Dal dire al fare. Aiutare i clienti nella fase del compimento concreto dell'obiettivo

Inviato da Nuccio Salis

aiutare raggiungere_obiettivoLa relazione di aiuto guidata secondo i principi generali del counseling, si caratterizza nell’avere una direzione non forzata e non obbligata dal professionista che le afferisce una cornice di senso, nella misura del suo orientamento formativo e personale stile di intervento. In estrema sintesi, l’operatore decentra in tale contesto i suoi bisogni, le sue idee ed i propri parametri concettuali, superando la visione egocentrata della realtà per adempiere ad un servizio di accoglienza incondizionata ed ascolto profondo e sapientemente partecipato. Egli, dunque, non sovrappone al prossimo i propri schemi di lettura del mondo, e non adduce all’altro i propri valori maturati e le proprie certezze acquisite; anche perché egli dovrebbe avere consapevolezza della diversità giacente o manifesta su diversi livelli in ciascuno di noi. In pratica si evita di colludere con l’interlocutore, e si cerca di costruire una relazione fondata sul reciproco impegno, che riguarda l’assunzione di responsabilità dovuta alla collocazione acquisita in virtù del ruolo attribuito alle diverse parti all’interno del rapporto di consulenza.

Raggiungere un livello ottimale di sobria confidenzialità e di sana complicità fra counselor e cliente, agevola la relazione conferendole quella autonoma spinta naturale verso il soddisfacimento degli obiettivi concordati e condivisi. In pratica, si viene a saldare in maniera efficace un solido legame che può contare su un’alleanza compartecipata e sentita, in grado di diventare un contenitore di senso, dentro cui ciascuna delle parti coinvolte consolida la certezza di inviare e ricevere stima e riconoscimenti di valore dall’altro da se.

La forza di tale reciprocità si guadagna col tempo, e costituisce il lavoro principale del counselor, direzionato a sviluppare una relazione efficace all’interno di un clima facilitante e percepito come accomodante e positivo. Favorire tale condizione richiama tutte le doti tecniche e personali del professionista, consapevole che tale finalità costituisce, oltre che un auspicio di arrivo, uno strumento stesso da usare a vantaggio del processo di aiuto in corso. Difficile prevedere quando, come e quale livello di maturità comunicazionale raggiungerà lo scambio interpersonale fra counselor e cliente; dal momento che non esistono precisi parametri quantitativi misurabili dal numero degli incontri fissati o altri elementi di valutazione metrica. Ciascuno attiva differenti resistenze, modalità e soglie diverse di autorivelazione; e come non pensare a quali notevoli ineguaglianze esistano fra individuo e individuo in termini di livelli di fiducia di base, propensione al cambiamento, attitudini inconsapevoli al boicottaggio ecc.

Quello che conta è sentire, avvertire e, specialmente, verificare ed accertarsi, insieme alla persona verso cui prestiamo il nostro interesse e sostegno, come e dove stiamo procedendo. “Stiamo raggiungendo i risultati auspicati?”, “ Ci stiamo impegnando entrambi per dare attuazione al piano concordato?” Sono alcune possibili domande da formulare per valutare in termini accreditati se il cammino che si sta compiendo è realmente condiviso, accettato e diretto, in modo rispondente, verso le mete prescelte all’interno dell’orizzonte di valori e di significati che il cliente ha saputo mettere in evidenza a se stesso.

In buona sostanza non viene lasciato alla speranza o all’illusione, il proposito concreto di introdurre il cambiamento individuato dal medesimo soggetto appellante. Il counselor infatti, nell’accompagnare il cliente a comprendere la natura delle sue incongruenze, quindi dopo aver coltivato e fortificato un affidabile sentimento di alleanza reciproca con lo stesso, dovrà, in una fase avanzata del loro rapporto, verificare la reale messa a punto del cambiamento immaginato e desiderato dal cliente. Quest’ultimo, in altre parole, dovrà aggiungere il suo 50 per cento, dal momento che vorrebbe modificare o saper gestire determinati eventi.

In pratica, il “lavoro a casa”, al di fuori del setting del professionista dell’aiuto, rappresenta il vero punto di svolta della vita del cliente. Affermare nella tangibilità del quotidiano i contenuti delle proprie motivazioni, si raffigura come il passaggio chiave fra il vecchio ed il nuovo. Questa fase, così delicata, contenente imprevisti, rischi ed azzardi, può rivelarsi come l’ostacolo che mette fine al processo di crescita della persona, poiché il contraccolpo subito da un eventuale destabilizzazione può far regredire o conservare strutture comportamentali note, sicure e conosciute, quindi obsolete ed incongrue. Non si è mai del tutto certi delle conseguenze. Quello che il professionista ha il dovere di fare si riferisce al compito di stimolare in modo propositivo l’avanzamento allo stadio dell’azione, valutando insieme al cliente quanto questi si senta pronto.

Quali strumenti abbiamo per poter impiegare la persona di cui ci stiamo occupando ad assumersi questo impegno?

Per prima cosa, il counselor potrebbe riepilogare con precisione l’unità del comportamento che la cliente intende superare e confrontarlo con quello da raggiungere, descrivendolo con minuzia strutturale. In seconda battuta, il professionista dell’ascolto potrebbe proporre al cliente una simulata guidata, proiettando il medesimo verso l’accadimento immaginato, protetto da uno scenario allestito all’interno di un processo che chiameremo “training di assertività”; dal momento che il cliente è chiamato a destituire coraggiosamente una vecchia abitudine o modo di comunicare, per poterla sostituire a modalità maggiormente efficaci e di più elevato rendimento solutorio. Il nuovo comportamento deve rientrare dentro i principi e le reali caratteristiche personali del soggetto in questione, e deve altresì essere descritto con dovizia di dettaglio; nonché concretamente applicabile in quanto aderente a criteri di legalità e disponibilità di strumenti adatti allo scopo, e in ultimo prevedere un possibile bilanciamento fra benefici ed eventuali ricadute anche non gratificanti.

La parte conclusiva, ovvero l’effettiva transizione decisiva dal contesto protetto al quotidiano, spetta esclusivamente al cliente, che come dentro una nuova adolescenza (nel caso non lo fosse più anagraficamente) si troverà ad affrontare un compito di elevata difficoltà.

L’attraversamento del guado interposto fra l’immaginario anelato e le azioni svolte nella quotidianità, segnerà anche il tramonto della relazione di counseling, fenomeno di cui anche il professionista dovrà prendersi cura, recuperando il proprio al di qua, sicuro di avere svolto la propria parte, con bilanciato coinvolgimento, quindi riaffermando proprio quel criterio che potrà aver permesso al cliente di voltarsi un ultima volta e salutare la sua guida facilitante, prima di giungere alla sponda del cambiamento.

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