscenza. Ripetere, memorizzare, riempire l’archivio mnestico di nozioni demotivanti e antistoriche, giudicarne e quantificarne il riempimento con un voto ed un giudizio, e chiamare tutto questo “studio”; mi sia consentito dire che è quanto di più improprio e ingannevole avvenga nella vita di un giovane studente.
Certamente, processi ed attitudini come la memoria e l’attenzione richiedono di essere attivate, poiché rappresentano sistemi della massima importanza, decisamente coinvolti nell’esperienza dell’apprendimento. Ma trattarli in modo parcellare, isolandoli dal resto dei fattori educativi ed evolutivi dell’essere umano, conferma una visione tutto sommato addestrativa, basata sulla schematizzazione seriale di una prevedibile sequenza di Stimolo/Risposta.
Ora che gli addestratori di animali acquisiscono impropriamente il titolo di “educatori”, essere detronizzati dal mondo della scuola è un attimo. Servono solo insegnanti un po’ meno capaci degli addestratori, ed alunni un po’ più vicino al comportamento da bestie. Ribadisco, è proprio un attimo.

 

2. Quello che dunque mi preme dire, è che sostengo ciò che da decenni ormai ripetono pedagogisti, ricercatori dell’età evolutiva e oggi anche neuroscienziati, in un’assordante polifonia continuamente inascoltata. Mi aggiungo a questo coro di voci di cattedrale da deserto, denunciando l’arretratezza, più o meno pianificata, della scuola di questa Repubblica, che si riforma tutti gli anni senza cambiare, che crolla fisicamente, che sforna auliche offerte formative con sigle quali POF, POR, PON, nell’attesa del “PUM” finale; una scuola il cui unico problema in grado di porre è se dobbiamo rimuovere il simbolo di Nostro Signore dalle pareti delle aule e dei corridoi, visto che ormai è soltanto un archetipo al pari di una superstizione, nella civiltà che ha ben altri dei da venerare, per esempio il dio denaro e sua maestà la Scienza (senza coscienza). Questa scuola, che si è creata una sua matrix del tutto scollata dalla realtà del vivere quotidiano, isolata da una dirigenza politica che ne intravede soltanto la scomodità, qualora decidesse di formare un solo cittadino sensibile e responsabile, critico e pieno di dubbi e domande, continua imperterrita la sua corsa verso un’implosione senza precedenti. Ed invece di correre ai ripari, cosa fa? Quello che è abituata a fare da decenni: ammaestrare! Demandando alla sola forma del pensiero convergente ogni processo di problem-solving, perdendo l’opportunità di far emergere vissuti, valori, bisogni ed esperienze che un’intera generazione di castrati mentali fatica a comunicare, sotto qualsiasi forma.

 

3. La difficoltà nel concepire un modello educativo olistico e dunque globale anche del pensiero, risiede sempre a mio inusabile avviso nel vizio della forma mentis dualistica che appesta ed ammorba la mente dei più. Eppure qui la questione non è se bisogna esercitare o la forma convergente o quella divergente. Il fatto è che bisogna promuoverle entrambe. E bisogna farlo anche armonicamente, ovvero coniugandole strategicamente, ove utile e necessario. Urge un cambiamento di paradigma che eviti di relegare a schemi obsoleti un concetto di priorità gerarchica; bisogna intendere che tutto è importante, e tutto merita di essere accolto e considerato, all’interno di un approccio educativo dove il processo conta più del risultato.
Una mente efficiente integra i due livelli (convergenza e divergenza), offrendo a se stessa l’opportunità di armonizzarsi con maggiore equilibrio, captando motivazioni autentiche, sperimentando finanche il piacere della conoscenza e della scoperta. Si desidera spesso motivare i ragazzi allo studio, ma come si potrebbe farlo se non si rinnovasse lo studio medesimo? Ovvero i suoi contenuti, i suoi processi, i mezzi per sostenerlo, il senso e l’utilità che si desidera far condividere e percepire.
Ed il primo percorso pensabile, secondo me, potrebbe risiedere proprio nel tentativo di conciliare ciò che fondamentalmente è già unito ma che la piccola mente stolta del genere umano ha invece diviso. Fondamentalmente, quando parliamo infatti di pensiero: sia esso convergente, divergente, laterale, produttivo, creativo, verticale, parliamo di una cosa sola, che non è divisibile, il pensiero è sempre e soltanto uno, e le forme con le quali si può manifestare possono propendere per l’una o per l’altra espressione, a seconda delle circostanze, degli interessi, degli atteggiamenti personali e del modo con cui si interpreta la realtà.
Forse, entrando dentro questa ottica, la frammentazione Lateralità/Verticalità, diverrebbe soltanto ciò che infatti è, ovvero un sistema che vuole descrivere in termini teorici e interpretativi un unico fenomeno, quello del pensiero. Lo stesso psicologo Edward de Bono che ha coniato la fortunata espressione “pensiero laterale”, lo intende come co-abitante all’interno del modello di una mente che funziona comunque per schemi ed obiettivi programmati, ma che ritrova nella lateralità il piacere della sospensione dello sguardo, dell’assenza del giudizio, della possibilità di pensare a soluzioni assurde o paradossali, ma che si accolgono col beneficio di un divertente incantesimo creativo, in grado di stimolare eventuali processi solutivi non dapprima immaginati.
In pratica, se a scuola l’esperienza dell’errore è cassata, evidenziata in rosso o peggio punita, l’approccio laterale riporta in avanscoperta il valore del dubbio, della prova e dell’errore, del tentativo sperimentale, dell’incertezza socratica come nuova ipotesi di apprendimento e di problematizzazione della quotidianità. Ovvero, anche nel percorso che appare obiettivamente errato, se valutato con la lente della verticalità che tende invece all’esattezza e alla corrispondenza fra ciò che già si conosce e ciò che si confermerà, si vuole invece sollecitare un piano di esperienza in cui si diventa capaci di superare il tabù dell’intuito, della sicurezza dei percorsi e della ripetitività, per accedere a un percorso in cui l’estemporaneità si dimentica di proposito degli obiettivi, e anzi può non nemmeno fissarli, scoprendo magari inediti passaggi o elementi prima non considerati.
A volte, insomma, per scoprire bisogna essere ciechi, non conoscere, dimenticarsi del sapere, pur conservando la consapevolezza del suo esserci. In fin dei conti ce lo insegnò già Socrate col motto “Io so di non sapere”.
Per riprendere, a scanso di equivoci, ciò che fa funzionare la mente in modo efficiente è la congiunzione corrispettiva delle due forme del pensiero Lateralità e Verticalità. Come quando parliamo della congruenza operazionale fra emisfero destro ed emisfero sinistro. L’unità produce armonia, la separazione crea processi disfunzionali. Difatti, una forma del pensiero non può essere concepita distaccata dall’altra, poiché la loro unione ha anche una funzione compensativa, nel senso che la sola Lateralità priva di controllo e di limiti suggerisce l’idea non di un’esperienza continua su un’ideazione bizzarra senza scopo utile, e specularmente la Verticalità rimanda all’inevitabile immagine della rigidità mentale. Insomma, la sola Lateralità è psicotica, la sola Verticalità è nevrotica. Solo utilizzate sapientemente insieme possono darci il vantaggio di far confluire in un unico sistema tutte le qualità migliori di cui siamo dotati al livello del pensiero. Le novità, le invenzioni e le ristrutturazioni della Lateralità possono, una volta liberatesi della zavorra dei preconcetti e della rigidità delle convinzioni, essere riconsegnate alla verifica di una Verticalità che richiede anche analisi e rigore selettivo, laddove è richiesto l’ordine o una capacità progettuale che deve poi misurarsi con la dimensione del costruibile, ad esempio, non soltanto dell’immaginabile.

 

4. Dunque, in conclusione, spetta anche e soprattutto alla formazione scolastica programmare un nuovo paradigma di pensiero da allearsi efficacemente a una rivoluzionaria idea di individuo umano, nella consapevolezza che un tale cambiamento porta nel legame fra intrapsichico ed interpsichico.
La capacità di cogliere e fronteggiare una sfida di tale portata farà la futura differenza qualitativa non solo della scuola ma di una buona parte del genere umano.
 

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