BAMBINI SI NASCE O SI DIVENTA? Da Montessori a Gesù Cristo per una rinascita dell’infanzia perduta

Inviato da Nuccio Salis

maria montessori

Occuparsi di bambini, dal punto di vista educativo, significa riconoscere agli stessi un valore inestimabile da investire nella società. Legittimare un processo esperienziale che coinvolga una progettualità educativa, costruita da una sinergia di intenti, obiettivi, valori e strategie operative, testimonia pienamente la capacità di attribuire all’infanzia una dimensione speciale, distinta dai bisogni dell’adulto. Cogliere ed accogliere il sistema di motivazioni e bisogni di un bambino, è una conquista culturale fondamentalmente recente, se si analizza il percorso storico della civiltà occidentale (ma non solo) sotto questo aspetto.

Ragioni politiche, storiche e contestuali in senso ampio, hanno impedito a lungo tempo lo sviluppo di una visione matura ed obiettiva circa la natura specifica di un bambino. Dai piccoli monarchi ai braccianti agricoli, i ruoli ricoperti dai bambini nelle strutture di una famiglia patriarcale, ricoprivano funzioni adulte che riguardavano la custodia, la protezione e l’accudimento degli altri membri in situazione di maggiore vulnerabilità. In questo contesto, ciascun bambino rinunciava, di fatto, alla sua identità di infante, per proiettarsi dentro un’identità già foggiata dagli eventi e dalla tradizione, senza alcuna possibilità di mediazione. Proibita qualunque iniziativa personale di autoaffermazione, ciascun bambino annullava l’ordine naturale delle proprie necessità, per attendere alle aspettative indiscutibili, prevaricanti e già definite dal sistema famiglia e dalla sua corrispondente organizzazione comunitaria, in seno a una precisa cornice storico-sociale.

 

Il familismo amorale ha lungamente censurato l’emancipazione individuale della persona, riconducendola di continuo al dovere di ottemperare alle sole prescrizioni ingiunte dal casato di riferimento e di appartenenza. L’assolvimento degli obblighi previsti dalla famiglia, in un contesto autoritario e patriarcale, coincide con la sola funzione di obbedienza passiva, da parte della prole. Ogni tappa della vita è calendarizzata e decisa dalla struttura famigliare, sulla base di riti e formalità trasmesse di generazione in generazione.

Questo quadro storico mette in evidenza la difficoltà nell’identificare nel bambino una struttura di richieste e istanze interne ben diverse da quelle di un adulto.

Il passaggio da un contesto siffatto, ad una nuova epoca che ribattezza l’immagine del bambino e la consegna ad un inedito concetto, ha determinato gli albori di una rinascita dell’infanzia. Non è un caso, infatti, che Maria Montessori (1870 – 1952) scrisse “La scoperta del bambino”, riferendosi a come l’umanità avesse conquistato un nuovo paradigma sul valore formativo del bambino.

L’idea obsoleta del bambino come “uomo-bonsai”, o come essere umano incompiuto e immaturo, aveva ceduto il passo a nuove forme di conoscenza. Finalmente, il fiorire di un interesse scientifico sullo sviluppo maturativo del bambino, faceva emergere caratteristiche emotive, psichiche e motivazionali diverse dall’adulto. Il bambino, assunto come oggetto di studio, legittimava la fondazione di una pedagogia che si fondasse su criteri e principi validati dalle indagini empiriche, e arricchite da contributi teorici che avrebbero sollecitato nuovi spunti e ricerche.

Su questa linea si mosse abilmente la Montessori, la cui meritoria opera dimostrò una potenza divulgativa internazionale. La scoperta del bambino, intesa come il rendersi conto della specificità dei processi evolutivi di un fanciullo,  immetteva una nuova ed irrinunciabile responsabilità a tutti i maestri ed educatori: si trattava cioè di concludere l’esperienza di una pedagogia ingenua ed improvvisata, ed aprire una nuova pagina; ovvero quella relativa al dovere di erogare un’azione educativa programmata e finalizzata, avvalendosi di metodi e risorse opportunamente studiate per soddisfare gli obiettivi preposti.

La grandezza della celebre studiosa, a mio avviso, consiste nel fatto che ella riuscì a condurre ostinatamente questa iniziativa, evitando di cadere nell’opposto estremo di uno scientismo sterile e anaffettivo. 

L’immenso e prestigioso valore del pensiero montessoriano consiste nel fatto che la nota dottoressa di Chiaravalle non si limitò soltanto a pensare al bambino come personalità individua, a cui indirizzare l’intervento programmato (sia esso educativo o didattico), ma ella proponeva una chiave di lettura della pedagogia come scienza in grado di riscattare in toto la condizione generale dell’infanzia.

L’impegno montessoriano assume connotazioni politiche e sociali in senso ampio. La sua proposta metodologica si declina come una disamina critica verso una società che ha bisogno di cambiare.

La Montessori ci fa capire il valore della continuità formativa. Dai suoi scritti sembra emergere chiaramente il messaggio che vuole inviarci: il bambino deve conoscere e saggiare l’esperienza della libertà perché dovrà diventare un uomo libero. L’umanità, cioè, può riscattarsi ed emanciparsi da una condizione di oppressione e di miseria intellettuale attraverso una progettualità educativa che organizzi esperienze di apprendimento che rompono con la meccanicità tradizionale, e restituiscano al bambino tutte quelle potenzialità esplorative fino ad allora censurate. Dunque, valori come spontaneità, ricerca personale, attività, sperimentazione, tentativi, conieranno il lessico di una nuova pedagogia che intende rimettere al centro i diritti dei bambini come condizione preliminare per la rinascita di una nuova umanità.

In Montessori, la libertà è al tempo stesso mezzo e fine dell’educazione; cioè la libertà è pratica dell’educazione allo stesso modo con cui l’educazione è pratica della libertà (per dirla alla Freire).

La portata liberatoria del discorso e della pratica montessoriana, non poteva che incappare dapprima nelle obiezioni di opposte tifoserie di intellettuali di varie scuole di pensiero e discipline, dai positivisti più radical-chic ai religiosi più oltranzisti, per poi vedere definitivamente bloccato questo processo di ricerca dal regime liberticida che instaurò la dittatura fascista in Italia.

La scoperta del bambino subì una grave e deleteria battuta d’arresto, almeno nel nostro Paese e in tutti quelli che adottarono forme di governo totalitarie, di qualunque colore. Il bambino ritornava a ricoprire le vesti del continuatore della tradizione familista, in questo caso ricondotta a ideologie repressive.

Insomma, se l’umanità ci ha messo così tanto a scoprire il valore insito nell’infanzia, per poi però abusarne sotto le più svariate forme di sfruttamento, ciò sembra dimostrare che la specie umana non sia ancora in grado di riconoscere e tutelare quei valori di cui ciascun bambino è portatore.

Tutti siamo stati bambini, è possibile che ce lo abbiamo dimenticato? Dunque non basta nascere bambini, forse qualcuno non lo è mai diventato e non lo è potuto diventare, per tutte quelle ragioni di carattere storico che fra l’altro ho citato in precedenza.

Dove finisce quel senso della meraviglia, quel disincanto scanzonato e gioioso; che fine fa tutta quella tenerezza?

È solo un memore riverbero forse oramai disperso in un incantesimo poetico che non esiste più?

Se si nasce con questa aura di purezza, seppur spesso romanzata e mitizzata, com’è che, di fatto, si involve, conservando le caratteristiche egocentriche di un bambino, e rivendicando possesso, rivalità e gelosia? Questi comportamenti, nell’adulto, assumono naturalmente forme ben più sofisticate e strutturate, ma la pulsione primaria della prevaricazione sull’altro rimane la medesima. Come adulti ci ritroviamo spesso a sbattere i piedi e mostrarci insofferenti di fronte alle regole, ad avere difficoltà nelle capacità di mediazione, con l’aggravante che, della nostra infanzia, perdiamo la capacità di incantarci, di accogliere con curiosità le cose nuove, di avere interesse e gusto per la ricerca e la scoperta.

In pratica, sembra proprio che dobbiamo diventare bambini.

Nel Vangelo di Matteo, al versetto 18, è riportato proprio questo prezioso insegnamento. Gesù Cristo ammaestra le genti spiegando loro (ed anche a noi) che se non diventiamo come bambini non entreremo nel Regno dei Cieli. È un'affermazione molto forte che rovescia il senso di tutte le istituzioni e della mentalità dell’epoca. Chi, a quel tempo, poteva guardare ad un bambino come soggetto portatore di una propria saggezza, finanche di una propria individualità? Come era soltanto possibile pensare, per gli uomini di quel tempo, che da un bambino si potesse imparare ed apprendere qualcosa? I ruoli erano chiari e definiti: il genitore indica, decide e sentenzia, ed il bambino assente, esegue ed obbedisce. Stop. Un modello educativo semplice ed altamente affidabile. Gesù sovverte ancora una volta il pensiero dominante dell’epoca, provocando sconcerto e scandalo con le sue parole di verità.

Gesù Cristo ci insegna, destabilizzando le nostre credenze e le nostre illusioni, che per contemplare una verità più grande di noi dobbiamo abbandonare i nostri schemi fondati su convinzioni rigide e dogmatiche, e spalancare porte e finestre al meraviglioso mondo dove l’impossibile lo è soltanto fino a quando non lo si è sperimentato. Lasciarsi andare alla meraviglia, gettare le reti dalla parte destra (Gesù utilizzò non a caso la metafora che riconduce alla parte creativa del cervello), usare l’immaginazione e agire nella spontaneità, senza provare vergogna della propria nudità, sono abilità che un’anima possiede per originarietà, ma che poi dimentica dopo la caduta. Il recupero di quella condizione primigenia, che testimonia l’arrivo da un Infinito in cui valgono solo le regole della gioia, è l’obiettivo da porsi per custodire la parte più vera e profonda di noi, quella che sa giocare, divertirsi, spaziare con la fantasia, superare la rigidità dogmatica del pensiero razionale, creare un mondo a misura di bambino, e dunque nello stesso tempo a misura di essere umano.

Pensiamoci, è curioso chiedere a degli adulti di diventare bambini. L’idea di un percorso evolutivo è di solito lineare, ordinata in sequenze progressive, asettica e convergente. Il maestro Gesù Cristo, nell’illustrare un nuovo punto di vista sul mondo, mostrava di essere davvero Colui che diceva di essere, perché solo un essere evolutissimo e “non di questo mondo” (come Egli stesso si presenta) offre concetti che ancora l’umanità non aveva nemmeno minimamente contemplato, e che a dirla tutta, ancora oggi fatichiamo sommessamente a sviluppare.

La nostra è difatti proprio l’epoca in cui, non solo non diventiamo bambini, ma influenziamo i bambini a diventare come noi: chiusi, rigidi, anedonici, scettici e devitalizzati nella fantasia. E così che decretiamo il tramonto dell’infanzia, sottraendo alla stessa il piacere della gratuità del vivere, ed a noi la possibilità di godere dei suoi preziosi esempi e dei suoi impagabili insegnamenti.

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