PERSONALITA’ E MOTIVAZIONE NELL’AGIRE. Le componenti dello stratega efficace

Inviato da Nuccio Salis

 lampadina accesa

Le strategie di ricerca delle soluzioni ai problemi, e la scelta dei modelli di problem-solving che vi sono annessi, risultano collegati con le tendenze e la struttura personologica di un individuo. Vale a dire che le opzioni selezionate nel tentativo di attendere alla risoluzione di un evento problema, riflettono gli orientamenti  soggettivi in termini di atteggiamenti e convinzioni interne. Si tenderebbe, in pratica, a scegliere le tipologie di risposta considerate più appropriate per sé, cioè più confacenti alla propria dimensione del Sé e alla propria natura interiore. Varrebbe a dire, ad esempio,  che un temperamento irrequieto ed una struttura di personalità fondata sull’aggressività (anche se non necessariamente disfunzionale), influenzeranno un’agire notevolmente diversificato rispetto a chi possiede un temperamento mite ed un’impalcatura personologica fondata sulla riflessività e la ponderazione.

In riferimento agli esempi appena citati, le modalità che si attiverebbero, anche di fronte alla stessa tipologia di struttura problemica, riguarderebbero rispettivamente piani esecutivi attinti da fonti motivazionali e propulsive nettamente differenti, sia per intensità che per direzione. Ne farebbero seguito programmi di azione evidentemente distinti.

 

L’efficacia delle procedure di problem-solving, quindi, ha un legame considerevole con le dinamiche dei costrutti interni di un individuo. Questo aspetto è da tenere nella massima considerazione, durante la costruzione di una relazione di sostegno atta a promuovere in un soggetto la capacità di affrontare con efficacia le situazioni a carattere problematico. Questo non ci solleva comunque dal conferire attenzione al legame di interdipendenza fra personalità e strategia di azione. Se per un verso, infatti, la complessa architettura degli atteggiamenti, rappresentazioni, stati affezionali, guida la scelta esplorativa nel ventaglio delle possibilità dell’agire, è anche vero che l’esperienza ed i risultati delle proprie azioni condizionano la personalità, riadattandola a nuovi equilibri ed aggiustamenti, arricchendola e preparandola a nuove ipotesi di fronteggiamento su eventi problemici.

In altri termini, l’aiuto che si offre a chi si appella ad un sostegno di tipo professionale, consiste nel tenere conto  del rapporto fra personalità e scelta nell’azione. Soltanto questo tipo di approccio può essere in grado di garantire la costruzione di proposte progettuali ad impatto congruente, ovvero gestibili in termini cognitivo-emozionali dal cliente, a cui è restituita la responsabilità di realizzare le mete che egli stesso si delinea. Tenendo presente, al tempo stesso, che esistono anche situazioni in cui emergono necessità di cambiamenti più marcati, a livello personale; dunque le strategie di azione adottate, purché se in linea di principio debbano essere adeguate alla personale “dottrina” di ciascuno, assumono in ogni caso una valenza trasformativa nei processi esperienziali dell’individuo, dal momento che questi decide di percorrere un sentiero di cambiamento e di crescita.

Il solutore efficace, dunque, sarà colui che si attribuirà con maggiore propensione il permesso di accettare inedite ipotesi di realtà e di cambiamento per se stesso. Questo aspetto è davvero essenziale per poter cominciare un cammino che prevede l’assunzione attiva di responsabilità da parte di individuo,  affinché si possa sollecitare nello stesso un adeguato impegno nel fronteggiare gli elementi problemici circa le proprie vicende esistenziali.

Ciò va detto anche perché molto spesso, come è riscontrabile, il motore primo dell’agire a scopo di apprendimento, ovvero la motivazione, viene facilmente deflessa  a vantaggio di una paura paralizzante, la quale è quasi sempre connaturata all’ansia dell’affrontare i cambiamenti. Nessun percorso formativo potrà essere iniziato in assenza del principale propulsore, ovvero la motivazione. Di fatto, l’interesse ad agire, per poter essere sollecitato, deve risultare percettivamente gradibile e gratificante per la persona che dovrà compiere lo sforzo di promuovere azioni di cambiamento. I fattori ostacolanti la motivazione dell’agire, si sa, compongono la parte decisamente più ostica e travagliata nel trattamento educativo e di counseling. Rigidità dei costrutti, labile autostima e ridotto senso di autoefficacia, sono decisamente lesivi per una sana e costruttiva progettualità. In questo senso, il lavoro di counseling, assume la forma di un intervento che coinvolge la ristrutturazione anche profonda di un soggetto umano. Ciò che cambia è la direzione dalla quale si compie questa opera. L’indagine, cosiddetta di superficie, coinvolge aspetti e punti nodali della persona, che emergono inevitabilmente, dal momento che ciascuno di noi si pone di fronte a questioni e circostanze di natura problematica, che richiedono interventi e soluzioni.

Una volta rifornita la motivazione del carburante necessario, le qualità di un agire efficace si estrinsecano di conseguenza. Tutte le altre componenti, infatti, risentono della presenza e dell’intensità della motivazione. Elementi preziosi quali l’attenzione, la faticabilità, il buon funzionamento della memoria di lavoro, l’attitudine all’impegno e all’eventuale riprogrammazione per “tentativi ed errori”, sono variabili che permettono di sviluppare atteggiamenti resilienti e di fare appello ad un vero e proprio armamentario di competenze e di abilità da adoperare con flessibilità e consapevolezza.

Sono queste, difatti, le espressioni funzionali di chi viene definito, secondo la terminologia anglosassone, un “good strategy user” (GSU). Chi è l’utilizzatore di buone strategie? Con tale espressione viene identificato chi riesce a ricorrere a strategie funzionali nella risoluzioni di problemi di varia natura. Egli utilizza il pensiero divergente, vaglia, esplora e ricerca alternative inconsuete rispetto a quelle già note. GSU è anche colui che, sia in caso di successo che di insuccesso, riesce a collocare nel giusto orizzonte ogni rapporto causale fra le diverse variabili che hanno determinato l’esito del compito. Questo significa che, all’interno di un agire produttivo, diretto a raggiungere gli obiettivi profilati, risiede quella capacità oggettivo-analitica che permette al solutore capace di attribuire quanto realmente una variabile influisca o abbia influito sul compito.

Questo significa non soltanto avere dalla propria parte la tecnica osservativa, ma anche di volerla accettare nell’uso, secondo un criterio di neutralità, precisione e sospensione dello sguardo, che richiede anche maturità interiore e preparazione psicologica. Il solutore competente, dunque, è colui che sa con la maggiore esattezza possibile, quale fattore attribuire agli eventuali successi o insuccessi, evitando di incolpare se stesso, gli altri o anche eventi accidentali, per difendere magari una debole e precaria struttura di personalità, vinta dalle proprie ferite affettivo-emozionali.

Il buon solutore, invece, è proprio colui che valorizza il proprio impegno o quello eventualmente altrui, che sa di poter contare su abilità proprie o su quelle di un team centrato sul compito. Egli si riconosce le proprie qualità, e stima ed apprezza quelle di chi può aiutarlo o può a sua volta aiutare. Ricerca quindi la collaborazione, e non lascia nulla al caso o alla fortuna, i quali, infatti, diventerebbero eventuali giustificazioni dal carattere improbabile, sia in caso di esito positivo che negativo in riferimento alla realizzazione di un obiettivo.

A questo punto, va da se che il discorso si sposta sulla necessità educativa di preparare il solutore delle buone strategie, formandolo a sviluppare i requisiti fondanti un’azione efficiente ed un atteggiamento costruttivo, in vista di problematiche più o meno complesse da affrontare e risolvere.

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