Storia di un Counselor: come tutto ebbe inizio (almeno per me!) Quinta parte


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Lavorerò dunque con adolescenti delle scuole superiori. La fascia d’età temuta da molti adulti che nemmeno la vogliono sentire nominare. Vediamo insieme alcune definizioni “da manuale” di adolescenza o adolescenti:

“L’adolescenza è l’età del cambiamento, come la stessa etimologia della parola implica: adolescere in latino significa “crescere”, il cui participio passato adultus significa appunto la fine della crescita. L’adolescente, dunque, è allo stesso tempo un bambino ed un adulto: in realtà egli non è più un bambino, e non è ancora un adulto. Questo duplice movimento, rinnegamento della sua infanzia da una parte, ricerca di uno statuto stabile di adulto dall’altra, costituisce l’essenza stessa della “crisi” che ogni adolescente attraversa”. 

O ancora:

“L'età dell'adolescenza è contrassegnata da una gamma molto vasta e profonda di mutamenti fisici e psichici. E' l'età dell'ambivalenza: è una fase di conflitto fra l'aspirazione soggettiva all'indipendenza ed il persistente bisogno oggettivo di dipendenza, soprattutto economica e quindi disciplinare. Questo conflitto è aggravato dalle caratteristiche della società attuale che tende a prolungare la fase adolescenziale (prolunga il periodo di scolarizzazione, non lavoro/non indipendenza economica/matrimonio spostato nel tempo). E' una fase di dubbio sulla propria identità. Questo è dovuto alla ancora incerta presa di coscienza ed accettazione del proprio corpo, nella sua rapida trasformazione e nella sua "sessualizzazione" ed il frequente squilibrio tra evoluzione somatica ed evoluzione psichica, soprattutto istintuale”.

E infine:

“Gli adolescenti sono tutti dei gran rompiscatole” (Giorgio Andreoli, mio padre).

In queste definizioni ed in molte altre che mi sono trovato a leggere o sentire nel tempo è molto forte la presenza di termini “faticosi” o “da battaglia” come conflitto, ambivalenza, dubbio, paura, incertezza, abbandono. Lavorare con adolescenti, invece, è stato ed è tuttora per me fonte di vera e pura gioia. Amo gli adolescenti e più sono idealisti, incazzati, incompresi, delusi, apatici e più io li amo. Ho trascorso un’infanzia ed un’adolescenza “da adulto” e cioè molto compreso nel mio ruolo di mediatore familiare e poco coinvolto in quello che, come bambino prima e come ragazzo poi, mi stava succedendo. Ho scoperto tardi la mia parte adolescenziale e non me ne voglio separare più. Questa “base comune”, che i ragazzi colgono immediatamente, è fonte di ricchezza ma anche di qualche rischio.

Come operatore di sportello, infatti, sono un adulto che ha superato la fase d'età in cui si trovano gli studenti, ma sono allo stesso tempo a loro più vicino di genitori o insegnanti ai quali spesso non direbbero molti dei pensieri/sensazioni che esprimono a me durante un colloquio. Inoltre, per molti di loro posso essere un modello a cui ispirarsi a causa del ruolo ricoperto a scuola e della disponibilità all'ascolto, che viene considerata “merce” rara. Il rischio può essere quello di creare un'eccessiva complicità o di non riuscire a definire i limiti di questa particolare relazione a due; inoltre forte è la richiesta di “ricette” comportamentali che dovrebbero fornire loro la chiave per instaurare perfette relazioni con coetanei e adulti. D'altra parte però rimango diverso da loro, comunque appartenente al mondo degli adulti e a volte temono il mio giudizio negativo o, peggio ancora, la possibilità di non essere capiti fino in fondo.

Proprio questa sembra essere la loro preoccupazione principale, derivante dalla situazione “del sentirsi a metà” che sperimentano in questa fase della loro vita. Spesso la loro finalità principale (a volte anche non del tutto consapevole) nell’accostarsi allo sportello di Counseling è proprio quella di trovare uno spazio nel quale esprimersi senza sentire la pressione della prestazione o il giudizio esperto dell’adulto. La risoluzione di un determinato problema o l’esplorazione di uno stato d’animo (pur ovviamente importanti) sono certamente subordinati a questo desiderio di essere “visti” e valorizzati per come sono. In molti casi grande è la meraviglia quando sperimentano davvero che il colloquio di Counseling non consiste nell’ascoltare una serie infinita di consigli-precetti-linee guida di comportamento impartiti dall’ennesimo “adulto che sa”, bensì in “un’esplorazione danzante” nella quale entrambi hanno un ruolo fondamentale e responsabilizzante.

A questo punto però sento il bisogno di dire quale straordinario regalo ho ricevuto io dall’attività di questi tre anni: ho potuto vivere, così sublimandola, una “nuova adolescenza” attraverso quella dei ragazzi incontrati e perciò ho potuto apprezzare in maniera completa (e forse per la prima volta) la ricchezza e le possibilità insite nel mio essere adulto. Ma ora basta con queste melensaggini che, da buon “adolescente-anche-se-adulto”, critico e disprezzo da una parte, inseguendole e apprezzandole dall’altra…

Un aspetto importante riscontrato in tutti gli sportelli di ascolto di Testa fra le Nuvole è la differenza che esiste tra il modo di vivere l'adolescenza e il rapporto con la scuola dei maschi e quello delle femmine. Le ragazze vivono probabilmente una più difficile condizione adolescenziale (soprattutto per quello che riguarda la loro femminilità ed il rapporto col proprio corpo), mentre i maschi hanno forse più difficoltà a scuola (soprattutto hanno maggiori conflitti con l'autorità, sono meno in sintonia con una cultura scolastica più adatta allo stile femminile di apprendimento e si comportano in maniera apparentemente più infantile nelle relazioni con insegnanti e compagne).

C’è inoltre una netta sproporzione tra l’affluenza femminile e quella maschile agli incontri di sportello. Ciò è certamente dovuto alla presenza di un maggior numero di ragazze nelle scuole in cui operiamo, ma forse si può spiegare anche considerando le loro diverse evoluzioni in quella fase d’età. Più pronta a parlare di sé e dei propri sentimenti/paure/difficoltà, la ragazza; più chiuso e restio a riconoscere (e quindi a condividere) le proprie emozioni e le proprie difficoltà personali il ragazzo, con in aggiunta la preoccupazione che ciò farebbe venir meno l'immagine di ruolo sessuale che non tollera debolezze.

Nega di avere difficoltà o le generalizza come problema comune, tendendo ad agire per risolvere i problemi, piuttosto che pensarci o comunque parlarne con qualcuno. Da qui la difesa: “è roba da femminucce” e la preoccupazione di poter essere deriso dai compagni se visto usufruire dello sportello oppure, nel migliore dei casi, l'ironia sdrammatizzante ma rivelatrice di una difficoltà Oggi vengo un po' a piangere da voi…”.

Per facilitare la convivenza con le Istituzioni Scolastiche e fare chiarezza sull’attività proposta, abbiamo pensato di formulare alcune semplici regole che caratterizzano i nostri colloqui di sportello e che possono essere considerate la base del “contratto” che facciamo con gli studenti e con la struttura.

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