Tu chiamale se vuoi... motivazioni. Scoprire bisogni per attivare nuove azioni

Inviato da Nuccio Salis

carotaNel lavoro del counselor è centrale il concetto di motivazione. Le persone alle quali si offre il proprio sostegno formativo, difficilmente possono mobilitarsi se non individuano dentro loro stesse il senso ed il valore da attribuire al percorso di crescita e di apprendimento. Sentire l’utilità dell’esperienza che si sta compiendo e fruirne in modo ludico, gioioso, libero, spontaneo e costruttivo, è la chiave per assumere e sviluppare un atteggiamento attivo e partecipativo in prima persona, di fronte alle opportunità di progresso individuale e sociale. È il problema che riscontrano ad esempio gli insegnanti nel contesto strutturato dell’apprendimento scolastico. Studenti privi di una insita motivazione rifiutano di imparare, ed anche nel caso in cui si applicano, senza una riconosciuta ed apprezzata motivazione avvertiranno soltanto stanchezza, pesantezza, frustrazione, e svolgeranno ogni compito con fatica, dimenticandolo in fretta, senza trovarne e nemmeno ricercarne un possibile impiego o riscontro teorico-pratico. Senza motivazione, in pratica, la conseguenza è il blocco dell’attività sperimentale ed esplorativa. Si smette di cercare, fare esperienza, trovare il senso e gli scopi della propria vita. Le implicazioni dell’assenza di motivazioni sono ben più gravi di quanto non si creda.

Indurre l’altro da noi a cercare una motivazione può diventare un impresa eroica, specie se chi abbiamo di fronte si ripiega in un atteggiamento di rifiuto, o interpreta la ricerca di una motivazione come una richiesta forzata ed impersonale, da cui si sente schiacciato poiché la equivoca come qualcosa che riguarderebbe magari il mandato di farsi carico di una responsabilità, di un compito che a priori è sentito come inutile, pesante, fuorviante rispetto al proprio stile evitante e superficiale, nei confronti del conoscere e dell’esperienza in generale.

Alcune persone non trovano o perdono per varie ragioni le loro motivazioni. Un percorso di supporto e potenziamento utile, da rivolgere alla persona in carico, potrebbe essere quello di cominciare a smuovere l’individuo ponendo la motivazione sullo stesso piano del bisogno. Chiedere “Quali sono i bisogni che ti riconosci?”, rispetto a “Quali sono le tue motivazioni?”, può rivelarsi più efficace, più vicino al mondo emozionale dell’altro, specie se giovanissimo. È un linguaggio dell’affetto, che precede quello dell’azione, e quindi potrebbe favorire un maggior senso di prossimità partecipativa e di interesse affettivo, un invito a fermarsi a riflettere, ad ascoltarsi, piuttosto che evocare una spinta verso l’esteriorizzazione di sé in termini di impieghi da assumere.

Dare legittimità a ciò che si sente, fra l’altro, accogliendolo senza invalidarlo o considerarlo aberrante è uno degli obiettivi di un azione atta a promuovere l’aiuto. La motivazione, dunque, reca intrinsecamente un bisogno. Possiamo considerarla come una impalcatura ordinata a ridosso del bisogno che ne è alla base. Il fine potrebbe essere quello di far arrivare ad una conclusione del tipo “Poiché mi riconosco il bisogno X, la mia motivazione diventa Y”, quindi costruisco significato intorno al bisogno, attivandomi per raggiungere una determinata condizione più complessa. È un traguardo ideale, comunque raggiungibile. Per poterlo raggiungere, anche il nostro approccio deve impiantarsi su un paradigma più articolato in merito alla tematica sulle motivazioni. È quello che è accaduto comunque nel corso della storia della psicologia. Il modello teorico freudiano fu quello di riconoscere alle pulsioni il compito di agenti delle nostre azioni. All’interno di questo schema, le motivazioni dell’essere umano vengono ricondotte ad una basilarità eccessivamente semplificata, soprattutto dal momento in cui sono indicate le pulsioni di vita e di morte come la risultante dicotomica della complessità psichica del soggetto umano. Fu un importante psicanalista che risponde al nome di Donald Winnicott, ad inferire alle pulsioni il significato di bisogni, elevandole verso un piano di natura affettiva. L’individuo diventa dunque colui che fin da bambino è portatore di bisogni, e li comunica all’ambiente sociale in attesa che quest’ultimo attenda puntualmente alle istanze inviate dal bambino, che ricerca conforto, protezione, sicurezza, riconoscimento. Attraverso tale analisi, il concetto di motivazione comincia ad emanciparsi rispetto a una concezione gerarchica e verticale, strutturata secondo la piramide di Abraham H. Maslow. La griglia piramidale del Maslow viene ridiscussa, in quanto la si considera pretestuosamente lineare e forzatamente sequenziale; nel senso che, secondo altri studiosi, la visione di una scala di motivazioni “up” e motivazioni “down” potrebbe soltanto far rischiare di vedere le prime come una sorta di obiettivo giusto ed elevato da raggiungere, e le necessità di base potrebbero essere confuse come istanze basse la cui realizzazione è importante soltanto nella misura in cui concorrono al raggiungimento delle motivazioni superiori.

La mappa strutturale di Maslow rimane tuttora un valido punto di riferimento nella comprensione dei bisogni e dei loro processi, e nel frattempo altri approcci hanno maturato ai fini di collaudare modelli più sofisticati per capire tali fenomeni. Lo psicanalista Joseph Lichtenberg, ad esempio, ha sviluppato la teoria della motivazione strutturata, proponendo uno schema di lettura ad approccio sistemico. In pratica, la distinzione motivazione primaria/motivazione secondaria ha senso non più secondo un rapporto di rigida gerarchia, quanto secondo una relazione di continuità e orizzontalità fra due sistemi di motivazioni interdipendenti, nel cui epicentro, inoltre, risiede stabilmente il Sé che programma e significa l’esperienza motivazionale. Ciò darebbe luogo a 5 sistemi motivazionali che promuovono e regolano i bisogni relativi a ciascun sistema. Essi sono:

a). Regolazione psichica delle richieste fisiologiche. Fin dalla nascita necessitiamo di stabilità affettiva in rispondenza alle nostre esigenze profonde di legame e di affezione. Maggiore è la coerenza e la linearità del ritmo con cui riceviamo tali cure, più avvertiremo gratificazione e soddisfacimento.

b). Attaccamento e affiliazione. Il bisogno di strutturare rapporti appaganti, funzionali, affidabili, costituisce il ponte fra bisogni inviati all’ambiente sociale e prontezza di quest’ultimo nel rispondere a tali legittime e naturali richieste.

c). Esplorazione e assertività. Chi ha ricevuto stimoli incoraggianti alla naturale attitudine esplorativa, ora può permettersi con più facilità di muoversi conservando un senso di se efficace e competente, manifestando assertività.

d). Relazione avversiva. Le istanze emancipatorie di differenziazione, demarcano utilmente le dissimilitudini fra l’Io e gli altri, in un crescendo di modalità sempre più mature ed efficaci.

e). Il piacere sensuale-sessuale. Il bisogno di essere stimolati psicofisicamente ci accompagna fin dalle origini, attivando il nostro Sé a confrontarsi con tutta la complessità di conoscenze, credenze, valori e pulsioni, presenti in questo composto mosaico.

Sulla stessa linea del Lichtenberg, lo psicologo Robert Emde postula la multidrives theory, tramite la quale l’autore sostiene che il nucleo motivazionale è l’affetto, che si mostra come una struttura intrapsichica a carattere stabile, che ha il compito di influenzare e guidare l’esperienza soggettiva. Egli chiama gli affetti “fattori motivazionali primari”, ed attribuisce ai medesimi caratteristiche di universalità. A questi spetterebbe un ruolo di regolazione dei processi dell’esperienza, in termini di continuità e di significato del vissuto. Sarebbero tali principi motivazionali di base, a determinare l’esplicazione di innati programmi di sviluppo, identificati nei seguenti punti: a) Attività; b) Autoregolazione; c) Predisposizione alla socializzazione; d) Monitoraggio affettivo.

Le motivazioni sono perciò cosi descritte come strutture affettive internalizzate che stabiliscono la percezione soggettiva in merito a 3 importanti aspetti: a) L’esperienza del Sé; b) L’esperienza dell’altro; c) L’esperienza del Noi (Sé in relazione).

La portata di tali argomenti assume una declinazione particolarmente impegnativa se si considera come il quadro complessivo delle motivazioni, in seno all’altro da noi, costituisca un mosaico sul quale non è ammissibile procedere secondo un approccio semplificato. Abbiamo il dovere, l’onere ma anche il piacere di motivare, ed abbiamo gli strumenti per farlo. Ciò che nel mio piccolo mi sento di sostenere è che occorre farlo secondo una visione aperta ed accettante della diversità motivazionale, astratta da rigide aspettative teoretiche o peggio da cattive volontà diagnostiche. Ascoltare la motivazione significa aiutare l’altro da noi, ripescando insieme a lui i suoi bisogni, conferendogli potere di autocentratura; base preliminare per procedere a un' azione efficace e soddisfacente, in merito alle mete riconosciute essenziali per il proprio cammino evolutivo.

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