Un percorso formativo, al di là dei suoi specifici contenuti, prevede in genere che, ad un certo punto dei lavori, si passi dal momento prevalentemente teorico ad uno più spiccatamente esperienziale il cui nucleo è costituito dalla simulata. Ciò è tanto più frequente nel caso che il percorso abbia come tema la comunicazione interpersonale e le sue dinamiche conflittuali. Questo è perciò l’ambito a cui faremo qui riferimento.
E’ alquanto tipico che, quando il formatore annunci tale passaggio, l’aula reagisca o con diffidenza oppure con entusiasmo. Il primo tipo di risposta trova la sua origine nell’automatica assimilazione del significato di “ simulata “ a quello di “ finzione “. Pertanto la proposta del formatore viene percepita dagli allievi come una forzatura, piuttosto inutile e per certi versi anche irriguardosa, nei confronti delle effettive problematiche sperimentate nell’esercizio quotidiano del loro ruolo ( professionale, sociale, familiare, ecc. ).
Nel secondo, l’introduzione di questa procedura è letta come l’agognato trasferimento dalla teoria alla pratica. La simulata, perciò, in tal caso è intesa una dispensatrice di soluzioni ai problemi affrontati fino a quel punto solo concettualmente.
Non ci interessa qui affrontare la spinosa questione del confronto tra teoria e pratica e della diffusa convinzione che solo la seconda possa “ risolvere “. Quel che ci preme evidenziare è che entrambe le posizioni indicano una distorta visione di tale procedura.
Rispetto al tema “ finzione “, questo punto di vista ritiene che la simulata non rispecchi, e non potrebbe mai riuscirci, ciò che accade in realtà. Simulare in aula un momento conflittuale del rapporto Venditore – Cliente o Docente – Allievo oppure Genitore – Figlio, ad esempio, in tale ottica è “ non vero “ siccome non rispondente alla concreta esperienza passata, presente e futura di quel venditore o docente oppure genitore ossia di coloro che sono impegnati, qui ed ora, nella procedura. Né tantomeno a quella di “ tutti “ i venditori o docenti o genitori.
La reazione dell’aula, quando prevale tale convinzione, è riassumibile nell’affermazione, a volte chiaramente formulata dagli allievi a conclusione dei lavori
“ A noi non accade così né mai accadrà così “.
Con inevitabili e indesiderate ripercussioni sul clima emotivo in aula.
Sull’altro versante, invece, la simulata viene valorizzata quale elemento fondante dell’intero percorso formativo. Tale punto di vista è portatore di aspettative grandiose e perciò illegittime e fuorvianti oltre che a svalutare, neanche tanto indirettamente, lo spessore dell’approfondimento teorico.
Pertanto è opportuno che il formatore, prima di chiunque altro, abbia ben chiaro in mente natura, possibilità ed obiettivi della simulata e le sue differenze teoriche/metodologiche rispetto alle esercitazioni ed alla discussione di casi. Soltanto tale chiarezza potrà sostenerlo nel presentare questa procedura nella sua giusta dimensione contenendo così, negli allievi, diffidenze ed attese spropositate.
Ancor prima di definire che cosa è la simulata, anzi per meglio definirla, è opportuno stabilire quali sono i suoi obiettivi.
La simulata costituisce una sorta di dimensione virtuale dove l’allievo può sperimentare, in condizioni sufficientemente protette sotto il profilo emotivo, vari livelli di conflittualità relazionale. E’ il momento, perciò, in cui può amplificare la consapevolezza della tipologia di risposte che fornisce alla conflittualità stessa, degli esiti che ne derivano ed elaborare eventuali opzioni ad esse.
Resta confermato, ovviamente, che l’allievo, in questa fase, non rivive ciò che gli accade in realtà né anticipa esperienze future. Lo scopo della procedura non è la riproduzione della realtà, che se così fosse verrebbe confermata la similitudine con “ falso “, bensì sollecitare risorse emotive/cognitive/comportamentali sopite ed a sperimentare opzioni a quanto, in termini di atteggiamenti, è previsto e standardizzato. Le risorse sollecitate, in sostanza, non servono a risolvere l’esperienza simulata piuttosto quella vissuta effettivamente.
La simulata, dunque, non mostra quello che accade ma ciò che potrebbe accadere.
Che la procedura in questione rappresenti una dimensione virtuale vuol dire che essa non esprime la realtà per quel che è né però la nega bensì ne rappresenta una possibilità.
Il virtuale, cioè, è la realtà in potenza e non una sua fotografia 1.
Potremmo perciò affermare che la dimensione esistenziale della simulata si pone in parallelo, senza mai sovrapporvisi, a quella dell’aula.
Tale coesistenza, però, è possibile solo quando il formatore definisce agli allievi le regole estremamente rigorose che strutturano e sostengono la realizzazione di questo spazio-momento virtuale e cioè:
- Divisione dell’aula in osservatori e partecipanti diretti alla simulata;
- Definizione precisa della durata ed indicazione di chi, nel gruppo degli osservatori, controllerà il tempo. Costui non si occuperà che di questo, senza altre distrazioni;
- Definizione del tema della simulata: potrà riguardare un momento specifico della tipologia relazionale affrontata durante il percorso ( approccio, ad esempio, o chiusura della comunicazione ) oppure si potrà procedere liberamente, sempre restando ancorati al tema generale in oggetto;
- Definizione, per il gruppo degli osservatori, della variabile, o delle variabili, su cui orientare l’attenzione;
- Definizione dei limiti: dalla simulata non si esce prima della sua prevista conclusione a meno che uno dei partecipanti non ne faccia esplicita richiesta. Qualsiasi comportamento, anche di uno solo dei partecipanti, incongruo rispetto a struttura, contenuti e scopi della procedura ne determina la conclusione immediata.
- Solo allo scadere del tempo potrà avere inizio il confronto tra osservatori, partecipanti e formatore. I primi esprimeranno le loro riflessioni unicamente sulle variabili fissate in partenza e senza esprimere giudizi di valore sull’operato dei partecipanti. Costoro, esauriti gli interventi degli osservatori, daranno il loro punto di vista sullo stesso tema. Solo in ultimo, se utile, il formatore esprimerà le sue considerazioni in proposito.
Da queste precisazioni si evince la distanza tra simulata ed esercitazione sia sotto l’aspetto formale che contenutistico ed anche in merito agli scopi.
L’esercitazione, infatti, si prefigge l’obiettivo di verificare ed approfondire un preciso elemento teorico. E’ un’applicazione pratica di un concetto o di una ipotesi di lavoro. Può intersecarsi anche con l’esperienza concreta vissuta dagli allievi in aula. Ad esempio, ci si può esercitare sulla gestione del proprio linguaggio non verbale nel presentarsi ai colleghi o delle dinamiche emotive che si sperimentano parlando all’aula di sé o di qualsiasi altro argomento.
Pertanto mentre la simulata si pone lo scopo di proiettarsi oltre la realtà, l’esercitazione vuole approfondire quella stessa realtà.
Ben altra procedura è la discussione di casi.
In questa circostanza gli allievi mettono in comune esperienze concrete connesse al tema del percorso formativo per approfondirne i contenuti alla luce delle nuove conoscenze acquisite.
Lo scopo di questa procedura può essere o trovare conferme oppure opzioni interpretative rispetto a quanto fino a quel punto è stato pensato e praticato in merito a quelle medesime esperienze.
E’ inevitabile anche una differenza nella qualità, più che quantità, di coinvolgimento emotivo degli allievi nelle tre diverse fasi esperienziali. Riteniamo in modo particolare, allo scopo di non alimentare eccessivi carichi emotivi, di prevedere una congrua distanza temporale tra simulata e discussione di casi.
1E’ utile, per meglio comprendere tale ottica del virtuale, ciò che esprime sull’argomento il sociologo Pierre Levy nel suo saggio Il virtuale, Raffaello Cortina Editore, 1997.
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