Cinema e adolescenza

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Francois TruffautVentisette anni orsono, moriva in una clinica di Parigi, Francois Truffaut. Nato come critico cinematografico, si affermò successivamente nella professione di regista. Nel 1973 vinse l'Oscar per il miglior film straniero con la pellicola "Effetto Notte". Il suo percorso professionale si incrocia con le vicende personali a tal punto che i suoi film si possono ritenere una rappresentazione diretta della propria storia. La madre Jeanine de Montferrand, lo partorisce appena diciottenne. Il padre, Roland Truffaut, lo riconobbe pur non essendone il padre biologico. La madre, quando scopre di essere incinta vorrebbe abortire ma la famiglia si oppone.

Dopo la nascita, il bambino viene affidato ad una balia e poi mandato in campagna dalla nonna con la quale trascorrerà la sua prima infanzia. Francois andrà a vivere con i genitori solo alcuni anni più tardi, alla morte della nonna materna. Fu la nonna a spingere il bambino verso la passione della lettura, insegnandogli a leggere. Questa passione per i libri resterà una costante nella vita privata e professionale di Truffaut. Con la scuola cominciano i primi problemi. Fino al 1941 frequenta il Lycée Rollin nel quale si sente un pesce fuor d'acqua. La mancata ammissione al sesto anno da il via ad un lungo peregrinare tra numerose scuole: «Avevo una pessima condotta, più ero punito più diventavo turbolento. A quel tempo venivo espulso molto di frequente e passavo da una scuola all'altra». A dodici anni incontra Robert Lachenay che, grazie alla comune passione per la letteratura e per il cinema, diverrà il suo più grande amico. Lachenay ricorda quanto questa passione letteraria, abbia rappresentato per ambedue, la salvezza verso un destino di sbandati: «l'incomprensione che i suoi genitori manifestavano per lui era simile a quella dei miei. Ciascuno di noi non aveva che l'altro a far le veci della famiglia. Se non ci fossimo incontrati e sostenuti a vicenda, certamente ci saremmo avviati entrambi su una brutta strada» . La continua e assidua frequentazione delle sale cinematografiche non contribuì a rendere Francois uno studente modello, per cui le bocciature si ripeterono, inducendolo a lasciare la scuola e a trovar lavoro come magazziniere. Nel contempo conobbe Andrè Bazin, critico cinematografico, figura centrale nell'evoluzione del ragazzo e che diverrà il sostituto paterno ed il suo mentore. In seguito ad un furto di una macchina da scrivere compiuto negli uffici del padre, lo stesso lo denuncia alla polizia: Francois conosce l'esperienza del riformatorio. Sarà Bazin a farlo uscire garantendo per lui. Con un colpo di testa il giovane si arruola nell'esercito ma poi ci ripensa e diserta. Verrà condannato ed incarcerato in Germania ma, ancora per intervento di Bazin,che aveva conoscenze nell'ambiente militare, verrà riformato a motivo di una mal definita instabilità caratteriale. Questo periodo ha inciso profondamente la vita personale ed artistica del regista, al punto che la maggior parte dei film da lui diretti, declina vicende e vissuti dell'infanzia e dell'adolescenza: I 400 colpi, Jules e Jim, Il ragazzo selvaggio, Gli anni in tasca. L'adolescenza messa in scena nei suoi lungometraggi non è un'adolescenza serena ma, al contrario, turbolenta e problematica, solitaria e malinconica, spesso lasciata alla strada da genitori poco empatici ed accuditivi. Ne "I 400 colpi", che Truffaut gira all'età di 26 anni, emerge la propria difficile infanzia, caratterizzata da una madre poco propensa a considerare i bisogni del figlio e da un padre che non è suo padre (scoprirà l'identità del vero padre anni più tardi, durante le riprese di un film). Truffaut passerà gran parte della sua infanzia per strada, insieme all'amico Lachenay, col quale coltiverà la passione per la lettura e per l'arte cinematografica. Truffaut, da autodidatta, si costruì una buona cultura letteraria e cinematografica, che lo faranno uno dei massimi critici della rivista "Le cahiers du cinema". Straordinaria è la mole di libri letta dal giovane Truffaut. Ed altrettanto straordinario il numero di film che corre a vedere e rivedere nelle sale parigine. La medesima abitudine del ragazzo protagonista de i 400 colpi, Antoine Doinel, che in definitiva rappresenta il suo alter ego. Non a caso il regista americano, Steven Spileberg, volle Truffaut come interprete di uno scienziato francese nel film "Incontri ravvicinati del terzo tipo", in quanto necessitava di "Un attore con l'animo di un bambino". Rileggendo la biografia del regista, emerge la sua adolescenza, sì problematica e ribelle, ma anche una natura intraprendente e caparbia. Nella sua storia si legge una notevole determinazione nel volersi affermare, nel cercare una propria identità, rifiutando qualsiasi tentativo esterno di inquadramento. Non cederà mai a lusinghe di natura politica. La storia familiare lascerà un segno nella sua vicenda affettiva, mai appagata e al tempo stesso cercata e rifuggita. L'instabilità affettiva sarà uno dei connotati esistenziali del regista, spesso innamorato delle attrici del cast dei suoi film (Jeanne Moreau, Francoise Dorléac, Claude Jade, Catherine Deneuve, Isabelle Adjani, Fanny Ardent). L'amore descritto sullo schermo è un amore che fa male e che spesso si incrocia con la morte (La signora della porta accanto). Nel film "L'amore fugge" il protagonista Antoine Doinel, come già detto alter ego del regista, esprime la propria incapacità a legarsi fino in fondo ad una donna, rimanendo un eterno adolescente. Una adolescenza vissuta leggendo a dismisura e guardando ossessivamente pellicole al cinematografo, poteva sconfinare nella follia, nella devianza, nel disadattamento, nella coartazione. Ha prodotto, per fortuna sua e nostra, un impegno artistico, come se nel girare, Truffaut, rivivendo la propria adolescenza, la esorcizzasse per renderla tollerabile, in una sorta di catarsi aristotelica. L'adolescenza nel cinema di Truffaut è un'adolescenza tesa alla ricerca della propria realizzazione, aliena da schemi che la possano ingabbiare, in una perenne tensione verso la libertà. Le scene finali della fuga dal riformatorio durante una partita di calcio e la corsa verso il mare ne "I 400 colpi" lo testimoniano, esprimendo al tempo stesso la solitudine dell'adolescente di fronte alla vastità della vita, simbolicamente rappresentata dal mare. Spazio aperto nel quale è alquanto problematico ed affannoso reperire un riferimento. Anche ne "Il ragazzo selvaggio" si legge questa contrapposizione. Victor, ragazzo cresciuto nella foresta, viene adottato dal Dr. Itard, medico ed educatore (peraltro realmente esistito), al fine di civilizzarlo. Libertà verso costrizione, il conflitto di ogni adolescente. Certo, la mancanza affettiva patita dal regista nell'infanzia, ha prodotto nello stesso una sorta di perenne infelicità, mitigata nella letteratura e nell'ambiente cinematografico. Ambiente in cui è stato dapprima critico, poi regista ed anche attore, quasi a voler ribadire l'appartenenza esclusiva della propria esistenza e identità a tale mondo. E' probabile che le vicissitudini infantili, le angosce adulte, il suo peregrinare affettivo, abbiano giocato un ruolo nello sviluppo della patologia tumorale che lo colse a 54 anni. Per sintetizzare la sua vita riporto le sue parole: "Tre film al giorno, tre libri alla settimana, dei dischi di grande musica basteranno a fare la mia felicità fino alla morte, che un giorno dovrà pure arrivare e che egoisticamente io temo. I miei genitori sono per me soltanto degli esseri umani, è solo il caso che fa di loro mio padre e mia madre, è per questo che per me non sono che degli estranei. Ecco tutta la mia avventura. Non è né allegra né triste, è la vita. Non fisso a lungo il cielo perché quando i miei occhi ritornano al suolo il mondo mi sembra orribile" . Rimane, in ogni caso, un insegnamento: anche per coloro che, per sfortuna o meno, si portano il fardello di un'infanzia difficile, sussiste la possibilità di trasformare la propria sofferenza in creatività. Non tutto è dunque irrecuperabile. Certo, ognuno deve poter trovare il proprio Bazin, il facilitatore della creatività, colui che ti può indicare la strada e la possibile via d'uscita. Il resto lo deve compiere l'adolescente, unico e vero "regista" di sé stesso e della propria vita.

 

 

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