Counseling Sociologico e Velaterapia


Il progetto: 
Dal 3 al 5 luglio u.s. si è svolto nella splendida cornice di Castellamare del Golfo (TP) il Campionato di Vela a Match-Race per non-vedenti, progetto avallato dall’Ente Comunale medesimo ed ideato da “Velavento” nella persona di Cesare Pasotti, già noto al mondo della Vela per il suo impegno in Coppa America. Il lungimirante Team Manager ha creduto nella presenza, tra le altre figure coinvolte nel progetto, della sottoscritta ovvero di un osservatore partecipante che tenesse un “diario di bordo” per sottolineare gli aspetti Comunicativi e le dinamiche psico-relazionali del Team in barca a Vela. All’evento, articolato in tre giornate, hanno partecipato un gruppo di giovani velisti - atleti non vedenti (giunti da varie parti d’Italia) provenienti da differenti discipline sportive praticate anche ad alti livelli.
Hanno partecipato all’esperienza: N. 12 soggetti con disabilità della vista, 4 accompagnatori ( coniugi, amici…) esterni che hanno partecipato attivamente alle giornate con la qualifica situazionale di guida e compagnia.Organizzatori, Collaboratori, tecnici. Le imbarcazioni di numero 2 avevano una lunghezza di 12 metri ciascuna. Le esperienze sono state documentate attraverso foto, filmati e testimonianze scritte dei partecipanti e dalla sottoscritta in qualità di Counselor-Psico-sociologico-osservatore che rilevava dati qualitativi attraverso la stesura di un diario di bordo ogni fine giornata.
 
Obiettivi delCounselor – Psico-Sociologico:
 
Con il doppio e pionieristico ruolo la mission è stata:
  • osservare, rilevare e comprovare l’effettiva efficacia della pratica della Vela come terapia ri-abilitante e motivante per il soggetto con gravi disabilità alla vista.
Il Progetto ha avuto altresì il superbo obiettivo di:
  • avvicinare al mondo della Vela altri soggetti non vedenti di Trapani e dintorni non avvezzi alle pratiche sportive e di valutarne l’interesse e gli eventuali “ scogli” o timori.
 
Sebbene il mio piano di lavoro fosse teoricamente già progettato, ha subìto pit-stop, verifiche e controtendenze work in progress. In un primo momento, era stata prevista la realizzazione di momenti di riflessione di gruppo quotidiani, da svolgersi una volta terminate le gare e scesi dalla barca, utilizzando tecniche di Counseling espressivo e psicosomatico.
La mia idea era di interiorizzare l’esperienza fatta in barca, parlare delle sensazioni e percezioni vissute, realizzare Focus Group, dei momenti e percorsi di crescita, di autoconsapevolezza, in grado di slatentizzare capacità e risorse celate per modestia, introversione o mancanza di fiducia in sé stessi.
Ma nelle teorizzazioni non avevo considerato alcuni fattori che solo l’esperienza reale può dare”.
 
Il Counseling:il “doppio ruolo” del Sociologo – Counselor:
 
Il Counselor è la figura professionale che aiuta a cercare soluzioni a problemi di natura non psicopatologica, a prendere decisioni,  gestire crisi, migliorare relazioni, sviluppare risorse, promuovere e  sviluppare la consapevolezza ed autonomia. L’obiettivo del Counseling è fornire sostegno alla persona, sviluppare le sue risorse latenti, promuovere il benessere di individui in specifiche difficoltà.
1) Il Sociologo – Counselor è un “osservatore-ascoltatore” che non dà consigli, ma comprensione, è un agevolatore nelle relazioni, rappresenta un riferimento per coloro che sentono il bisogno di essere accolti ed ascoltati da qualcuno competente disposto a prendersi cura di loro e che abbia gli strumenti e tecniche di ascolto empatico.
Il Counseling è Comunicazione, Ascolto, accoglienza, problem solving, decisionalità, orientamento.
Il Counselor facilita lo sviluppo delle potenzialità personali, porta la persona a credere in sé stessa e ad avere nuova consapevolezza per intraprendere un agire più efficace.
Il Counseling focalizza e gestisce il qui e ora; focalizza l’obiettivo e propone le tappe da percorrere per la realizzazione di un progetto o la gestione di una crisi esistenziale.
2) L’attività del Sociologo è stata:
  • Analisi dell’ esperienza, elaborazione dell’ipotesi di ricerca; individuazione della metodologia da utilizzare, raccolta dati, constatazione del feedback dei partecipanti.
  • Iniziale atteggiamento di distacco perché osservare significa raccogliere informazioni su comportamenti da utilizzare come indicatori, opinioni/intenzioni e atteggiamenti dei soggetti.
  • L’osservazione deve essere compiuta cercando di modificare il meno possibile la situazione ambientale in cui si manifestano i comportamenti è per questo che si è poi deciso di non svolgere dei rigidi focus group.
  • L’analisi del materiale empirico si articola secondo criteri “personali” del ricercatore costituiti dalla sua sensibilità soggettiva, dalla sua immaginazione sociologica e dalla sua capacità di connettere eventi e di estrapolare dalla realtà osservata le generalizzazioni.
  • L’osservatore diventa un catalizzatore della comunicazione, capace di stimolare l’espressione delle percezioni, esigenze, aspettative e fantasie degli osservati.
  • L’identità dell’osservatore in questo caso era nota agli osservati, l’osservazione partecipante è diventata una action research.
  • Il Counselor-Sociologo è stato presente in barca, durante i briefing, riflessioni, dibattiti, e discussioni.
 
Cronostoria
 
Il primo quesito che mi sono posta come Counselor Psicosociologico e che mi ha portato a preferire l’ascolto empatico spontaneo di ogni singola persona rispetto ad un rigido colloquio di gruppo è stato dove poter realizzare gli incontri-Group: trovare una location.
Quale poteva essere il Setting Ideale?
In realtà mi sono resa conto che qualsiasi location avrebbe sminuito, reso piatta e monotona l’esperienza vissuta in barca dove acqua, onde, silenzio, suoni, voci, sole, vento, contatto con le vele, si mescolavano ad agonismo, antagonismo, concitazione, imprevisto e spirito di squadra.
Mentre ero sulla barca con i velisti, osservavo la destrezza con cui gli atleti si muovevano e coordinavano durante il match, la velocità con cui spostavano le vele, tiravano cime e soprattutto il modo in cui sentivano il vento nelle vele. Tutto ciò mi ha fatto capire che il gruppo sensoriale che avevo in mente di condurre nelle mie teorizzazioni era davanti ai miei occhi e iniziai a vedere dei paradossi che proprio loro, non vedenti mi mostravano e facevano vedere.
Ogni sera sentivo i racconti dei ragazzi durante i momenti di relax, nei dopo-briefing tecnici del Trainer Pasotti, durante le vivaci cene, ed ho capito che solo tale spontaneità mi avrebbe restituito del materiale intrapsichico con cui poter lavorare e dare base alle mie valutazioni di sociologo osservatore.
Infatti, i racconti di vita forti ma mai tristi, le libere associazioni, le sensazioni riferite dai ragazzi camminando per le vie della bella cittadina, nella suggestiva aria del tramonto sul Golfo, risultarono migliori e libere, istintive e naturali proprio come il mare, rispetto al prefissato appuntamento di gruppo che tra l’altro alcuni di loro mi avevano detto di temere.
Ho capito molte cose nei giorni delle Regate, rivelazioni e nozioni che non si leggono nei libri ma si imparano stando a contatto con soggetti non vedenti. Ho “aperto gli occhi” su alcuni pregiudizi, preconcetti e attribuzioni e ciò grazie alle parole ed alle sensazioni.
Paradossalmente “i ciechi mi hanno fatto vedere”.
Ho scoperto che i non vedenti non conoscono la monotonia perché ogni giorno per loro è una sfida, tutto può rivelarsi un ostacolo da superare nel quotidiano, loro sono abituati a superare sempre nuove sfide e nei tre giorni di regate a Castellamare del Golfo il senso della sfida non è venuto meno grazie anche alle novità tecniche e nuovi obiettivi introdotti dal Team Manager Pasotti”.
Ogni giorno infatti, al termine delle gare, il Team Manager riuniva i Velisti in un Briefing tecnico, dando loro strumenti, argomentazioni e nuove sfide ma anche enunciando ciò che era andato bene nel Team e contestando ciò che aveva reso fallimentare una squadra, insomma, lasciando loro qualcosa di cui parlare e su cui ragionare e aver sfogo in un secondo momento in mia presenza nel corso di animate discussioni tra le costituite squadre. I velisti erano quasi tutti in confidenza tra loro per avere partecipato a passate edizioni di Regate).
Con stupore posso asserire che la mia presenza di carattere meramente tecnico si è rivelata per lo più esperienziale ed emotiva.
 
L’importanza delle Parole:
Il primo giorno: Il primo dei tre giorni di Regate ha avuto inizio con la Conferenza Stampa mediata dall’ideatore dell’evento Cesare Pasotti tenutasi all’interno del bel Castello che si erge sul Golfo di Castellamare, alla presenza del Vice Sindaco che, in rappresentanza dell’Ente Comunale ha avallato il progetto ed accolto il gruppo con la nota ospitalità Siciliana.
Nel corso di tale incontro, il Team Manager ha introdotto la natura dell’evento e fornito spiegazioni circa il tipo di imbarcazioni su cui il gruppo di velisti non vedenti avrebbero dovuto lavorare dopo poche ore.
Nel primo pomeriggio ha avuto inizio la prima Regata e la sfida proposta alle squadre è stata veleggiare con imbarcazioni della lunghezza di 12 mt. circa il doppio dei natanti su cui i partecipanti erano abituati a destreggiarsi. Una volta a bordo, ho osservato come “ rubavano con le loro mani”, cercando di dare una forma e una dimensione a ciò che toccavano. Con le mani tastavano la barca nella sua lunghezza e nella sua interezza e dopo pochi minuti di esitazione mista a curiosità erano tutti predisposti a dar inizio al Match e pronti per la nuova avventura.
L’iniziale timore si è trasformato in spirito per la vittoria, in spinta motivante, come ogni azione che i non vedenti svolgono nel quotidiano. La loro stessa esistenza è una spinta motivante che li rende attivi e mai passivi, ma soprattutto, vedere dei non vedenti in azione in barca a Vela fa ricredere sulle ataviche ed anacronistiche immagini del cieco che ha bisogno di essere accompagnato in tutto.
La voglia di vincere in barca a Vela è una traslazione della loro voglia di vincere nel quotidiano.
Quel timone ruotato dal timoniere è stato alla mia osservazione una metafora della vita.
In barca tutto può essere di aiuto, un suono, un aspettativa, un emozione.
Ognuno ha coscienza dell’autonomia del proprio ruolo e dell’importanza del compagno di squadra.
Il timone era del timoniere, nel senso stretto del termine, nella piena responsabilità di un azione così delicata e complessa, egli timonava in base ai suoi sensi, e a sua volta guidato dal vento e dalle voci degli altri suoi compagni di squadra.
Ho visto una cosa incredibile: un cieco indicare una boa sonora al suo compagno di squadra che ha rivolto prontamente lo sguardo esattamente lungo la traiettoria indicata dal dito indice dell’amico.
Nel pomeriggio della prima giornata la frenetica scaletta prevedeva dopo le regate l’incontro con i non vedenti “ locali “ nel Castello, con la presenza del Sig. Sindaco Bresciani. Si trattava di Socializzare con soggetti non vedenti che non avevano mai praticato Vela e di introdurli o invogliarli ad avvicinarsi al mondo della Vela facendo un prova l’indomani.
Già all’occhio del non intenditore i non vedenti non avvezzi ad alcuna pratica sportiva si notava essere più frastornati e non abituati alla socializzazione. Si trattava di un gruppo di persone di differenti età: giovanissimi e adulti, oriundi di Trapani e dintorni, quasi per la totalità seguiti da un accompagnatore.
Quel pomeriggio al Castello ho udito frasi fantastiche, pronunciate dai nostri atleti ai loro amici di Trapani a loro accomunati dall’essere diversamente abili ma non dal sentirsipiùo meno diversamente abili. Ricordo le parole di Gianni pronunciate con un sorriso per rivolgersi ai novelli e papabili velisti: “Sentire il vento. Andare a Vela… …essere portati ad eseguire un azione grazie al vento… è come tornare di nuovo a vedere!” ...
Ricordo il semplice ma categorico, assertivo ed imperativo:“ Ragazzi io volevo dirvi che possiamo!!…Si Può!!” detto da Giovanni altro velista metodico e perfezionista che la cecità ha reso ancor più sensibile all’esplorazione del quotidiano e cui la Vela non può che fungere da eccitante.
Quel semplice “si può” così potente e motivante è diventato un “Tutto è possibile!”
 
Il Secondo giorno
 
La mattina seguente sulle due imbarcazioni sono saliti equipaggi comprendenti Non vedenti abili alla pratica della Vela ed altri che non erano mai saliti in barca o non avevano mai praticato questa attività. Dopo un primo momento in cui il Team manager spiegava loro teorie e tecniche, il movimento dei venti e la funzionalità degli strumenti, uno per volta hanno provato a mettere le mani sul timone per qualche minuto cercando di sentire la barca sotto la propria egida. Dopo questi minuti di prova ho provato a chiedere la sensazione provata, nel timonare una barca.
Le reazioni sono state varie: dall’irrequietezza e paura delle più giovani al senso di amore per l’ambiente. Chi del gruppo dei non vedenti mi ha particolarmente colpito nella modalità delle sue reazioni è stato il razionale Salvatore, il più anziano del gruppo degli aspiranti velisti al quale la cecità ha indurito il carattere ma che dopo una iniziale esitazione e chiusura si è aperto in barca, alla presenza degli altri compagni, in esternazioni personali, racconti tipici di una persona non fredda ma corazzata dalla vita e al momento solleticato dalla Vela. Salvatore ha infatti ricordato di aver già provato a condurre una barca in gioventù quando ancora il buio non era arrivato nella sua vita.
La maggior parte dei novelli velisti una volta vinta l’iniziale paura ha espresso apprezzamento per la Vela e soprattutto la responsabilità e il senso di potere che porta l’avere sotto le proprie mani il timone.
La giornata è proseguita con le regate pomeridiane al termine delle quali il Team Manager nel corso del Briefing tecnico ha consegnato alle squadre materiale per la nuova sfida quella del terzo ed ultimo giorno in cui a bordo doveva esser presente un tecnico-statega vedente che facesse una cronaca di quanto stesse accadendo nel campo di regata senza dare ulteriori aiuti ed informazioni ai velisti.
Punto fondamentale della terza regata diventava quindi la Comunicazione all’interno del Team e il riconoscimento dei ruoli e delle competenze di ognuno.
Il secondo giorno si è concluso con la gradita cena offerta da Club Lions di Alcamo e Castellamare serata in cui Il Team Manager ha ricevuto un premio per l’iniziativa e per il lavoro svolto.
 
Il Terzo giorno:
La presenza dello stratega a bordo ha funzionato.
La competizione è stata molto sentita dai partecipanti e la motivazione sempre alta.
Divertimento e passione, squadrismo, agonismo e antagonismo. Tante le suggestioni a bordo.
Il Team vincente premiato in finale con tanto di cerimonia e cerimoniale, non è stato quello più competitivo o allenato perché le quattro squadre che si alternavano sulle due barche lo erano tutte allo stesso livello. La squadra risultata vittoriosa è stata quella in cui ogni elemento era concentrato sul Team piuttosto che su sé stesso, quella in cui il timoniere ascoltava in silenzio ciò che diceva il compagno di squadra in base al vento e alle vele, quella in cui la tecnica ha vinto sull’impulsività e in cui la competenza ha vinto sull’imprevisto o sulla suscettibilità personale.
 
Facendo l’analisi del contenuto delle interviste realizzate ai partecipanti alle regate, si possono notare parole ripetute più volte come “ indipendenza e autonomia”.
Come non ricordare le parole di accettazione mista a rassegnazione di Danilo:
“…Essere ipovedenti è come guardare attraverso l’alabastro… Io pratico tanti sport ma solo la Vela rende davvero indipendenti perché nelle altre attività non si ha autonomia, abbiamo sempre una guida o un percorso predestinato. La vela è indipendenza! Un non vedente è un temerario e con la Vela è ancor più temerario!”. Il 90% dei non vedenti è costretto a fare il centralinista o il massaggiatore, fare Vela fa sentire di scegliere, al contrario dello Sci, del Podismo…possiamo scegliere noi la traiettoria da seguire e calcolare le strategie da applicare nel campo di Regata, con il solo ascolto dei suoni delle Boe”.
La parola indipendenza è rintracciabile in ogni intervista realizzata ai Velisti, tutti hanno riferito di praticare la Vela non solo come sport e divertimento, ma per il senso di libertà che regala.
La vela è gratificante per la persona. La Vela è imprevisto, la Vela è collaborazione ed individualità, fa sentire contestualmente membership e groupship.
Nella Vela si possono scaricare emozioni negative come rabbia e rancore ma anche riporre emozioni positive di rivincita e rivalsa come la gioia, l’entusiasmo, la gratitudine, l’amore per il mare, la natura e l’amicizia.
 
Obiettivi evidenziati alla valutazione esperenziale in base all’analisi dei dati qualitativi:
 
  • Riduzione dello stigma e del pregiudizio legato alla diversa abilità;
  • Realizzazione di una possibile riabilitazione psico-motoria, all’equilibrio e all’orientamento attraverso la vela;
  • Creazione di un contesto di consapevolezza e di integrazione sociale e Socializzazione;
  • Miglioramento della qualità di vita degli utenti attraverso un aumento dell’autonomia e dell’indipendenza;
  • Dal bilancio personale di ogni velista ho potuto constatare che la pratica di questo sport non è solo di attività fisico-sportiva ma si tratta di un esperienza che lascia in sé molto in termini di gratificazione, divertimento e riflessione.
 
 
Gli effetti osservati dell’esperienza velica sui partecipanti sono stati:
 
  • Il programma riabilitativo latente ha sviluppato bisogni quali l’autostima e l’autorealizzazione.
  • I partecipanti hanno evidenziato capacità di membership e groupship sotto la leadership riconosciuta del Team Manager (la barca come contenitore e individuazione dei ruoli)
  • Si è constatata l’effettiva efficacia di uno sport di gruppo ove il risultato è l’insieme della produttività di ogni membro attivo in barca, oltre al senso di responsabilità instaurata all’interno del gruppo, la capacità di Problem Solving ed il potenziamento dell’autocontrollo e dell’autonomia.
  • La trasformazione del proprio Sè e il riconoscimento dell’Altro attraverso il gruppo
  • La possibilità e l’occasione di crescere, cambiare, essere in grado di poter svolgere un attività difficile e complessa e soprattutto fare un attività emozionante
  • Il riuscire ad accettare e condividere i propri limiti e le regole del gruppo
  • La  capacità di produrre cambiamenti e influire sull’ambiente con il proprio supporto
  • Una adattabilità e conformità alle nuove regole ( accettazione e non rassegnazione)
  • L’ uscita dalla solitudine ( rispetto a sport individuali che costringono ad un percorso mirato)
  • Una migliore apertura, socialità e accettazione dell’altro
 
La barca si è rivelata un "accelleratore psico-sociale". Fare Vela ha permesso il potenziamento delle abilità psicomotorie: l’equilibrio, la coordinazione, l’orientamento spazio temporale, il miglioramento di abilità quali la percezione, l’attenzione, la concentrazione, indispensabili per il soggetto non vedente, oltre a contribuire al riconoscimento ed al controllo delle proprie emozioni.
La Vela come terapia si propone di continuare ed ampliare le attività non solo ai disturbi della vista ( ipovedenti e non vedenti) ma a tutti i tipi di disabilità e ovunque si necessiti di riabilitazione psicosociale, di rieducazione alla socialità e al tempo libero dei soggetti portatori di disabilità psichica e relazionale e dei loro familiari attraverso lo strumento di mediazione del mare e della vela.
La principale Mission del Progetto Velaterapia si poneva un quesito:
la Vela è terapeutica?Posso affermare che la Vela non solo è terapeutica ma è:
abilitante, riabilitante, socializzante, integrativa, motivante, agisce sull’autostima, sul senso di autonomia e dell’orientamento e tutto ciò prescinde da una risposta scientifica e razionale.
La Vela è sicuramente riabilitante non solo nei disturbi della vista, ma per tutti i tipi di disabilità anche motorie, si può fare della buona progettazione partendo proprio dalle varie forme di inabilità. Si può far fronte alla disfunzionalità motoria o neuromotoria creando barche funzionali, modellando natanti ergonomici ad hoc.
 
Ho chiesto ad ognuno dei partecipanti di dirmi cosa portava a casa al termine di questi tre giorni di regata. La domanda che ponevo loro era: “ Cosa porto con me?....qual’è la parola che definisce questa esperienza di Castellamare?”
Ognuno ha riferito parole in rapporto al divertimento, qualcuno già pensava alla nuova sfida a Vela del successivo weekend di regate forte ormai di aver destrezza su barche lunghe 12 metri!
Silvietta già campionessa di Sci ed ottimo timoniere in Barca ha sottolineato l’importanza dell’essere vincenti e competitivi, del gioco di squadra, ma è fondamentale che nell’equipe ci sia un buon clima di gruppo ed una circolare comunicazione.
Andrea il podista di Ancona ha parlato di modestia che non deve mai abbandonare anche i più bravi.
Le parole di Loredana vanno oltre la sfida, lei vorrebbe più integrazione nello sport con il non disabile e non sport specifici per i ciechi come esistono già che aggiungono solo altra diversità.
Giovanni vorrebbe estendere a tutti i non vedenti l’efficacia della Vela e si chiede come poter fare ciò.
Queste sono alcune delle sensazioni che portano con sé, le parole da loro riferitemi, quelle che invece porto io con me a casa sono tante… non è possibile definire una grande realtà con un solo termine.
Ho avuto difficoltà a scrivere questo breve Report perché l’emozione era così intangibile ed astratta da renderne impossibile la trasformazione in lettere nero su bianco.
Per scrivere questa relazione ho avuto bisogno di ricordare le foto mentali scattate in quei giorni, dei flash che mi facessero tornare in mente Pluto il fidato cane mascotte, o il ballo speculare di Gianni e Patrizia, la serenità dei canti dei ragazzi all’interno dello bus che ci portava a cena in agriturismo e in dietro nel tempo…ai tempi delle gite scolastiche….
Porto a casa e nel cuore i regali che ognuno di loro mi ha dato sotto forma di gesto, sorriso, premura, curiosità, con i racconti della propria malattia o modo di essere, con la difficoltà del loro quotidiano, difficoltà che in barca sembrano svanire.
Porto con me l’inaspettata ironia ed autoironia dei non vedenti che funge loro da agente e fattore ridimensionante e sdrammatizzante.
Porto con me i loro progetti e aspirazioni di lavoro, porto con me il voler rompere il ghiaccio di tutti e
la curiosità verso la mia figura professionale che da dubbia per loro è divenuta amichevole.
Tra le tante parole l’unica che sono riuscita a dire ad ognuno è stata “ Grazie”.
...”Grazie per avermi fatto vedere cose nuove, ma soprattutto viverle e sentire…
Grazie ragazzi…ciò che porto a casa dell’intera esperienza di Vela è la serenità
che ho letto nei vostriocchi”.
Non nego di averli chiusi gli occhi ogni tanto durante la navigazione, non per irriverenza ma per intuire la loro difficoltà nel discernere voci, sirene e boe sonore e ciò che per me all’inizio era un mix di suoni indefiniti, per loro è “vista”.
Ancora oggi se chiudo gli occhi sento la responsabilità che dà quella mano sulla spalla di chi si fida della tua guida, sento le urla di gioia di Loredana: “Silvia abbiamo vinto !!” come ormai mi sentisse far parte della sua squadra, come se per empatia sentisse che eravamo tutti sulla stessa barca.
Ma se riapro gli occhi, da Sociologa non posso non vedere lo scontro con un altro mondo, quello della società opulenta in cui viviamo, che ci vuole tutti belli, perfetti, abbronzati, allenati, glamour…in cui pparenza ed esteriorità è potere.
Un esperienza importante cui mi pregio di aver potuto partecipare.
Spero ed auspico di poter vedere conquistare sempre maggiori spazi alla Vela come terapia.
Grazie al Sindaco del Comune di Castellamare del Golfo, grazie a Cesare Pasotti, a Velavento, ad ogni presente, organizzatori, collaboratori, accompagnatori che hanno contribuito al successo di questo evento.
 
 


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