litigare con ...metodo


litigare con ...metodo

            Se litigare non è facile come sembra  [ved. ibidem"saper" litigare, una competenza per lo più ignorata..], evidentemente occorre che prima durante e dopo il litigio siamo in grado di restare coerenti con quello che vogliamo ottenere. Di ricette, anche in questo caso, se ne incontrano con estrema facilità occorre tuttavia granum salis per accostarsi alla visione edulcorata e più o meno semplificata/prescrittiva di questa abbondante pubblicistica per la relazione tra adulti (il litigio assicura la qualità comunicativa; litigare fa bene; saper litigare è indispensabile) fino all'esplicito invito (non evitare i conflitti, impara a litigare: i basilari per litigare bene) e in un'ottica formativa/pedagogica per l'educazione deibambini (litigare per crescere, se gli adulti non  si intromettono),.

 

            Di che cosa si nutre la capacità di imparare a… litigare? Credo si nutra di un bene fondamentale, quanto semisconosciuto e progressivamente e volutamente ignorato: il rispetto di sé che riverbera nel rispetto dell'altro. Può sembrare affermazione a metà tra scherzo  e ossimoro, ma è piuttosto un'equazione e quanto più rispetto me stesso e l'altro, tanto più proficuo sarà il litigio. Dal rispetto di me si misura la stessa ragion d'essere del litigio, perché dal litigio, lo sappiamo bene, raramente usciamo con la percezione che, prima ancora che qualche risultato, abbia avuto un senso. È per questo che, a litigio concluso, ci accade di chiederci se non abbiamo solo sprecato tempo, se proprio era necessario che manifestassimo la nostra idea, che accettassimo di entrare nella disputa, se avevamo una diversa possibilità di scelta, se,  se...ecc, ecc.

Certo l'attribuzione di senso è soggettiva pur se inevitabilmente collegata  e in qualche modo imprescindibile dagli altri e dal contesto, ma è certo che senza non potremmo vivere con pienezza. L'attribuzione di senso scaturisce dal dialogo con noi stessi. Wilhelm Schmid scrive: "il rifiuto del dialogo spinge gli esseri umani nelle braccia di chi offre forme di <soccorso>, ponendo la mistificazione in luogo della spiegazione." [Wilhelm Schmid, L'amicizia per se stessi, 2012, pag.35 e segg.] E noi, appunto, siamo continuamente sollecitati da suggerimenti che altro non sono che mistificazioni, persino -come dicevamo- per imparare a litigare.     

Wilhelm Schmid aggiunge: "Nella modernità, il sapere pratico della vita non viene più trasmesso da persona a persona, da generazione a generazione. Così l'individuo si ritrova a vivere solo e nel suo orizzonte limitato, mentre le risorse della tradizione gli restano precluse. La situazione è acuita dalle paure e da un senso di debolezza nei confronti della complessità delle società moderne e delle sfide sempre nuove alle quali non è possibile dare risposte a priori e i problemi vitali restano: cos'è per me la vita, come posso condurla, che senso hanno i piaceri, i dolori; cosa considero bello e degno di approvazione, cos'è ai miei occhi la felicità e quale il senso della vita? cosa sono <senso> e <felicità>? [...] Avere una propria filosofia non significa possedere la verità, ma solo aver formulato una verità che vale per noi stessi e che appare sufficientemente fondata per poterci costruire sopra la propria esistenza: è possibile vivere senza una simile verità?"

            Dare un senso alla nostra vita, al nostro comportamento, ai nostri valori, dunque è la formula primaria anche per le piccole scelte quotidiane, come il litigio, a cui attribuiremo il senso coerentemente con il nostro modo di vedere e di intendere la relazione con noi stessi e con gli altri. Grande soddisfazione trarremo da un litigio nel quale avremo rispettato le nostre priorità, in cui non avremo "tradito" noi stessi, in cui insomma saremo stati in grado di pro-agire piuttosto che semplicemente re-a gire alle provocazioni o alla strategia del nostro interlocutore. Una volta che tale forma di rispetto di se stessi e dell'altro sia connaturata in noi, con naturalezza sapremo distinguere la persona dal problema, saremmo in grado di fermarci in tempo prima di oltrepassare quel limite per noi importante oltre il quale non ci piace andare, cercheremo di capire piuttosto che soluzionare, avremo la lucidità di chiedere al nostro interlocutore di chiarire ciò che potremmo aver frainteso, ci sentiremo disponibili a cercare un punto d'accordo, insomma non perderemo, neppure nel bel mezzo del litigio, il contatto con me stesso. Mantenere il contatto con noi stessi per rispettarsi è traguardo possibile, come lo è qualsiasi azione impegnativa nella nostra vita quando la compiamo sentendocene responsabili e coinvolti con tutte le nostre abilità, capacità e competenze.

            Se riconosciamo, ad esempio, il valore di prendere tempo, evitando di essere precipitosi, saremo in grado di cercare e trovare le parole “giuste” anche nel litigio che è un'esperienza nella quale sostenere la nostra soggettività nei confronti dell'altro, esperienza diretta in cui si incontrano e scontrano legami con gli altri e limiti e confini tra la nostra sfera personale e quella altrui, diverse strategie e registri di comportamento. Il litigio sarà per noi espressione di un conflitto che può essere e apparirci inevitabile, ciò che potremmo evitare invece sarà  la violenza verbale o, peggio. Non a caso sembra proprio che i bulli non sappiano litigare (cfr.: Daniele Novara, Luigi Regoliosi, I bulli non sanno litigare! ,2007).

 

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

 

 

 

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