SANI MA NON TROPPO. L'inedia nella zona di comfort

Inviato da Nuccio Salis

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Durante un seminario di pedagogia clinica, rimasi notevolmente impressionato da un aneddoto che riguardava un impiegato comunale che avrebbe smesso di riconoscersi nel suo ruolo e nel suo impiego. Il tizio cominciò ad assentarsi dagli uffici ed a trascorrere il tempo in casa, da solo, tutto rannicchiato su di sé, deciso ad estraniarsi da tutto ed a sconnettersi dal mondo. Non rispondeva e non apriva più a nessuno. Optò per un mutismo radicale e risoluto. Come era prevedibile, nessuno si interrogò sul senso e sull'utilità di quel percorso. Il tizio non poteva essere considerato nella sua singolarità e meno che mai sul significato storico e identitario di quella sua vicenda. Egli era prima di tutto un funzionario dell'ingranaggio tecno-burocratico dell'istituzione che rappresentava. Non poteva essergli concesso di avviare questi bizzarri processi di natura esistenziale profonda.

Egli doveva essere risanato per ritornare non soltanto alla sua funzione, ma anche per recuperare il suo abituale modo di fare, in modo da non destabilizzare le sicurezze dovute alla stabilità delle nostre aspettative, specie sul comportamento e l'identità altrui, di cui non sono graditi cambiamenti. Venne perciò convocato un esperto psicologo, col compito di riuscire ad avere col soggetto interessato un colloquio col felice esito di convincerlo a rientrare al lavoro. Ebbene, dopo svariati mesi di autoisolamento, il dipendente comunale accettò di vedere uno psicologo. Il tizio considerò conclusa quella sua fase e quando riprese servizio trovò tutti i suoi colleghi che festeggiarono il suo ritorno alla "normalità". Credo che quei colleghi stessero omaggiando il LORO ritorno alla normalità, e che erroneamente attribuivano all'intervento dello psicologo, il quale a sua volta preferiva confermare a suo esclusivo vantaggio questa narrazione. Ma cosa era successo veramente? Racconti molto simili si ritrovano nelle esperienze cliniche riportate da Ronald Laing, noto psichiatra umanista (accostamento che forse suonerà come un ossimoro). Lo storico medico britannico fece una scelta poco ortodossa e molto impopolare, di fronte a questo tipo di fenomeno: per inciso se avesse fatto come tutti gli altri non avrebbe scoperto niente e la storia lo avrebbe cestinato fra i normali. Egli in pratica decise di osservare il processo di regressione e scoprire fino a dove potesse spingersi ed arrivare, ed anche di rivelarne la sua sorprendente funzione, in piena antitesi con le convinzioni della psichiatria ufficiale, scoprendo cioè che la regressione può in realtà essere un processo condotto per mezzo di uno stratagemma estremo di recupero di sé. Si può involvere per evolvere, insomma, mettendo quindi in crisi un concetto consolidato ed acquisito di linearità del tempo e di determinismo causale. Egli ebbe il coraggio di fare ciò che molti millantano in teoria ma poi non riescono a mettere in pratica: sospendere il giudizio ed osservare ciò che accade, evitando ogni genere di intrusioni o di forzature. L'aneddoto ci fu propinato in aula come un successone clamoroso. Un esempio di come va intesa ed impostata la relazione di aiuto. Forse han dimenticato di precisare per benino il target sia dei destinatari che soprattutto dei professionisti devoti a questo genere di recupero salvifico delle pecorelle smarrite, che il mondo attende di riabbracciare. L'automatizzazione dei processi di cura, in pieno stile fordiano, ignora la necessità della dissoluzione della mente (sano processo necessario alla lucida visione del Sé) e dunque ogni processo ingenuamente travisato come patologico (concetto più culturale che strettamente scientifico) viene trattato clinicamente e di fatto interrotto o deviato. Cioè. Abbiamo sbagliato tutto. Se uno arriva in studio dicendomi "dottore, mi aiuti, ho la sensazione di perdere la testa", bisognerebbe dirgli "Bene. È sulla strada giusta", ed esortarlo a continuare. Però c'è un problema su questo piano: davvero uno solo: non ci si può permettere di essere sani. Non nell'accezione comune del termine. Semmai sani nel senso di sanificati, cioè immuni dalla spazzatura mondana sottoforma di tutto ciò che il regno mondano demiurgico propina, da impieghi in disonore con la propria etica a relazioni malate di drammi e teatralità. Se si è sani si è fuori dal giro. Si perde il lavoro! Si perdono gli "amici"! Per reiterare la propria quotidianità ti chiedono da una parte di essere sufficentemente sano per ottemperare ai compiti produttivi e dall'altra abbastanza malato quanto basta per accettare il folle delirio della schiavitù. Quindi alla fine sarà la stessa richiesta del cliente a ridursi nella formula "mi aiuti a guarire ma non troppo" Esiste una pazzia più insana di questa?

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