Difficile, molto più difficile condividere...la gioia dell’altro piuttosto che... seconda parte


 ascoltareDifficile, molto più difficile

condividere...la gioia dell’altro piuttosto che...

 

seconda parte:

la relazione asimmetrica

 

negli ultimi giorni dello scorso settembre da questo gradevole sito così avevo scritto: In una prossima puntata vorrei ancora riflettere, abusando della vostra pazienza, sulla condivisione in una relazione asimmetrica, ad esempio quando l’altro è un bambino o un giovane nei confronti del quale siamo chiamati ad esercitare il ruolo di educatore.

Può esistere condivisione in una relazione asimmetrica, appunto come quella che si crea tra adulto e bambino?  Cordialissimamente a tutti.

 

Ed ora eccomi qua, anche se con evidente ritardo (sono abbastanza obiettiva per credere che nessuno sia stato poi in ansia per questo).

Il fatto è che non appena ho dato il via a quella che mi sembrava una riflessione scontata: la condivisione in una relazione comunicativa asimmetrica, la mole di riferimenti, interventi e pareri che sull’argomento letteralmente mi sono trovata a selezionare mi ha indotto a scegliere di rallentare, sospendere la scrittura per fermarmi a ri-pensare e ove possibile a verificare.

È così che sono affiorate alla mia mente domande in verità antiche e con cui mi sono con grande convinzione confrontata da... sempre (il mio primo contatto teorico con le scienze della formazione risale ai tempi, quasi medievali, di quando frequentavo l’Istituto Magistrale)

Chi ascolta la voce del bambino? i genitori e gli educatori in genere ascoltano i bambini?

I bambini che sono soggetti di diritto in quanto persone, hanno voce per essere ascoltati?

Il ruolo dell’educatore è anche quello di ricercare il consenso del bambino?

E gli adolescenti?

Se trattare con un bambino ci dispone, almeno inizialmente, alla tenerezza, trattare con un adolescente quasi sempre ci (a noi adulti intendo) crea qualche ansietà, qualche rigurgito di rabbia-stizza-chiusura-autoritarismo, perché ne percepiamo la lontananza, il distacco emotivo e la disistima nei nostri confronti. E sapere che quasi sempre questo atteggiamento è una maschera con cui l’adolescente cerca di nascondere il timore che prova di fronte a noi, in definitiva le sue fragilità, raramente ci induce a scegliere la strada più giusta per comunicare con lui; aprirci noi al dialogo sena censura e senza giudizio.

Da questa situazione frequente in famiglia come a scuola, da queste caratteristiche dominanti della non-comunicazione efficace tra adulto e giovane, possiamo ripartire per osservare la relazione asimmetrica nel momento in cui il bambino o l’adolescente si rivolgono a noi adulti/educatori per comunicare una loro gioia. Era questo infatti il nodo problematico su cui mi ero soffermata a proposito della comunicazione: la difficoltà maggiore è quella di accogliere la gioia dell’altro.

Dunque, al bambino che corre felice verso di noi, nella migliore delle ipotesi e cioè quando abbiamo deciso di potergli dare udienza e interrompere il corso delle nostre faccende o dei nostri pensieri, apriamo le braccia, il nostro cuore...per una frazione di secondo e poi? Poi cominciamo l’interrogatorio, intervenendo più e più volte sul suo discorso per sapere, per conoscere puntigliosamente che cosa sia mai accaduto che lo rende così contento, per disapprovare, ebbene sì disapprovare –con fondate e molteplici motivazioni- quello che ci sta raccontando ormai del tutto fatto a pezzi, frantumato, buono da rottamare. È così che in due soli minuti il bambino o passa dalla gioia alla serietà e alla perplessità (quasi pare che si stia domandando: <ma perché ero contento?> e di fatto non se lo ricorda più) o per mantenere il suo sorriso e la sua contentezza si allontana da noi velocissimamente, correndo via per tornare nella sua stanza o da dove era venuto, mentre noi a gran voce gli gridiamo dietro perché mai se ne vada senza aver spiegato “tutto per bene”.

So di non aver esagerato e ognuno di noi conosce esperienze analoghe delle quali tuttavia –e questo è grave- non ci diamo preoccupazione, forti della convinzione più o meno fondata che sta all’adulto guidare e contenere il bambino.

Sono d’accordo: guidare e contenere, ma anche quando semplicemente ci sta rendendo partecipi del suo mondo gioioso? Se anche fosse che ci volesse mostrare un suo gioco, magari inventato o un giocattolo riesumato tra mille pezzi, anche in quel caso il nostro ruolo di adulti comporta che lo freniamo, che lo conteniamo?

In quale remoto angolo della nostra anima abbiamo chiuso quella splendida consapevolezza che il gioco per il bambino è momento di crescita e socializzazione irrinunciabile, essenziale?

Se dunque fossimo un po’ meno presi da noi stessi e disposti all’ascolto autentico del bambino...riusciremmo a condividere la sua gioia, come il suo cruccio e allora sì anche a comunicare con lui.

Mi sento dunque di poter affermare che la relazione, sia simmetrica sia asimmetrica, si fonda sulla condivisione, anzi vive della condivisione e in quella asimmetrica è addirittura la conditio sine qua non, attraverso la quale chi ha il ruolo dominante mostra di ascoltare comprendendo il punto di vista dell’altro (l’educando), di percepire quanto gli viene comunicato al di là delle parole: solo questa condizione permette a chi è nella condizione di sottoposto di esprimersi (anche per questo mi adopero perché il docente nella scuola di ogni ordine e grado comprenda la necessità di porsi lui per primo in ascolto, di ciascun alunno come del gruppo classe).

La condivisione è l’aspetto implicito nell’ascolto, ascolto autentico, attivo che si risolve in empatia, è insomma quella capacità di porsi a lato del nostro interlocutore rinunciando prima di tutto al giudizio, alla valutazione di quanto egli ci sta portando.

Sembra facile, ma non lo è e non lo facciamo. Quante volte abbiamo detto con aria sbrigativa al bambino: <ma cosa c’è da ridere? Ma quanto te ne va a te di giocare!, va piuttosto a fare i compiti...>. E all’adolescente <ma come fai ad amare ‘ste canzoni, ma non stare a sognare, preoccupati di dare una mano in casa e metti in ordine la tua stanza...>

Se non l’abbiamo detto...quante volte avendolo pensato, ne abbiamo tratto sostegno per un’azione educativa inibitrice, anziché quell’ e-duco...ad che potenzia e raffina i talenti di ciascuno...

sempre cordialissimamente

Giancarla Mandozzi    

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