LA STORIA SIAMO NOI… O GLI ALTRI? I valori del singolo e la morale sociale

Inviato da Nuccio Salis

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È nato prima l’individuo o la società? L’individuo è costruito dalla moltitudine dei membri aggregati in nuclei sociali, e al tempo stesso la rete dei rapporti che costituisce la società è generato dalla combinazione dei diversi scambi comunicativi fra i singoli. Quindi chi ha maggior potere di plasmare ed influenzare l’altro, secondo questo schema semplificato?

Se in termini culturali si considera l’universo macrosociale come il prodotto delle varie aggregazioni interpersonali fra singoli, allora se ne dovrebbe concludere che i connotati storico-culturali di un contesto allargato sono determinati esclusivamente dalle azioni dei vari agenti sociali. Rimarrebbe insoluto il paradosso su come sia possibile produrre un orizzonte culturale senza aver dapprima interiorizzato gli elementi identitari di una comunità.

Se d’altra parte si asserisce che l’individuo è improntato in toto dalla società in cui nasce, rimarrebbe altresì sospeso il quesito su come si sia potuta formare un’identità collettiva dal momento che gli individui in questo caso sarebbero come delle scatole vuote da riempire dei significati condivisi dalla moltitudine.

 

Quel che è probabile, allora, è che gli individui non sarebbero appunto delle scatole vuote, ma portatori di esperienze, vissuti e rielaborazioni di significati che negozierebbero poi nelle situazioni di confronto sociale, dando luogo alle più diversificate tipologie di dinamiche relazionali. Prenderebbero forma cioè i vari prototipi e costrutti dei legami sociali: amicizia, rivalità, alleanze, matrimoni, gruppi originati dalle più disparate motivazioni.

Questo non risolve in ogni caso il dilemma, dal momento che ciascun singolo al momento della sua venuta al mondo trova comunque un prodotto sociale già prestabilito e consolidato, ed a cui non ha partecipato alla creazione dello stesso. Per reperire gli individui che hanno generato per primi le impalcature fondanti di una civiltà, bisognerebbe riuscire a risalire ad origini assai remote, e magari immaginarne od intuirne il processo. Insomma, il rompicapo non è da poco, e quel che si potrebbe dedurre è che ogni forma culturale nasce dal confronto dei diversi bisogni dei singoli, che poi nell’interagire reciproco danno luogo a strutture atte a regolare i loro rapporti, ed a sovrastrutture che ne rispecchiano e costituiscono il senso intrinseco. Rimane ancora non soddisfatta la domanda su come gli individui creino cultura, trascendendo la singolarità; ovvero, appare complicato comprendere i processi che conducono gli individui a generare un’identità collettiva che non si ritroverebbe nella natura di ciascun soggetto considerato isolatamente. Quel che si può certamente affermare, allora, è che la società risulta come un tutto che rappresenta più della sommatoria delle singole parti. Quel che i diversi attori sociali creano fra di loro finisce cioè per snaturarli, in un certo senso, dal momento che ciò che plasmano come risultato delle loro azioni sociali, non corrisponde alla vera e profonda natura del singolo.

Tradizioni, stili di vita, norme ed abitudini che il corpo sociale trasmette all’individuo, infatti, risultano spesso forzature indotte al singolo. Perché mai per vivere dovremmo pagare, per esempio? Perché si praticano atrocità quali la circoncisione o l’infibulazione? Insomma, quel che sembra essere poco chiaro è perché l’essere umano costruisce queste ritualità nella convinzione di esorcizzare brutture e violenza, generando paradossalmente nuova brutalità, e perché nel foggiare strutture morali genera per l’appunto immoralità.

Ma se le strutture sociali le hanno create coloro stessi che vi soggiacciono, allora al tempo stesso possono cambiarle, partendo proprio dallo strumento principale che ne ha dato il principio: la relazione umana. il problema consiste nella rigidità suprema di determinate culture, e dalla impiegabile resistenza a rimettere in discussione i paradigmi su cui si accentra l’identità di un popolo. Ma sono proprio le crisi, le instabilità e la distruzione delle ideologie obsolete che hanno da sempre prodotto innovazioni e nuove potenzialità evolutive e ri-generative. Questo aspetto non sembra proprio fra i più facili da far comprendere, eppure potrebbe determinare una grande svolta sul tema della qualità di vita sia del singolo che poi della società intera.

Le prescrizioni morali, infatti, se inizialmente vengono consegnate come il fondamento della tradizione culturale dentro cui si viene a fare parte, successivamente dovranno prevedere di essere messe anche in discussione, affinché si possa generare il nuovo, superando ciò che risulta obsoleto ed antistorico. Diversamente, l’essere umano non potrà divenire protagonista della sua stessa storia, ma sarà soltanto un riproduttore dell’esistente, a cui è sottratta la possibilità del rinnovamento e della rinascita. Chi si sente cultore del cambiamento e della libertà si dovrà impegnare per diffondere una nuova consapevolezza, e sollecitare importanti riflessioni su questa specifica tematica. Non possiamo essere passivamente costruiti dalla morale, altrimenti lo stesso genere umano sarebbe soggiogato da qualcosa che egli stesso ha generato, e peraltro per limitarsi invece di emanciparsi, e questo non può essere accettabile. La morale non dovrebbe essere una sorta di ectoplasma a cui fare la riverenza. Abbiamo bisogno di fuoriuscire dalla mistica della morale, e divenire soggetti attivi, produttori e ri-produttori di idee, concetti, valori e significati, rivalutati dentro un panorama di scambio sociale incentrato sull’obiettivo di migliorarci l’esistenza ed elevarci a mete che ci aiutino ad emanciparci da ciò che limita i nostri orizzonti del pensiero e del sentire. Dobbiamo tendere alla felicità, e per farlo dobbiamo di volta in volta destrutturare la morale, per poi creare un nuovo edificio in cui abita una nuova etica, quindi la proposta non include di certo una sterile ed improduttiva anomia. Per ottenere tali vantaggi, resta in primo luogo di comprendere il processo che conduce da un sentimento morale “immaturo” ad uno maturo. Intendo dire che sarebbe necessario riconoscere le differenze fra un sentire morale derivato da una personale rielaborazione di un certo spessore, ed un percepire morale legato invece ai vincoli determinati da forze controllanti esterne, cioè da una struttura morale interiore che tende a identificarsi e sottomettersi a una qualche forma di autorità, in ragione della paura.

Le due posizioni sono assai differenti. Fermo restando che la vita sociale necessita di regole negoziate e largamente condivise, il livello di maturità nel cogliere il senso e l’utilità della norma, fa la differenza fra un modello autoritario che impone una visione ed un adattamento forzato, impedendo di fatto agli individui di crescere, ed un modello maturo che apre al singolo la possibilità di revisionare la struttura delle idee e degli obblighi morali vigenti, proponendo nuovi aspetti sul tema.

Vediamo ora quali possono essere le caratteristiche dell’una e dell’altra tipologia di morale, e comprendere quale delle due sarebbe più utile sviluppare ai fini di una più completa e sana espressione di sé:

 

Morale matura:                          Morale immatura:

Cooperazione            VS             Individualismo

Reciprocità                 VS            Unilateralità

Autonomia                 VS            Eteronomia

Empatia                       VS            Egocentrismo

Condivisione               VS            Accettazione acritica

consapevole 

Attività sperimentale/   VS        Passività/Sottomissione

iniziativa

Tensione trasformativa  VS       Conservatorismo

Critica                                VS       Acriticità

 

Per quanto riguarda il primo aspetto, una morale matura ha decisamente una parentela con la cooperazione, opposta all’individualismo. Le regole comuni possono essere stabilite in virtù di una mediazione fra le esigenze di tutti, nella ricerca di un soddisfacimento equilibrato fra le istanze del singolo ed i bisogni del gruppo. I legami sono maturi se affini alla legge della reciprocità, che salda i rapporti e produce alleanze, risposte solidali e atteggiamenti pro-sociali. Ciascuno si impegna cioè a capire il prossimo, ad essere parimenti responsabile con il proprio interlocutore, in merito alla qualità delle dinamiche interpersonali. 

La morale matura non è tale se l’individuo non può scegliere con autonomia, proprio nella sua originaria accezione di auto-nominarsi, quindi costruirsi una identità propria, affrancata da indottrinamenti impersonali e forzati. Egli può anche contare su agenti esterni come ispiratori ed orientatori del suo agire morali, ma verso i quali non ha intessuto rapporti di sottomissione e remissivo terrore, quanto di rispetto e attribuzione di fiducia e credibilità. Dentro un comportamento morale maturo prevale l’empatia, poiché se i rapporti devono essere costruttivi e interdipendenti, assumerà un certo rilievo l’esser sintonizzati a livello emozionale, accogliendo ciascuno il mondo esperienziale dell’altro, in termini di vissuti e sentimenti. All’interno di un processo di autonomia morale, inoltre, ciò che si costruisce è condiviso consapevolmente, poiché si sa quello che si sta pensando, si può argomentare sull’oggetto tematico e si riflette sul valore di una regola o di un’abitudine, dandosi la libertà di esprimersi evidenziando anche eventuali aspetti critici in merito. 

La morale autonoma, se in parte è comunque ispirata da ciò che il soggetto già trova intorno a sé, resta il frutto di una ricerca personale e della propria attività sperimentale, e quindi ciascun aspetto della vita acquista senso dal momento che è verificato in prima persona, prendendo l’iniziativa. In aggiunta, la morale autonoma è tale perché permette ed accoglie il processo del divenire, e si fonda su una tensione trasformativa, che da modo all’individuo di ricercare eventuali nuove prospettive e possibilità alternative nel suo agire morale.

Non vi è autonomia morale se a un soggetto è vietata la possibilità della critica, dal momento che questa è condizione necessaria per ulteriori sviluppi di sé. Ciascuno infatti diventa se stesso se gli è concesso di immaginarsi, di sognarsi, di rivalutare il proprio percorso e quindi di fondare una propria cornice di significazione morale.

Dentro ad un cammino di crescita, supportato dai principi e dalle strategie del counseling, forse non dovremmo dimenticare mai che quando una persona si prepara al parto di sé, sta rivisitando anche e soprattutto i suoi concetti morali (idee, aspettative, orizzonti di senso); e che un aiuto efficace si può offrire nel sollecitare la persona a restituire a se stessa l’ossatura di una morale autonoma, che sviluppi cioè le caratteristiche dapprima citate.

La morale autonoma sembra infine essere la condizione unica che permette al singolo sia di accedere ed integrarsi all’interno di un tessuto sociale di cui fa parte, e al tempo stesso di esprimere potenzialità di cambiamento, che rappresentano quell’investimento sicuro che fa di ciascuno di noi un soggetto costruttore e ri-costruttore attivo della storia. In questa ottica nessuno subisce acriticamente le influenze esterne, ma può rielaborarle e restituirle in una dimensione collettiva, instaurando un libero rapporto individuo/società, che sta alla base di ciascuna cultura.

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