L'aiuto del counselor al disagio giovanile

Inviato da Lucia Balista

counseling per_giovaniIl disagio giovanile viene descritto come una dimensione latente di una non completa integrazione del giovane nella società in cui vive, che si traduce in un malessere diffuso connotato da noia esistenziale, difficoltà ad integrarsi, isolamento, pessimismo. Elementi questi che "covano" nell'intimo del giovane per diverso tempo e che possono anche esplodere, talvolta all'improvviso, in comportamenti devianti o autolesionistici. Il disagio è più uno stato d'animo interiore che viene vissuto più che agito e in questo senso si differenza dalla devianza che descrive invece dei comportamenti contrari alle regoli sociali e umane. E' un malessere molto diffuso che si rintraccia un pò ovunque e  taglia orizzontalmente le diverse realtà giovanili, così come viene registrato dalle ricerche sul mondo giovanile.

 

E se il sistema sociale esaspera il senso di incompletezza e di instabilità caratteristico della transitorietà che contraddistingue la condizione giovanile, il disadattamento strutturale che la definisce corre il rischio di trasformarsi in un malessere diffuso e generalizzato. La cosa si complica ulteriormente nel momento in cui troviamo il giovane che cerca di traghettare verso la fase adulta,  verso una maturità, e la complessità sociale in questo momento gli invia una serie di indicazioni confuse, con scarsi punti di riferimento significativi, con percorsi sempre più flessibili, in cui viene richiesta elasticità e prontezza nel  scegliere fra tante possibilità.

L'identità individuale che in questi frangenti di vita un ragazzo va costruendosi, non avendo punti di riferimento stabili, cambia per forza di cose diversi ambiti normativi, culturali (la cosiddetta pluriappartenenza), con i quali è poi costretto a misurarsi e da cui però non riesce a trarre coerenza e unità ma ambivalenza e frammentarietà. Inoltre i giovani rimangono esposti a tale ambivalenza in modo del tutto passivo perché le agenzia di socializzazione che normalmente dovrebbero aiutare il giovane a discernere la complessità sociale, abdicano a questo ruolo non trasmettendogli alcun strumento di semplificazione.

Per cui i vari comportamenti "devianti" come la tossicodipendenza, la malattia mentale, ecc., non sono sganciati dalla vita di ogni giorno, ma anzi trovano la loro radice nel contesto delle normali relazioni sociali in cui ognuno si trova inserita.Tali comportamenti sono l'espressione socialmente visibile di uno “star male” che non riesce ad essere comunicato, e che non riesce a trovare relazioni significative all'interno delle quali imparare a superarle.  Cioè il disagio si genera e si alimenta più facilmente laddove i giovani non frequentano o non sono in contatto con “altri significativi” a cui far riferimento e con cui sfogarsi, confrontarsi per evitare che l’accumulo di tensioni e di incertezze quotidiane si trasformi in un malessere sempre più pesante da portare.

Il counselor, in tale ambito, potrebbe costituire un punto di riferimento in tal senso, in particolare per ridurre il pericolo che il disagio favorisca l’assunzione di comportamenti potenzialmente devianti o inneschi processi di progressiva emarginazione.

 

 

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