Comunicare con efficacia nell’epoca dello spread – 2


spreadNon staremo qui a spendere troppe parole sui concetti di “ comunicazione “ e di “ efficacia “.

Sappiamo bene che comunichiamo efficacemente quando siamo in grado di realizzare gli obiettivi della comunicazione o se vi ci avviciniamo in misura significativa. Come questo si realizzi, poi, è oggetto di discussione tra i vari orientamenti teorici che si occupano di che cosa accade, in termini di contenuti e forme, tra le persone quando entrano in contatto tra loro.

Secondo qualcuno, l’efficacia comunicativa coincide con la congruenza tra il linguaggio verbale e quello non verbale. Da quest’ottica, dunque, risulta essenziale una adeguata coordinazione della propria gestualità, mimica, postura, prossemica, uso della voce e dello sguardo, così come è necessaria l’attitudine a cogliere le medesime modalità nel proprio interlocutore ed interpretarle adeguatamente.

Per qualcun altro, pur nel riconoscimento della validità della padronanza del non verbale, la comunicazione efficace è esito, in misura preponderante, della gestione di quanto accade, in sé e negli interlocutori, in termini emotivi e cognitivi. Comunicare efficacemente, secondo quest’orientamento, è il risultato della capacità di dipanare  il groviglio di emozioni, pensieri e convinzioni che generano la comunicazione e che da essa, nel contempo, sono generate.

 

Da tale prospettiva, quella in cui di fatto mi riconosco, viene da chiedersi quali siano, in modo particolare, le variabili emotive e cognitive emergenti in tempo di crisi.

Una risposta richiede, però, che si chiarisca preventivamente cosa si intende, almeno in questa sede, per “ crisi “.

Quando si utilizza questo termine ci si vuole riferire, generalmente, ad una contrazione.

Applicato all’economia, almeno quella che ci riguarda direttamente e quotidianamente, il concetto sottende una carenza di soldi. “ Crisi del lavoro “ indica la drammatica mancanza di opportunità di inserimento nel mondo produttivo, licenziamenti, situazioni di precarietà per chi svolge comunque un’attività professionale, ecc.

“ Crisi di valori “ significa, in genere, la difficoltà di individuare riferimenti socio – culturali definiti e stabili che possano orientare singoli e collettività nel dare un senso alla propria esistenza.

E così via. Si tratta sempre e comunque di “ contrazione “ di qualcosa di immateriale o materiale.

L’evento critico che interessa attualmente l’intera società occidentale, però, ha, a nostro avviso, una diversa qualità e consistenza rispetto alla “ normale “ crisi. Oggi, infatti, non stiamo assistendo agli effetti di una carenza inerente uno specifico settore ( lavoro, soldi, sociale, ecc. ) bensì ci stiamo confrontando con le conseguenze, psicologiche e comportamentali, della contrazione di un particolare “ bene “ immateriale: il tempo. Tempo “ presente “ e tempo “ futuro “.

Si tratta, di fatto, di un paradosso : l’assenza di risorse ( soldi, lavoro, opportunità di una migliore qualità di vita, valori, ecc. ) ci impedisce di progettare, dunque di immaginare un futuro. Non necessariamente un futuro “ migliore “ ma solo e semplicemente “ futuro “.

E’ pur vero che l’appiattimento sul presente è la prerogativa della società post-moderna che ha fatto della “ velocità “, quale sinonimo ( imposto ) di “ efficacia ed efficienza “, il suo valore portante. Aiutata in ciò dai moderni media tecnologici, che hanno eletto a dimensione temporale per eccellenza il “ tempo reale “, la post-modernità ha reso impossibile, ed anche inutile, progettare le proprie azioni oltre l’immediatezza.

L’appiattimento sul presente, generato attualmente dalla crisi, non ha però nulla di tecnologico ( anche se in qualche modo è esito della tecnologia ). E’ una condizione mentale e che nasce dal percepirsi privi di risorse.

Se non c’è futuro, si potrebbe allora affermare, concentriamoci sul presente. Viviamocelo fino in fondo. Dilatiamolo quanto più possibile.

Al contrario, pur restando la sola dimensione temporale usufruibile, anche il presente si contrare, presi come siamo dalla frenesia di crearci il futuro, quello stesso futuro che però non riusciamo nemmeno ad immaginare.

Questo è, a mio avviso, il drammatico paradosso che ognuno di noi, chi più chi meno consapevolmente, vive attualmente. E’ questa la condizione mentale, in nulla patologica, con cui, oggi, deve fare i conti chiunque operi con il suo ruolo specifico nel campo della Formazione ed in quello della Relazione di aiuto.

 

2° parte - continua

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