Sassi, passi e paradossi.


dancing couple_stoneLui e lei:

 

- Non hai capito -

- No, sei tu che non ti sei spiegato -

- Perché, tu sei sempre precisa? –

- Questo che vuol dire? –

- Lo sai bene… Hai la memoria corta –

- Senti chi parla –

- Io? Ma se non parlo mai! –

- Questo lo dici tu. Pensi che sia stupida? –

- Ma chi l’ha detto? –

- Sei il solito –

- Non cambierai mai, pretendi sempre di aver ragione -

- Senti da quale pulpito! –

- Lo vedi? Sei polemica –

- Ma che cosa dici? Sei tu che mi attacchi! -

- Tu sei matta! Vuoi litigare! –

- Hai cominciato tu! –

- Basta! Me ne vado! –

- Lo sapevo. Non affronti mai i problemi! –

- Con te non si può discutere senza urlare! –

- Con me? Ma se sei tu che gridi da ore! –

- Io sto cercando di ragionare con calma… -

- Con quale calma? Non mi fai dire una sola parola…-

- Sei tu che mi interrompi sempre! –

- Ecco alla fine la colpa è mia! –

- Perché vorresti dire che è mia? –

- Basta. Sono io che me ne vado! –

- E vattene allora! –

- Certo. Vattene… Questo è quanto te ne importa –

- Io non ho detto questo –

- E hai pure il coraggio di negare? –

- Non nego proprio niente. Sei tu che non hai capito! –

- Niente affatto. Sei tu che non ti sei spiegato! –

 

C’è qualcosa da aggiungere?

Quante volte e in quanti casi si parla, si litiga, si ragiona ma in effetti non si dice nulla? Tutto sottinteso, presupposto, generalizzato, deformato, così si traggono tesi, antitesi e sintesi del tutto private e personali, si seleziona di ciò che gli altri dicono e fanno, quello che meglio e prima conferma che è esattamente come pensiamo noi.

 

Accuse dispensate e ricevute, incastri e trappole, tutto combacia al millimetro. Le ipotesi, più o meno basate sui fatti, si moltiplicano con l’esperienza di ciascuno, tutti ci mettiamo un po’ del nostro e facciamo come durante la visione dei film: ci immedesimiamo applicando alla formula un valore aggiunto che rende quella storia diversa dalle tante identiche che si susseguono, fino a trovarci tutti sempre con lo stesso fotogramma davanti: quello dei titoli di coda. Parliamo, spendiamo energie e fiato a non finire per articolare dialoghi che non sono che monologhi travestiti e fantasmatici, ed al termine del girovagare tra boschi narrativi ritroviamo la valle di partenza. Perfettamente immobile e paziente, tanto lo sapeva che saremmo tornati. Non è un caso che sia l’incastro tra spazi a consentire l’eco.

 

Lavorare con le persone, con le coppie soprattutto, consente di toccare con mano quanto sia potente la parola, quanto le frasi ed il modo in cui le si pronuncia possa devastare o risanare ed è così che un counselor diventa una specie di traduttore simultaneo, un decodificatore linguistico che consente alle parole di uno di essere ascoltate dall’altro e viceversa, quasi si trattasse di alieni che si fronteggiano, ciascuno con le sue antenne, la sua astronave ed una serie di bagagli culturali e di convinzioni che distinguono pianeti tanto diversi quanto simili per il tipo di distanza/vicinanza che il più delle volte loro si incaponiscono a non voler considerare modulabile.

 

A volte invece si aprono veri e propri squarci di luce: quando i volti si rischiarano e le menti si liberano del peso dell’intenzionalità proiettata sull’altro. È in questi meravigliosi momenti che finalmente ci si guarda come se ci si vedesse per la prima volta e quello che si prova riesce ad essere espresso con la commozione e la timida sorpresa che accompagna i miracoli. Essere testimoni di questi attimi vale le ore e le settimane spese a fare da arbitri su di un ring, restituisce significato ad ogni passo che apparentemente sembrava andare indietro, conferma che nonostante tutto le persone vorrebbero trovarsi ed intendersi, anche se per la maggior parte del tempo sembrano andare in direzioni opposte o girare in tondo senza raggiungersi.

 

È bello quando succede, quando lui e lei mettono da parte le parole e restano in silenzio, mentre l’emozione riscalda la stanza sciogliendo quel gelo antico che in fondo ognuno di noi conserva dentro di sé. 

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