Competenza multiculturale: l'etnocounseling come dimensione del "saper essere"

Inviato da Nuccio Salis

multiculturaleIl punto focale circa il senso dell’intervento di aiuto, tramite colloquio di consulenza e di supporto, risulta essere la diversità. Le tipologie di persone con le quali noi counselor possiamo entrare in contatto, come attesta la stessa esperienza, riguarda una varietà personologica di individui, ciascuno con la propria storia, la propria identità, il proprio senso del mondo. Una costellazione di orientamenti ideologici, sessuali, religiosi, tutti molto differenti fra loro, ma anche, a volte, pieni di sfumature non troppo dissimili. Differenze anagrafiche o di appartenenza socio-economica, subculture con istanze di riconoscimento e riscatto sociale, diversamente abili, immigrati in condizioni di marginalità; sono soltanto alcune delle espressioni identitarie presenti nella miriade delle manifestazioni soggettive della personalità individua e politica di ognuno.

Il carattere antropologico nel suo complesso non può farci prescindere da una particolare attenzione da dedicare alle componenti eterogenee dell’identità, sia nei suoi aspetti marcatamente visibili, che quelli legati alla lingua parlata ed ai comportamenti anche non verbali sotto il profilo comunicativo in toto. Tenute debitamente conto tutte le inevitabili eccezioni, un bianco scandinavo tenderà a parlare meno, a gesticolare poco o in modo contenuto, un latino si esprimerà a voce alta, con un linguaggio contenente maggiori espressioni emozionali e soggettive, e il linguaggio del corpo sarà enfatico, a sottolineare la carica dei suoi contenuti narrativi ed esperienziali. Le valenze delle espressioni comunicative possono dunque essere proposte in modo veemente, accorato, oppure discreto, sobrio, a seconda di un complesso intreccio fra componenti sociali e culturali e fattori personali legati al temperamento, alle tendenze strettamente individue.

L’operatore dell’ascolto, a questo punto, ha il preciso dovere di formarsi al fine di essere preparato ad accogliere il suo prossimo anche nella diversità etnica ed antropologica di cui è portatore. La dimensione del “saper essere”, prima ancora che quella tecnico-esecutiva sotto l’aspetto operatorio, deve svilupparsi all’interno di un training che comunichi il senso di un atteggiamento aperto, flessibile, accogliente, spassionatamente accettante, che conduca in prima istanza l’aspirante professionista dell’aiuto a demolire tutte quelle riserve ideologiche personali che ciascuno di noi può aver maturato nei confronti di soggetti o gruppi sociali particolari, additati per qualche ragione dalla comunità come sgraditi, inquietanti, riprovevoli. Attribuire qualità negative all’altro da noi, d’altronde, è l’esercizio quotidiano della moltitudine. Qualunque pretesto è funzionale: l’aspetto fisico, lo stile di vita, le abitudini rituali, i modi di vestire, l’appartenenza ideologica, le scelte esistenziali. Tutto è sottoposto al vaglio del giudizio, di una critica sterile, ingiusta, che non ammette altre versioni, poiché il metro di paragone viene imbrigliato nel dualismo Giusto/Sbagliato dove, peraltro, è Giusto il Noi ed è Sbagliato l’Altro. Quindi i canoni estetici e valoriali che appartengono al nostro orizzonte culturale sono giusti, mentre quelli importati dall’altro sono corrotti, obsoleti, contaminanti nel senso virale del termine, quindi vengono banditi o sottomessi all’indice del disprezzo, della censura, o forzati a cambiare; ovvero a passare dalla parte del Buono e del Bello, secondo le rigide e inopinabili categorie morali di chi assume tale prospettiva egocentrica. E ciò che aggrava tale fenomeno, ha luogo dal momento in cui il dispregio per ciò che non si tollera agli elementi di espressione identitaria dell’altro da noi, viene riportato sul piano della squalifica alla persona. Ovvero, secondo una “logica” proposizionale: poiché tu sei X allora vuol dire che Y; perciò la denigrazione si inquadra in un’ottica secondo cui il sospetto, il disgusto ed il malessere rivolti ai connotati esteriori e alle qualità endemiche dell’altro da noi, si trasferisce all’odio per la persona. È una delle posizioni esistenziali indicate dallo psicologo transazionale Frank Ernst come “Io sono OK, Tu non sei OK”, che conduce infatti, con tutta probabilità, al tentativo di assumere una posizione dominante a declinazione persecutrice nella relazione interpersonale. Il fatto che ciò accada a livello esteso, nell’ambito dei rapporti fra diverse comunità, è triste cronaca di tutti i giorni.

Il counselor ha dunque un compito notevolmente impegnativo, dal momento che accoglie la miriade espressiva dell’umano, e non può sottrarsi dallo sviluppare una capacità, a carattere sia personale che professionale, indirizzata a promuovere una piena accoglienza dell’altro da sè, anche e soprattutto come soggetto fondato storicamente, secondo canoni valoriali, politici e sociali, tipici della sua comunità di appartenenza. I contorni deontologici della figura del counselor, a questo proposito, si rivelano a deciso sapore educativo.

L’abilità richiesta, dunque, immancabile nella cassetta degli attrezzi del professionista dell’aiuto, è la consapevolezza della propria ed altrui diversità culturale, in modo da programmare un intervento sensibile ed attento ai costrutti di senso esperiti dall’altro da noi. Occorre pertanto una vera e propria competenza multietnica e multiculturale che va sotto il nome di etnocounseling, cioè un approccio a carattere transculturale che consideri ed abbracci la diversità come valore, risorsa e opportunità. Il tema conduttore di questo modello consiste nel tenere in dovuto conto le strutture di significazione della realtà dell’altro da noi, come il risultato di un processo dinamico di esperienze ed introiezione di visioni del mondo. Più precisamente ancora, il counselor dovrà fare riferimento alla seguente lista delle identità multiple:

° Linguaggio: Il cliente ha una propria struttura di linguaggio, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. L’estensione e il buon uso del registro linguistico sono spesso indicatori del livello o dello status culturale su cui si colloca al momento il cliente. Nel linguaggio e nelle sue espressioni ricorrenti vi è definito il quadro concettuale attraverso cui si legge il mondo. Bisogna altresì tenere conto che non tutti i clienti possono essere verbalmente abili, specie se si colloquia con individui diversamente abili con difficoltà nell’eloquio.

° Etnia: Le caratterizzazioni esteriori (colore della pelle, abbigliamento, tratti somatici) definiscono un individuo secondo criteri di appartenenza e provenienza etnica. È possibile che le differenze più salienti, specie se evidenti sotto questo aspetto, abbiano prodotto esperienze e vissuti legati alla difficoltà di integrarsi nella comunità ospitante. È una possibilità verso cui mostrare il massimo della cura e della prudenza.

° Genere: Le differenza anagrafiche sono spesso indice di diversità generazionale, in termini di “occhiali” con cui si guarda ed interpreta la realtà.

° Orientamento sessuale: Il sesso biologico può non coincidere con la propensione eterosessuale, consistente nel tentativo di sviluppare legami di intimità fisica e affettiva con persone del genere sessuale opposto. È raccomandato non dare per scontato questo aspetto, e tenere conto di possibili o potenziali vissuti di discriminazione o violenza inferti a causa di questa caratteristica.

° Spiritualità: La trama dei valori di un individuo è giustificata anche dal suo orientamento spirituale. Dal proprio sistema di credenze o dottrine religiose, ciascuno ricava i significati sulla propria esperienza. Addestriamoci a saper discorrere e supportare chiunque, dall’islamico, al buddista, al seguace del confucianesimo ecc.

Cosa può favorire, mi chiedo, l’applicazione naturale di questo approccio, senza che per questo debba essere vissuta dal counselor soltanto come un fatto di dovere lavorativo? Forse, essere sinceramente curiosi sull’altro, sulla diversità, essere caratterizzati da elementi creativi, da pensiero divergente soprattutto sotto l’aspetto intellettivo-emotivo, prima ancora che cognitivo; può donarci quella qualità immancabile ed essenziale che definisce il consulente nella relazione di aiuto.

Questo può aprirci ad una esperienza il cui valore si determina a doppio flusso circolare, cioè, da una parte, nella valenza formativa che noi abbiamo sull’altro e, per specularità, nell’arricchimento interiore, culturale e spirituale che l’altro da noi può determinare se oltre ad aprire le orecchie vi colleghiamo il cuore, pulsante del desiderio dell’incontro, sorretto da un principio di aperta e sana contaminazione reciproca con ciò che è diverso da noi.

Potrebbero interessarti ...