Dalla fiducia alla fede.

Inviato da Pio Masone

fiduciaCon questo stringato intervento vorrei illustrare i contenuti di un più ampio studio incentrato su un aspetto della teoria eriksoniana che pervade l’intera opera del maestro scomparso cercando di portare in figura la circolarità della teoria dello sviluppo di Erikson evidenziando quel filo sottile, ma energico, che sembra unire i primi anni di vita con gli anni della maturità.

Come si sa Erikson suddivide l’arco vitale in otto stadi ciascuno dei quali è caratterizzato da una crisi.

Il primo stadio è caratterizzato dalla crisi tra fiducia vs. sfiducia. La fiducia risulta essere l’elemento primario, non solo dal punto di vista cronologico, per quel che riguarda il corretto sviluppo psicosociale dell’individuo.

La sua assenza o compromissione inficerà o comunque renderà più difficoltoso il risultato di tutte le altre fasi dell’arco vitale.

Il modo in cui viene affrontata e risolta la crisi del I° stadio decide se la disposizione più intima dell’individuo nei confronti della vita e degli altri sarà orientata più verso la fiducia o più verso la sfiducia.

 

Per fiducia va intesa una essenziale fiducia negli altri e in se stessi.

La fiducia negli altri è, in questa fase, determinata sostanzialmente dalle cure materne e dall’accoglienza dell’ambiente nei confronti del bambino; e si manifesterà, nel I° stadio, attraverso la serenità con cui il neonato affronta i suoi primi giorni di vita.

La fiducia in se stessi, secondo me, è più facilmente visibile nelle fasi successive dello sviluppo o, meglio, nel modo di affrontare e risolvere le crisi successive (il che ci informa anche dell’esito ottenuto nel I° stadio).

Il II° stadio è caratterizzato dalla crisi tra Autonomia vs. Vergogna.

Per Autonomia, in maniera molto sintetica, possiamo intendere la capacità di volere qualcosa che nel III° stadio (Iniziativa vs. Senso di Colpa) si trasformerà nella capacità di imporsi all’ambiente, attraverso iniziative autonome, per ottenere ciò che si vuole.

Ma rimaniamo al II° stadio: se il bambino non è guidato da un senso di fiducia, se è dominato dalla insicurezza di un ambiente familiare poco attento ai suoi bisogni, da una figura genitoriale troppo coercitiva o troppo assente, e così via, nutrirà, molto probabilmente, dei dubbi circa le esigenze del mondo esterno nei suoi confronti e, soprattutto, nutrirà dei dubbi circa le proprie esigenze e volontà emergenti che, qualora venissero manifestate, si accompagnerebbero a un senso di vergogna e di insicurezza riguardo gli esiti e le reazioni che potrebbero sortire.

Il III° stadio della teoria di Erikson corrisponde alla fase edipica della teoria di Freud (così come il II° stadio corrisponde alla fase anale e il I° alla fase orale). Esso è caratterizzato dalla crisi tra Iniziativa vs. Senso di Colpa. Oltre la padronanza della stazione eretta e della deambulazione si ha il sorgere delle prime curiosità e fantasie sessuali che normalmente producono sensi di colpa che saranno certamente più pressanti nell’individuo insicuro, pauroso ovvero sfiduciato.

L’Iniziativa sarà frenata e verrà meno il coraggio (la virtù di questo stadio) d’immaginare giocosamente e di perseguire i propri scopi, senza lasciarsi inibire dalla sconfitta delle fantasie infantili, dal senso di colpa che queste hanno suscitato e dalla punizione che hanno provocato.

Nel IV° stadio, l’età scolare, corrispondente alla fase di latenza della teoria freudiana, incontriamo la crisi psicosociale dell’industriosità vs. senso di inferiorità.

In questa fase il bambino deve dimenticare le speranze e i desideri del passato e concentrare le sue energie nell’apprendimento formalizzato e nella comprensione di leggi logiche.

La controparte dell’Industriosità, della capacità, cioè, di apprendere le leggi logiche ed i modelli formali del mondo e di applicarli nel gioco e nelle prime fantasie sul proprio futuro lavorativo, è il Senso di Inferiorità che può spingere l’individuo o verso l’inerzia che ne paralizza la vita produttiva (perché non si ha fiducia in sé, nel proprio status, nelle proprie capacità di apprendere e di produrre, ecc.); o verso una eccessiva competitività; oppure indurre il fanciullo a regredire, il che - dice Erikson – può solo portare alla ricomparsa di un conflitto genitale-infantile ed edipico e, quindi, a fantasie che ripropongono lo scontro con figure conflittuali anziché l’incontro con quelle capaci di assicurare fiducia e aiuto.

Il V° stadio è caratterizzato dalla crisi tra Identità vs. Confusione d’Identità; siamo nella fase adolescenziale, periodo in cui vengono messe in discussione tutte le conquiste delle fasi precedenti. Il compito fondamentale dell’Io è, ora, la ricostruzione e il consolidamento della propria identità in modo coerente rispetto alle esperienze precedenti e conformemente, per quanto è possibile, con le attese del contesto sociale.

La forza specifica che si manifesta nell’adolescenza è la fedeltà.

Fiducia, Autonomia, Iniziativa e Industriosità, tutte contribuiscono a formare l’identità del bambino ma, comunque, nel V° stadio questo problema raggiunge l’apice.

Il ragazzo deve ora conciliare il suo mondo interno col mondo esterno. Il senso d’identità nasce dalla fiducia che la propria identità e la propria continuità interiori trovino conferma nel giudizio degli altri; il pericolo che minaccia questo stadio è la confusione circa il proprio ruolo. La formazione dell’identità comincia dove termina l’utilità delle identificazioni infantili

La virtù di questo stadio è la fedeltà intesa come la capacità di restare coerenti con i principi liberamente scelti , nonostante le inevitabili contraddizioni dei sistemi di valore.

Le fasi successive sono legate particolarmente agli usi dell’identità nonché al ripetersi di alcune forme di crisi d’identità negli stadi successivi della vita.

La prima di queste crisi è quella dell’intimità vs. isolamento e caratterizza il VI° stadio dell’arco vitale. Soltanto quando la formazione dell’identità è ben avviata è possibile la vera intimità che in realtà è una contrapposizione, oltre ad una fusione d’identità. Una identità debole, poco definita può condurre o alla dipendenza dal partner o alla chiusura in se stessi, all’isolamento, appunto, benché possano esistere relazioni con gli altri (relazioni, per lo più, epidermiche).

Nell’età adulta si apre il conflitto tra Produttività e Stagnazione. La generatività assorbe in sé anche i caratteri della procreatività, della produttività e della creatività, e quindi la capacità di generare nuovi individui, nuovi prodotti e nuove idee.

La nuova virtù emergente da questa antitesi, e cioè la Cura, è una forma d’impegno in costante espansione che si esprime nel prendersi cura delle persone, dei prodotti e delle idee che ci siamo impegnati di curare. Tutte le forze che dai primi anni di vita fino alla giovinezza (speranza e volontà, finalità e competenza, fedeltà e amore) vengono alla luce, si dimostrano ora ad un esame più attento come elementi essenziali alla realizzazione del compito generazionale: quello di saper accrescere la forza nella nuova generazione.

Il generare e il prendersi cura di… è un compito affrontabile e sostenibile solo da un Io maturo, ben integrato e, soprattutto, orientato alla fiducia in sé, nelle proprie cose e negli altri e, forse, è meglio cominciare a parlare di FEDE in sé e nell’umanità; dove fede non significa l’abbandono passivo a qualcuno o a qualcosa, il credere passivamente ad una idea o ad una autorità irrazionale alla quale ci si sottomette emotivamente, ma fede intesa come convinzione salda fondata sull’attività produttiva intellettuale ed emotiva.

La stagnazione caratterizza il nucleo patologico di questo stadio e darà inevitabilmente luogo a regressioni verso precedenti stadi conflittuali.

Il conflitto finale è quello tra Integrità vs. Disperazione che caratterizza l’ultima crisi dell’età senile.

L’individualità trova qui la sua ultima prova: l’esistenza dell’uomo è cioè alle soglie della valle che deve percorrere da solo. Essa corrisponde all’accresciuta certezza dell’Io di dirigersi verso l’ordine e la significatività; all’accettazione del proprio ed irripetibile ciclo della vita come di qualcosa di necessario ed insostituibile.

La carenza o la perdita di questa accresciuta integrità dell’ego si rispecchia nel disgusto e nella disperazione: il destino non viene accettato come un quadro entro cui svolgere la propria vita, la morte non è accettata come suo termine ultimo.

Da quanto detto mi sembra che la Fiducia sia come un filo sotteso all’intero arco vitale (e uso il participio passato del verbo sottendere proprio per indicare : il tendere sotto, e perché dicesi della corda che passa per gli estremi di un arco).

Si potrebbe dire che la Fiducia subisca, durante lo svolgersi del ciclo vitale, una sorta di evoluzione e di metamorfosi che la porterà ad essere Fede.

Come sappiamo dalla risoluzione del conflitto tra Fiducia vs. Sfiducia si sviluppa la Speranza che – dice Erikson – è la prima e più fondamentale delle virtù umane.

La Speranza è la credenza duratura nella possibilità di realizzare i desideri originari, nonostante le oscure passioni e impeti d’ira che contraddistinguono gli inizi della vita. La speranza quindi è la base ontogenetica di ciò che nell’età adulta diventa fede.

Ma, quando possiamo cominciare a parlare di Fede ? In che momento dell’arco vitale ha inizio la metamorfosi della Fiducia (Speranza) in Fede ?

Secondo me è nell’adolescenza che tale trasformazione ha inizio tant’è vero che Erikson (ne “I cicli della vita” del 1982) diceva che la forza che si manifesta nell’adolescenza, cioè la fedeltà, conserva un saldo rapporto sia con l’infantile fiducia di fondo, sia col più maturo sentimento di fede. Dato che la fedeltà trasferisce il bisogno di guida dalle figure parentali a quelle di capi e di altri idealizzati consiglieri, essa accetta volentieri la loro mediazione ideologica sia nel caso che l’ideologia sia quella implicita in un qualche modello di vita, sia che assuma la forma di una esplicita militanza.

Ovviamente qui è di fondamentale importanza il modo in cui viene risolto il conflitto tipico di questa fase, e cioè quello tra Identità vs. Confusione d’Identità.

Infatti una certa dose di confusione d’identità, in questa fase, è non solo ammessa ma anche auspicabile; mi riferisco alla sperimentazione di ruoli tipica della fase adolescenziale che porta i giovani ad abbracciare mode, costumi, linguaggi, ecc., che li aiutano, da un lato, a contrapporsi alla generazione adulta rivendicando, in un certo senso, la propria diversità; dall’altro, essi possono sperimentare copioni di vita diversi cercando di ritagliarsi il proprio che sarà quello che, se tutto va per il meglio, riuscirà a conciliare il mondo interno con quello esterno; quello che sentono di essere con ciò che gli altri pensano e si aspettano da loro; in altre parole, vanno via via delineando e definendo sempre più la propria identità.

Ma, se il giovane adolescente non è animato dalla fiducia e dalla speranza in se stessi e negli altri, l’abbandono sperimentale a certe mode, ideologie e filosofie di vita, che in condizioni normali porterebbero al consolidamento della propria identità e favorirebbero lo sviluppo di una fede razionale basata, cioè, su dati esperienziali (come dice Fromm), porterebbero, invece, alla confusione d’identità e di ruoli e ad atteggiamenti regressivi nel tentativo di recuperare quel senso di fiducia che potrebbe permettergli di ripristinare un sano equilibrio; qualora poi, venissero meno anche questi tentativi, o per impedimenti esterni o per pigrizia o per rifiuto, l’abbandono ad un’ideologia potrebbe significare l’incapacità di autodefinirsi e l’accettazione passiva di una volontà esterna alla quale ci si conforma e sottomette incondizionatamente. Il sentimento di fede che si verrebbe a sviluppare sfocerebbe nel fanatismo e nel dogmatismo.

In questo senso la Fede viene ad essere, quindi, l’evoluzione di un’altra virtù fondamentale, la Speranza, che è una sorta di forza motrice dell’evoluzione stessa.

 

P.M.

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