PERDERE IL MONDO PER GUADAGNARE LA VITA.Counseling a Coscienza

Inviato da Nuccio Salis

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Nella relazione di aiuto si è orientati comunemente ad arricchire l'esperienza dell'altro. È convinzione consolidata che scoprendo ed esplorando nuove risorse ed opzioni si costruiscano alternative gratificanti. Ma è proprio questo il punto: di fronte a un individuo avvinto ed appesantito dalle circostanze, che senso ha procedere secondo il paradigma dell'aggiungere?

In piena acquiescenza ai dettami dominanti di una cultura materialista quale la nostra, anche il paradigma della relazione di aiuto ne è rimasto contaminato, e così si prospetta un percorso in piena adesione ad una impostazione mentale che vede soltanto nel sovrappiù la possibilità di una scelta allargata di percorsi e nuove vie percorribili. Questo horror vacui non si concilia però affatto con ciò che può essere l'autentica esigenza profonda del soggetto che sta affrontando ed elaborando un vissuto già avulso e saturato di fattori di non facile metabolizzazione. E forse, facendo emergere nuovi bisogni, nuove attività, impieghi, impegni, non facciamo altro che affastellare di ulteriore caos e disordine la sensazione di smarrimento della persona che invece vorremmo aiutare. E se provassimo a invertire la polarità? Cioè, se la chiave per la crescita di sé fosse in realtà l'alleggerimento? In questo caso potrei essere impegnato per il lavoro inverso che concerne un processo di destrutturazione, da intendere come un itinerario progressivo di sfoltimento e potatura di tutte le cose inutili, eventi, persone, drammi, circostanze varie che hanno contribuito soltanto a irrigidire maschere, a irrobustire corazze e amalgamare parti del sé e della personalità che hanno alla fine reintrodotto il soggetto dentro ulteriori cornici di finzioni e dentro altre inconcludenti mondi generati da illusioni e apparenze. Posto che ciascuno ha il suo senso ed il suo cammino, si potrebbe pacificamente affermare che nella relazione di aiuto può non rivelarsi affatto pertinente attuare il medesimo approccio abituale. Questa spinta a ricercare altre cose da fare, ha tutta l'aria di intromettersi allo stesso modo della somministrazione di un farmaco con funzioni di sospensione e stordimento, con cui procurare legalmente una condizione di alienazione in un paziente. E allora potrebbe esserci più fortuna e più efficacia se propendiamo ad aiutare un cliente a dismettersi dall'identità fittizia del suo personaggio, che equivale a dire di smettere di giocare, di sottrarsi dai drammi, dalle relazioni portatrici soltanto di sofferenza, da impieghi che sono causa di frustrazioni e umiliazioni. Forse dovremmo sollecitare l'altro non soltanto ad affrontare le perdite apparentemente accidentali, ma a ricercarle attivamente. Insomma, in estrema sintesi, a demolire tutti gli elementi contaminanti che hanno coperto il vero Sé: i ruoli sociali e famigliari, il lavoro, l'immagine pubblica, la reputazione; tutti i falsi valori di una società che premia la menzogna e l'apparenza. Occorre tanto, forse troppo coraggio ad incamminarsi così controcorrente, soprattutto nell'ambito accademico dell'aiuto alla persona, che è fondamentalmente impostata sul tentativo di adattare e "normalizzare" un soggetto considerato alienato o infelice, sulla base dei parametri atandard accettati dalla moltitudine. Eppure un cambiamento profondo e significativo è molto più legato al lasciar andare che all'aggiungere. Occorre un visione profondamente rinnovata per poter accogliere e condividere un tale paradigma, e spesso, l'operatore della relazione di aiuto non è sufficientemente maturo per svolgere una tale funzione. Sono dell'idea che solo chi osa affrontare in vivo l'applicazione di questa nuova prospettiva possa risultare un operatore dell'aiuto equipaggiato di strumenti più sofisticati ed efficaci, e quindi in grado di erogare un aiuto realmente valido, efficiente e finalmente in onore con i principi della propria opera.

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