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IL CICLO DI VITA DEL GRUPPO NELL’OTTICA ANALITICO-TRANSAZIONALE. Il modello toponomastico

Inviato da Nuccio Salis

gruppo

Comprendere la struttura di un gruppo significa identificarne componenti e dinamiche sia interne (intragruppali) che esterne (intergruppali), ovvero rispettivamente i processi delle relazioni interpersonali fra appartenenti al gruppo e quello a maggiore carattere macrosociale che vedono il gruppo impegnato a condurre confronti con ciò che risulta al di fuori di esso.

Occorre dunque individuare sempre almeno due aspetti fondamentali: la struttura e il processo. Cioè da una parte gli elementi che costituiscono le componenti principali del gruppo e come invece il gruppo funziona, si sviluppa e rende queste sue strutture plastiche, mobili e le adatta nei contesti dentro cui il gruppo medesimo interagisce e vi esercita la propria azione in modo attivo, con varie sfumature di gradienti nel rapporto spontaneità/struttura, anche a seconda della natura del gruppo e degli obiettivi che lo stesso si è posto.

 

Nell’analisi transazionale esiste uno schema relativamente semplice ideato da Eric Berne nei primi anni Sessanta del Novecento. La raffigurazione offre indicazioni su come poter disegnare una mappa che configuri un gruppo nei suoi elementi. Questa mappa, chiamata ‘toponomastica del gruppo’, ha l’obiettivo di chiarire in un modo largamente accessibile quali sono le relazioni all’interno di un  gruppo, specie quando dentro lo stessa compagine vi è un minimo di differenziazione dei ruoli e quindi una sorta di sistema gerarchico intrinseco che caratterizza il gruppo stesso. La visione toponomastica secondo l’ottica proposta da Berne, mette in evidenza in modo particolare i confini che si stabiliscono fra i vari membri del gruppo distribuiti nelle loro diverse funzioni e dunque anche nel senso della loro presenza ed appartenenza al team. In aggiunta sottolinea anche la linea di confine circolare che si instaura fra il gruppo e ciò che vi è al di fuori dello stesso. Dal momento cui, infatti, un gruppo si costituisce, avviene in modo sincronico la nascita di un senso del ‘Noi’ con una visione sufficientemente condivisa di ‘Altro da noi’. In altre parole, nello stesso momento si delineano sia un processo di identificazione interna che legittima l’affermazione e la nascita del gruppo e sia un riconoscimento a ciò che risulta esterno (o proiettato) da esso.

Questo significa che il senso del ‘Noi’ non può rinunciare al senso dell’ ‘Altro da noi’, cioè come una medaglia che ha sempre per forza due facce. Si può quindi maturare e strutturare un senso del ‘Noi’ nel momento stesso in cui cresce un’immagine di gruppo, al di la delle modalità con cui la stessa venga poi avanzata e condotta nell’esperienza di gruppo, forgiandola cioè in virtù del livello formale od occasionale circa lo status del gruppo. Questa cioè si adatta a seconda della tipologia di costituzione del gruppo e dei modelli che lo stesso impiega per programmare la sua continuità, producendo e configurando questo importante rapporto fra idee e percorsi operativi che determinano insieme la sostanza politica del gruppo. Questo fenomeno suscita sempre notevole interesse, in quanto da l’idea del rispecchiamento inscindibile che intercorre fra il sé e gli altri (nella modalità individuale di confronto) e fra noi e gli altri (nella modalità collettiva di confronto).

La toponomastica che dipinge Berne illustra e colloca al centro un nucleo circolare che rappresenta la motivazione principale intorno alla quale un gruppo si riconosce. Questo aspetto funge da elemento cardine per la coesione del gruppo, da cui scaturisce la volontà di aggregarsi e di identificarsi intorno a una finalità suprema e irrinunciabile che risulta essere la ragione fondante che da luogo alla nascita del gruppo. Tale ragione è il pilastro portante intorno a cui i membri del gruppo sviluppano un senso di appartenenza facendo convergere le loro azioni per un fine comunemente condiviso e concordato.

Il nucleo centrale contiene dunque tutti quei valori, princìpi, idee di mondo ed aspirazioni che danno luogo ad una matrice collettiva che ruota intorno ad obiettivi comuni ed alla scelta di strumenti e percorsi mediante cui ottenere il soddisfacimento di quelle istanze che il gruppo stesso attribuisce come perseguibili. Vi sono inoltre contenute le idee ed i progetti ascritti ad una leadership incaricata di rappresentare ed incarnare gli interessi e la volontà del gruppo, e dunque tutti quei temi che lo stesso ritiene critici e sensibili per l’esperienza comune.

Ulteriori ad approfonditi studi annali sui gruppi definiscono e descrivono anche le tipologie del leader, e quindi i vari modelli con cui la guida riconosciuta all’interno di un gruppo si manifesta. Ciò è necessario appuntarlo per onore di una estesa mole di studi che vi sono riguardo al tema, e che dunque vista la complessità del fenomeno devono essere accostati a ciò che vado sviluppando in questo breve e sintetico articolo, per poter rendere l’argomento maggiormente valido ed esaustivo.

Detto questo, dal momento in cui viene definito o descritto un elemento del gruppo, specie nei termini di una rappresentazione toponomastica, questo presenta inevitabilmente dei confini. Questi definiscono le zone di incontro e di scambio fra le varie componenti costituenti il gruppo. Quindi c’è un confine fra leadership e membership, così come c’è un confine fra i singoli appartenenti, al di la della loro numerosità e delle loro distinzioni di ruolo che potrebbero sortire in parallelo agli articolati rapporti di natura asimmetrica, specie laddove è prevista una distribuzione complementare dei compiti e dei livelli di autorità di ciascuno. È in funzione del ruolo assunto, quindi, e delle sue responsabilità, che si definiscono le funzioni da assolvere e da espletare, che possono di conseguenza ramificare la struttura e l’organizzazione interna al gruppo per gradi formali di potere. È d’obbligo il rimando all’approfondimento di tale questione verso studi di settore molto precisi e rigorosi, i quali hanno già messo all’attenzione dei ricercatori come la gestione di un gruppo possa avvenire attraverso scelte gerarchiche di natura verticale (sostenute cioè da un principio di dirigenza verticistica e più rigida) oppure orizzontale (con maggiore parità e corresponsabilità negli indirizzi dei ruoli e maggiore investimento nel flusso condiviso delle informazioni). Ciascuno di entrambi i modelli va valutato ed inserito in funzione delle richieste e delle contingenze emergenti da ciascun contesto, e dunque non può essere inteso in senso assoluto come valido o non valido. Anche se, il modello partecipativo-democratico sembra essere quello più caldeggiato sotto il profilo sociologico, nonostante la sua diffusione ed applicazione sia spesso una formale facciata che nasconde invece un tanto nascosto quanto influente potere decisionale sull’itinerario di un gruppo.

Riprendendo il tema dei confini, quello fra leadership e membership viene denominato ‘confine primario interno’, così come esistono ulteriori zone di incontro e di scambio fra gli appartenenti dentro al gruppo, e che prendono il nome di ‘confini secondari interni’, che in ciascun caso rappresentano territori psicologicamente percepiti e condivisi come le aree di possibile condivisione partecipata che determinano la qualità dei rapporti che si sviluppano.

Sono proprio queste aree a definire il collante fra i diversi appartenenti al gruppo, in quanto offrono la possibilità dello scambio interazionale e del vicendevole passaggio di informazioni fra membri. Tale consegna definisce un requisito importante nelle qualità emergenti e fondamentali nella misura della funzionalità di un gruppo e della sua coesione percepita ed effettiva. La circolarità delle comunicazioni possono essere conosciute, condivise ed accessibili senza che vi siano filtri o privilegi di sorta che darebbero luogo come ad una suddivisione fra figli e figliastri che determinerebbe un potenziale  fattore di sfaldamento e rottura nei rapporti avviati e costruiti all’interno di un aggregazione che coordina e tutela la propria unità.  

Chiariti questi aspetti, rimane da completare come il gruppo sia continuamente soggetto ad un sistema di forze, ed in questo senso rappresenta un vero e proprio campo (come nella teoria di Kurt Lewin) che contiene sia le forze interne avvicendate nel complesso network di rapporti fra affiliati, sia le forze esterne con cui ciascun gruppo può essere costretto a misurarsi. In ogni caso, tutte le forze agenti in gioco sono connaturate al principio di azione-reazione e dunque schematizzabili mediante vettori. Quelle interne, per l’appunto, risentono delle dinamiche dello scambio e della qualità del confronto fra membri, e quelle esterno sono dovute alla struttura complessa con cui il gruppo stabilisce una certa natura di rapporto, per esempio può essere questo a subire pressioni dal macrosistema esterno così come può essere il medesimo gruppo ad essersi costituito proprio per riportare ragionevoli istanze e rivendicazioni all’attenzione del macrosistema. Questo dipenderà anche da come il gruppo si pone all’interno di una struttura di macrorapporti, e dunque come gestisce e giustifica la sua collocazione dentro un sistema allargato dentro il quale potrebbe anche non riconoscersi per vari gradi, ad esempio ponendosi ai margini o sollevando obiezioni alla cultura vigente, ma comunque proponendosi come una microcomunità portatrice di innovazioni, in grado di mettersi di traverso nei riguardi dello status quo dominante. Ne consegue che in funzione della collocazione che il gruppo assume dentro la cornice socio-politica del sistema e delle sue coordinate antropologiche consolidate ed acquisite dalla tradizione storica, e quindi anche in virtù del ruolo che il gruppo si auto-attribuisce ed eventualmente esercita, nascono diverse tipologie di rapporti nei confronti di ciò che esterno al gruppo stesso.

L’analisi sulle forze diventa dunque fondamentale per comprendere il processo di crescita per fasi di un gruppo, fino alla sua eventuale dissoluzione.

Bisogna a questo punto fare riferimento alle due categorie di forze: quelle cosiddette aggregative (sinergiche) e quelle disgregative (allergiche).

Raccogliamo e individuiamo alcuni aspetti delle prime nella categoria sinergia. Questa include:

consegna e passaggio trasversale di informazioni, sviluppo identità comune, senso partecipativo consolidato, confronto e negoziazione con esplicitazione dei punti critici, puntuale verifica-controllo e supervisione dell’attività in itinere, cura e gestione della rete dei rapporti interpersonali, prevalenza dei modelli comunicativi efficaci, mediazioni nei contesti intergruppali, disponibilità di risorse, riconoscimento – accoglienza e valorizzazione delle differenze individuali, spazi distensivi informali (es. festeggiamento).

In antitesi, la categoria allergia, la quale include:

flussi comunicativi interrotti, presenza di sottogruppi o sottoculture che sabotano i piani comuni, disidentificazione dai valori ed obiettivi comuni del gruppo, assenza di partecipazione democratica (assolutismo della leadership), malumori non esplicitati e non condivisi, mancanza di verifica e supervisione sul lavoro svolto, scarsa cura dei processi interpersonali (manutenzione socio-affettiva e relazionale n.d.a.), istanze interne non accolte e non condivise, dominio di modelli comunicativi inefficaci, pressioni e rivendicazioni esterne, non aderenza al proprio ruolo, personalismi e tentativi di prevaricazione, mancato raggiungimento degli obiettivi, scarsità di risorse disponibili rispetto alla finalità preposta, senso comune di disfatta.

Secondo gli studi prodotti dalla letteratura scientifica a indirizzo analitico-transazionale, ciascun gruppo è soggetto ad un interessante processo sequenziale di crescita e sviluppo, il quale attraversa sempre i seguenti passaggi:

 

1 – Fantasia (imago collettiva)     Forming

2 – Conflitto                                  Storming

3 -  Assestamento                         Norming

4 -  Operatività                              Performing

5 -  Eredità esperienziale              Mourning

(impronta storica)

 

Sono 5 tappe che permettono di identificare gli step salienti nel ciclo di vita di un gruppo e di entrare nel merito di ciascun elemento che ne rappresenta il corso.

Analizziamo infatti il primo aspetto (fantasia – imago collettiva):

come qualunque altra cosa che assume degli aspetti visibili e tangibili, sul piano di realtà cosiddetto, abitava prima nel mondo delle idee. Lo stesso principio è sovrapponibile al gruppo: lo stesso ha dimorato prima nell’immagine collettiva di ciò che poi sarebbe diventato un gruppo, corrispondendo più o meno alla stessa immagine di partenza. Fenomeno, peraltro, che determina la distanza fra percezione personale e vissuto esperienziale scaturito dalla vita di gruppo partecipata. Tale gap, dipendente da una serie di aspettative da parte del singolo, determinerà anche il suo livello di adattamento alla vita sociale e quindi potrebbe rafforzare o logorare l’ipotesi sulla eventualità della permanenza del singolo nel gruppo. Scaturiscono in questa apposita circostanza vari atteggiamenti possibili, che possono andare dal sabotaggio interno all’emarginazione fino all’out-group, passando per l’adattamento passivo ed una condizione non gratificante di somatizzazione del disagio. L’atteggiamento corrispondente è da valutare in funzione di una serie di variabili che includono sia fattori personali (genetica, temperamento, attitudini) che fattori impersonali (esperienza, apprendimento, influenza da esposizione a modelli educativi e culturali). Quel che è corretto sottolineare è come esista sempre un vivace ed inevitabile confronto fra istanze del gruppo e quelle della collettività.

Il gruppo, una volta costituito, ed avviata la sua vita sociale interna, dovrà misurare il senso della sua origine, dei suoi precetti e della sua direzione, con quella combinazione di immagini-aspettative che ciascuno ha prodotto nei suoi personali desideri, fantasie e motivazioni interne. Ciò farà prendere atto al gruppo circa la difficoltà non soltanto nella costituzione ma anche nel mantenimento e nel prosieguo di una esperienza di gruppo, specie se allargato, formale, strutturato per obiettivi. La diversità delle istanza fra gli stessi singoli è un altro aspetto di cui tenere conto, e in virtù della quale mobilitare risorse per poter gestire e valorizzare questi aspetti e giungere sempre ad una comune risultante che riporti a ciò che il gruppo condivide e persegue, notificando la collaborazione di ciascuno. È il caso del gruppo abile a condurre processi di mediazione e tessitura nella rete dei rapporti, curando con dovizia questo fondamentale aspetto di coesione e cucitura interna delle relazioni. Se il gruppo centra questo obiettivo allora può contare di aver rafforzato i propri punti fermi che ne definiscono, rappresentano e descrivono gli importanti nodi di congiunzione fra i vari membri di un gruppo, che a questo punto possono rilanciare e ritrovare il senso della loro appartenenza. Da questa esperienza ne possono beneficiare i rapporti interpersonali interni, migliorando sotto l’aspetto dell’adattamento reciproco, della comunicazione, del soddisfacimento dai rapporti di mediazione, della maturità dei modelli di confronto costruttivo “I win – You win”, nei quali cioè si cerca di gratificare tutte le parti in gioco senza scontentare eccessivamente qualcuno. È soprattutto così che il gruppo aiuta i membri singoli a consolidare il proprio rispettivo repertorio di know-how, utili ai fini della crescita sia personale che estesa al gruppo stesso. Si irrobustiscono e migliorano le capacità che permettono di proseguire insieme un cammino mediante il quale riconoscere scopi molto simili e di procedere attraverso un impegno comune nella individuazione di strumenti, risorse, obiettivi, strategie. È la delicata fasi in cui il gruppo si accinge a pianificare, dopo aver cementificato la propria identità anche nel tentativo di ponderare e combinare ciò che ciascuno rivendica e propone. Se il gruppo non supera questa fase conflittuale, poiché non riesce a gestirla con modalità costruttive, allora si vedrà costretto a “perdere pezzi”, scindersi o interrompere la sua stessa esperienza. Se invece tale momento viene superato, il gruppo può dirsi pronto per accedere alla ulteriore fase, nello specifico al terzo step detto dell’assestamento. Intanto, già dal precedente passaggio, il gruppo ha ricavato forza e strumenti ulteriori di fronteggiamento delle difficoltà e del problem-solving, imparando a gestire situazioni potenzialmente o precocemente disgregative. Pertanto si è irrobustito superando importanti test e prove di tenuta e continuità, anche in momenti critici di vivace e dinamico confronto interno.

Ed è a questo punto che accede alla fase più costruttiva che nella vita di un gruppo si può arrivare a conoscere: si tratta dello step della operatività. Ora il gruppo attiva realmente una serie di procedure, iniziative ed impegni concreti, verificabili, misurabili, tangibili ed osservabili anche eventualmente dal contesto esterno. Mette cioè in campo le sue strategie e rende conto delle sue capacità di pianificazione, dalla cui qualità dipenderà la realizzabilità la raggiungibilità degli obiettivi. Il gruppo continuerà tale attività fino a che i cambiamenti che sopraggiungono inevitabilmente, sia all’interno delle trame socio-relazionali, affettive e comunicative far i membri, sia per tutti i riallineamenti contingenti al contesto ed ai suoi più o meno profondi cambiamenti socio-culturali. Non tutti i gruppi possono reperire risorse e abilità resilienti tali da lasciarli sopravvivere ed interagire dentro contesti che si sono modificati. Quesiti di natura logistica e psicologica si intrecciano a determinare il livello di confronto fra il gruppo ed il suo contesto, sempre finalizzato al mantenimento del primo. La plasticità creativa dello stesso è infatti un criterio di sopravvivenza che diventa indispensabile per la continuità dell’esistenza del gruppo.

In questo modo, il gruppo può naturalmente approdare allo step della chiusura dell’esperienza collettiva con conseguente attivazione per fronteggiare il sentimento generale del lutto. Questo può anche essere elaborato in funzione di una efficace sintesi storica che riepiloghi le vicende dei passaggi più salienti nella vita del gruppo. Il gruppo recupera attraverso la narrazione biografica collettiva il suo senso dell’essere esistito, e si sfalda lasciando un’impronta nella memoria episodica dei singoli e suggellando una importante eredità storica ed esperienziale. A seconda della visibilità e dell’importanza che il gruppo può avere assunto per avere influito nelle trame macrosociali, tale memoria può assumere anche le forme di una ritualità ricorrente (più o meno condivisa dalla maggioranza che eventualmente la istituzionalizza e la assorbe nella cultura comune). In ciascun caso ciò accade anche quando si è trattato della storia di un gruppo ristretto a carattere più riservato.

Questo è dunque tutto ciò che il gruppo può svolgere attraverso il suo repertorio, ed anche il sunto di quelle vicende e di quei tragitti che sono stati osservati e riportati dall’orientamento analitico-transazionale, sempre più aperto ad una prospettiva di studio ecologica, allo scopo di comprendere e valorizzare l’autonomia del singolo anche dentro la sua complessa esperienza di apprendimento collettiva.

                                   

 

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