PSICOMARKETING: Abusi e controsensi di una psicologia ingenua

Inviato da Nuccio Salis

bugiardoChe cos’è l’ottimismo? Secondo alcuni uno stato d’animo di positività, per altri una modalità dell’essere, o un elemento dell’espressione della personalità, per altri ancora un atteggiamento necessario per poter affrontare le problematiche con una carica motivazionale che immagina e vede la soluzione. In buona sostanza, una qualità dell’umano che aiuterebbe a vedere sempre e soltanto il lato positivo delle cose, salvando così dal cruccio e dal ripiego in un ruminìo di pensieri nefasti. Insomma una buona cosa, indispensabile e forse addirittura irrinunciabile.

È possibile averne una visione differente? Probabilmente si, a patto però che si desideri sondare nell’immenso spazio di mistero dell’individuo umano, senza relegarlo dentro banali e limitati riduzionismi, quale, per l’appunto, quello del dovere di essere ottimista. E già, perché stando a un certo tipo di psicologia positiva, o meglio a come questa venga presentata e di conseguenza interpretata dalla moltitudine, pare che la caratteristica dell’essere ottimista sia da preferire e da apprezzare rispetto a quella del pessimista. Così come l’estroversione è da privilegiare rispetto all’introversione, la disinibizione alla timidezza, l’allegria alla caduta di umore, la solitudine alla compagnia, il socievole al solitario e così via.

Sbaglio, o la psicologia sarebbe dovuta servirci a formarci nell’avere uno sguardo disincantato sull’espressione del sentire e dell’agire umano, allo scopo di accoglierlo con sospensione dello sguardo, così da poterlo eventualmente comprenderlo?

Nella psicologia condotta con tutti i crismi di una seria ricerca, è decisamente ancora così, ne sono convinto. Non credo però che possa essere facilmente smentito lo scivolone che una parte di psicologia ha fatto nell’assottigliarsi strategicamente alle aspettative e alle credenze popolari.

Per quale motivo una parte di ricercatori avrebbe optato per riesumare un orientamento ingenuo della psicologia, disonorando tutti gli industriosi tentativi che questa scienza ha fatto e continua a fare per documentare con realismo i risultati dei propri studi?

Prima di tentare una risposta, ci terrei a precisare che usare la ricerca per denudare e chiarire aspetti di realtà, e descriverli e restituirli pubblicamente così come sono, spogliati di ogni interesse ideologico, economico e politico, è la funzione che distingue la scienza nella sua piena finalità. Diversamente, ovvero omettere o manipolare i dati della ricerca scientifica, per conservare modelli e paradigmi sociali a scopi degli stessi interessi prima citati, è invece l’anti-scienza. Significherebbe cioè tradire il primo mandato in assoluto della scoperta e della conoscenza, cioè quello della verità dei dati e della diffusione degli stessi, a scopo di ulteriori ricerche e verifiche.

Da troppo tempo, sembra di assistere alla riemersione di una psicologia da salotto delle comari, che crea tendenze modaiole e semplificazioni della complessità umana. In seguito a ciò molti si sentono psicologi, abili confidenti, ascoltatori capaci, impeccabili osservatori, e traggono inferenze, conclusioni, con una velocità diagnostica risibile e una sicumera che oltrepassa il grottesco.

La psicologia, nata per cogliere la complessità umana e descriverla con rigore ed assenza di giudizio, diventa oggi, purtroppo spesso, veicolo di incasellamento nell’ordine di bene e male, giusto e sbagliato, regredendo al suo peggior periodo di saccenza psicometrica, durante il quale si viveva nell’illusione di aver trovato l’unità di misura dell’essere umano, e dunque la possibilità di standardizzarlo con test e prove quantitative, e definirlo attraverso il suo scarto o allineamento mediano della popolazione.

Il determinismo cacciato dalla porta, rientra oggi dalla finestra, attraverso numerosi testi da bancarella del mercatino delle pulci, con copertine patinate di sorrisi che vogliono insegnarci “come essere felici”, o suggerirci “l’arte dell’ottimismo”, e naturalmente non possono mancare carrellate di consigli per “vincere la timidezza e ritrovare l’autostima”. Un festival di promesse dal tono quasi comiziale che, se da una parte, può essere in parte giustificato dalle esigenze editoriali nell’ambito della vendita, d’altra parte non si può non rimanere delusi ed esterrefatti di fronte agli scaffali di psicologia anche di una libreria o di una biblioteca. Non ditemi che non l’avete provata anche voi quella sensazione.

Chi è del settore, sa bene che la psicologia è ben altra cosa dall’attività editoriale del dispensare consigli da tavolinetto da bar, ma la confusione che può generare è deleteria per l’immagine e per lo scopo etico della stessa psicologia. In questo modo, la psicologia, invece di essere strumento in grado di mettere in evidenza le criticità e le contraddizioni della società materialista occidentale, ne affianca invece le sue declinazioni, e finisce per incoraggiarle. Ed ecco che se la società non ammette la debolezza, rifiuta il dolore, premia gli sfacciati e i narcisisti, non ha tempo per i sentimenti di un riflessivo; allora la timidezza, la vulnerabilità e l’introversione diventano malattie, ed assumono, nell’accezione comune, un aspetto patologico del quale disfarsi, perché costituiscono fastidiose zavorre per quello che la società promuove: essere cioè sempre sicuri di se, stare all’altezza e pronti alla sfida, buttarsi sempre nella mischia, incollarsi sorrisi beoti e festeggiare successi e vittorie. Non c’è spazio per la complessità, non c’è spazio per la diversità, non c’è spazio per un’idea di uomo alternativa a quello ad una sola dimensione, di marcusiana memoria.

Mi auguro invece che la scienza umanistica recuperi completamente la sua originaria missione, e si distingua da certe misere inclinazioni verso la ridicolizzazione del manifestarsi umano. Ci si deve affrancare da uno psicomarketing che si offre al pubblico esattamente come lo farebbe un prodotto pubblicitario, con un linguaggio ed uno slang seduttivo, accattivante e promettente, in grado di generare quella cornice di intrigante mistificazione che è la linfa “vitale” dell’essere umano. Vendere bugie, infatti, è molto più semplice del presentare o narrare i fenomeni per ciò che sono.

Il disimpegno intellettuale diffusosi nella società contemporanea, non può essere però assecondato da una tendenza a trovare vetrine del mercato, per diffondere la propria conoscenza. Ciò decreterebbe la fine di ogni ricerca di senso, e soprattutto di ogni sensata ricerca. Il rischio di vendere teorie e ricerche umanistiche per la massa consumistica, potrebbe far pensare, già a monte, a un testo di psicologia come saponetta destinata alla vendita. Quindi un prodotto di cui ciò che conta è l’incartamento, il logo, il colore, l’immagine, la visibilità ottenuta con gli spot; mentre come contenuto, infine, è importante che raggiunga l’obiettivo di non far riflettere troppo e, soprattutto, non impensierire, perché al di la dell’ottimismo potrebbe celarsi l’ipotesi di un mondo che, chissà, magari non va poi così bene, ma grazie all’ottimismo questo potrebbe cambiare per noi, così da sentirci sollevati da un qualunque coinvolgimento o responsabilità.

Se poi c’è qualche problema, c’è l’amico psicologo, che psicologo non è, ma ha uno scaffale di psicolibri che pare una bancarella. Oramai dev’essere esperto.

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