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IL CORPO SI FA PAROLA. Stati dell’Io-Sé ed espressione cinestetica

Inviato da Nuccio Salis

corpo

Il concetto guida che intendo sviluppare in questo articolo riguarda l’importanza di recuperare e rimettere al centro la prima forma di conoscenza in assoluto, che l’essere umano conosce durante la sua crescita, ovvero l’esperienza in riferimento all’uso del corpo che si fa mezzo e strumento di apprendimento totale. In altre parole, il corpo rappresenta fondamentalmente il primo serbatoio che raccoglie tutti i dati di senso e che dunque si interfaccia col mondo. Esso è cioè una sorta di barriera/confine, in grado di assorbire una moltitudine parecchio estesa di informazioni dall’esterno, la cui regolazione è affidata all’intero impianto funzionale del sistema nervoso centrale che ne regola il flusso e gli stati di attivazione. In pratica, tale processo consiste nel tarare con raffinata efficienza i livelli di registrazione, controllo e risposta da parte dell’organismo, in modo che sia al tempo stesso sia sufficientemente protetto da una intensa mole di dati in ingresso, sia aperto quanto basta per consentire l’interazione e gli scambi con ogni fonte di stimoli. In pratica, la sua caratteristica deve basarsi su un rapporto ottimale fra rigidità e flessibilità selettiva ed appropriata, al servizio dell’omeostasi.

 

Il corpo è dunque il raccoglitore privilegiato di tutti quei dati ed informazioni ceduti poi ad una complessa procedura di elaborazione dalla quale dipendono i modelli reattivi più automatici, quelli appresi e consolidati dall’esperienza e quelli soggetti ad una rivisitazione sperimentale e creativa che tende all’accomodamento di ciò che in parte è già stato acquisito. Sostanzialmente, la pratica esperienziale resa possibile dal corpo, si traduce successivamente in una gamma allargata di comportamenti e risposte di ritorno all’ambiente, che nel prosieguo di questo fenomeno configura atteggiamenti dominanti e costruisce l’identità del soggetto, delineandone le sue strutture intrapsichiche e personologiche. Tutto questo confluirà nel costituire un personale identikit di ciascun individuo, formato dalla combinazione di innate tendenze temperamentali ed attitudini e fattori appresi ed interiorizzati dall’esperienza. La complessiva risultante che ne consegue è comunque una totalità soggetta a perpetue trasformazioni, che prevede l’arricchimento del repertorio strumentale e conoscitivo dell’individuo, ri-applicato di volta in volta ai nuovi problemi emersi in relazione alle circostanze con cui ci si deve confrontare.

La dotazione genetica del corpo correda lo stesso da efficienti antenne in grado di catturare informazioni sensibili. Grazie alla pelle, agli organi di senso, ai feedback interni inviati dall’apparato osteo-muscolare, il corpo contribuisce in maniera essenziale a costruire egli stesso rappresentazioni interne e costrutti dai quali si fondano importanti e basilari atteggiamenti ed orientamenti in relazione a ciò che si percepisce sulla vita in generale.

Le teorie dell’attaccamento farebbero riferimento ad una formazione di comportamenti distinti fra loro in funzione del grado di avvicinamento/evitamento verso l’oggetto d’amore e quindi poi declinata sull’esperienza allargata.

IL modello transazionale ci istruirebbe circa la creazione di posizioni esistenziali che combinerebbero il livello di stima o disistima di sé con quello rivolto verso il mondo delle relazioni interpersonali.

Altri costrutti teorici ci illustrerebbero l’importante legame fra l’esperienza propriocettiva corporea e la sensazione di fiducia o sfiducia che si rivolgerebbe all’esterno, osservabile dai comportamenti messi in atto.

Qualunque sia il focus da cui si intenda articolare la questione,  il corpo è comunque eletto a centrale oggetto di studio per la sua imprescindibile funzione di contatto e trasferimento dati scambiati in continuazione con l’esterno. Egli è cioè quella complessa macchina bio-meccanica, che grazie ai suoi riflessi, automatismi, movimenti involontari e volontari, cinemi programmati con importanti valenze di equilibrio, di crescita esperienziale e di semantica comunicativa, acquisisce quel ruolo di interscambio da cui dipende il modo stesso con cui ciascuno di noi si confronta con la vita e con il contesto di cui fa parte.

Si connota infine un determinato gradiente che definisce lo spessore e la qualità con cui ciascuno si rende disponibile a negoziare i suoi significati maturati dall’esperienza, con i nuovi rimandi e le continue proposte contingenti con cui ci si imbatte anche nella più ordinaria quotidianità. In sintesi, si conforma un’attitudine esplorativa che ci conduce a relazionarci con gli eventi gestendo insieme l’aspetto della curiosità (tendenza estrovertita) con quello della protezione e della conservazione delle proprie convinzioni consolidate (tendenza introvertita).

Questo tipo di risposta risulta da un’alchimia di fattori sia endogeni (propensioni innate e naturali) che esogeni (esperienza e storicizzazione delle proprie vicende). È pur vero che le prime pagine autobiografiche di sé, così come ci ha insegnato una certa dottrina psicanalitica, corrispondono ad un elevata significatività in termini di incidenza circa il proprio vissuto, e sono dunque in grado di determinare la robusta ossatura psicologica di ciascun soggetto. Le scene primarie, vengono cioè a costituire ciò che nell’orientamento analitico-transazionale viene denominato “protocollo”, ovvero l’inizio della sceneggiatura copionale della propria esistenza, che contiene già una trama ed un soggetto definiti da una intricata combinazione fra messaggi genitoriali acquisiti dalle figure parentali più prossime e incisive e le decisioni rudimentali del bambino, quindi come effetto sostanziale dei riverberi emotivo-affettivo più pregnanti, che contaminano e costruiscono la visione generale del bambino sulla vita.

Questa sintesi fra preformato e derivato è una questione centrale nel delinearsi dello sviluppo e della maturità di ciascuno.

In questo contesto, il corpo assume una funzione decisamente influente, in questo passaggio, e non può essere visto soltanto come una sorta di soggetto di secondaria importanza, agganciato soltanto ad una posizione remissiva e passiva. La “protovisione” che il bambino infatti si configura, confrontandosi col mondo e con l’ambiente primario di riferimento, dipende anche dalle varianti di risposta attraverso cui il corpo si è relazionato con tutto il contesto. IL bambino comincia infatti a scrivere la propria storia, a connaturare la modalità di rapporto e di riconoscimento dell’alterità, anche e soprattutto in virtù di questo rispecchiamento con lo spessore dei messaggi genitoriali introiettati.

I primi educatori naturali del bambino inviano segnali, messaggi e indicazioni che il bambino non soltanto interiorizza e registra nei substrati emozionali e cognitivi delle sue strutture, ma che cattura, trasforma e somatizza soprattutto mediante l’ausilio del corpo. I genitori, con i loro rispettivi elementi strutturanti della personalità influenzano la costruzione di quelli del bambino; ne foggiano insomma i basilari aspetti personologici. In una fase di massima vulnerabilità e dipendenza da parte del bambino, è noto come il medesimo si trovi impegnato nella ricerca di stimoli esterni adatti al soddisfacimento dei suoi bisogni primari. Egli riceverà una serie di input genitoriali principalmente sotto la forma di programmazioni, dovuti agli insegnamenti (indicazioni e istruzioni che i genitori trasmettono all’indirizzo del bambino), all’invio di sottesi messaggi di natura emozionale, che contengono significati ed influenze implicite, e che possono accompagnare sia la forma del permesso che quella della proibizione, ovvero possono da una parte sollecitare e sostenere favorevolmente posizioni esistenziali che inducono a manifestare se stessi in termini di autostima e fiducia di sé, attitudine ad esplorare il mondo circostante, e d’altra parte possono essere di natura ingiuntiva, ovvero esprimersi sotto la forma della censura espressiva e del depotenziamento di sé. In quest’ultima evenienza, si costituiscono quelle determinanti che rappresentano fra gli oggetti di studio maggiormente posti sotto la lente scrutatrice dell’analisi transazionale. Quest’ultimo aspetto, infatti, conduce al tema del blocco e dell’ostacolo a quella vitale energia primigenia insita in ciascun individuo che tende all’autodeterminazione, e che Berne chiama physis. Ciò infatti genera un impasse esistenziale che assume la forma del limite a questa propensione verso la crescita, l’evoluzione, in una direzionalità verticale e verso l’alto. Tale spinta favorevole non sia da raffigurarsi soltanto in termini biologici e fisiologici, quanto soprattutto in termini transpersonali e spirituali.

L’importante novità di questo paradigma è il superamento di uno sterile dualismo cartesiano, rivelatosi fallace e inadatto sotto ogni aspetto, per sviluppare piuttosto congetture e pratiche favorevoli alla riaffermazione del corpo come strumento avente abilità e prerogative in grado di consegnare all’individuo un pieno senso di sé in vista di una consapevole e compiuta autonomia.

Gli indirizzi più aggiornati dell’analisi transazionale, frutto della ricercata, continua e costruttiva dialettica interdisciplinare con altre scuole e orientamenti, hanno dato luogo ad un’ottica corporeo-relazionale, ad opera di William F. Cornell, che ha ricollocato le dinamiche cinestesico-corporee al centro delle pratiche operative, applicabili peraltro in una vastità di settori rivolti alla richiesta di aiuto, includenti l’area educativa, clinico-terapeutica, prevenzione e riabilitazione.

Si tratta, fondamentalmente, di recuperare ed aggiornare conoscenze ed impostazioni già conosciute e sviluppate dentro questi studi, collaudandole e validandole dentro setting in cui l’aiuto alla persona viene diretto al ripristino di quelle funzioni cinetiche e tonico-muscolari irrigidite da eventi stressogeni e tensioni psichiche.

Da questa ottica apprendiamo l’importanza di riconsiderare come il corpo diventi fucina ed espressione visibile al tempo stesso di quelle tracce pressoché indelebili che il bambino incide dentro di sé come elementi pregnanti della propria esperienza psichica di base. Il corpo è in pratica sia il serbatoio attivo di tale esperienza che il portavoce diretto di come il bambino sia collocato in relazione a questo fenomeno. L’osservazione del corpo e la cura diretta verso lo stesso rappresentano a questo punto i percorsi intellegibili da intraprendersi per procedere ad una migliore qualità espressiva dell’individuo, in termini di autonomia connotata dagli elementi della consapevolezza, dell’autenticità e dell’intimità.

Il corpo che riscopre se stesso e si riappropria di tali connotati, è di fatto un corpo che si risveglia, e che aiuta il naturale fluire di quell’energia vitale che rende ciascun individuo equilibrato e in buono stato di salute.

È oramai indiscussa l’importanza di rimettere il corpo al centro della questione della salute psichica. Per decenni trascurato dal dominio dell’impostazione mentalistica, egli è stato delimitato ai margini del dibattito sul tema in oggetto, ed ha finito per essere considerato alla stregua di un accessorio forse addirittura imbarazzante o di ostacolo alla “sua maestà intelligenza”, della quale peraltro apprezzarne  e valutarne esclusivamente le performance logiche e lineari. Finalmente, invece, da qualche tempo, i limiti di questo approccio ne hanno svelato la profonda inadeguatezza, in merito ad una visione compartimentalizzata del soggetto umano, ed hanno restituito distinti caratteri di intelligenza e di emotività anche al corpo, non più dunque considerato come un mero aggregato di organi, ossa e muscoli, ma come prezioso alleato e protagonista centrale dell’esperienza della crescita e dello sviluppo.

Grazie anche all’apertura epistemologica dell’orientamento analitico-transazionale, sempre disponibile a nuove congiunture, sviluppi, scambi e prospettive nell’interazione collaborativa con altri indirizzi e ramificazioni del sapere scientifico, si può contribuire a questa necessaria rivalutazione del corpo, assunto come oggetto di studio che richiede massimo interesse ed attenzione, a vantaggio del sapere umanistico e della messa a punto di tecniche e strategie di aiuto sempre più valide ed efficaci.

Questo ha permesso alla stessa AT di maturare nuovi orientamenti e di arricchire i propri paradigmi e prassi di intervento, sia ereditando contributi esterni che partecipando ad immettere e scambiare le proprie conquiste scientifiche sorte nel proprio campo di interesse e di applicazione.

L’osservazione e la considerazione del corpo è dunque risistemata finalmente al centro di una pertinente analisi che rivaluta gli aspetti dell’espressione corporea in termini cinestetici e soprattutto riferentesi a tutto quel repertorio comunicazionale-scenografico mediante il quale il corpo diventa un divulgatore semantico di segni caricati di valenze culturali e relazionali.

In sintesi, la cinematica corporea assume la fondamentale funzione di emittente semiotica composta da codici linguistici extraverbali che costituiscono, come già peraltro risaputo, la gran parte del funzionamento di un processo comunicativo. Come infatti insegna la torta di Merhabian, la comunicazione non verbale specificamente alle varie manifestazioni del corpo (posture, orientamento, collocazione spaziale, aspetto esteriore, segni fenotipici, dinamiche cinestetiche) occupa il 55% dei fattori comunicativi legati alla percezione dei contenuti e dell’alterità che funge da controparte o partnership relazionale.

Una tale questione non merita certo di essere derubricata con sufficienza e pressapochismo, ed è per questo che invero già da qualche decennio ad oggi è in progressiva crescita la riconsiderazione del corpo, le cui strutture, processi e funzioni sono al centro di un rilanciato interesse che potrebbe finalmente promuovere anche sul piano pratico interventi di aiuto e di pianificazione degli apprendimenti maggiormente maturi ed improntati a criteri di olismo e di globalità della persona.

In questo modo, forse, per parafrasare Rogers con un auspicio, potremmo finalmente sperare che nelle scuole, per esempio, il corpo non si limiti ad accompagnare la mente alla porta, ma entri con lei in aula, per vivificare insieme l’esperienza dell’apprendimento. È necessario dunque riposizionare in luogo privilegiato il corpo come oggetto di studio, collegato alle istanze della persona in termini di bisogni, competenze, attitudini e abilità. Questo ridimensiona la tradizionale impostazione mentalistica, la quale si pone esclusivamente la finalità di appagare le richieste sociali soprattutto nell’ambito della prestazione mentale, diretta a parametri condivisi ed uniformati di efficienza e di produttività.

La sottolineatura di tale passaggio è fondamentale, dal momento in cui, proponendosi specialmente come operatori nella relazione di aiuto, si ambisce a potenziare il riconoscimento e l’esplicazione dei diritti e dei bisogni della persona. Dal momento in cui, invece, la visione del corpo riconquista tutti quegli elementi di cui in oggetto, questo non può più essere trascurato e ridotto a una sorta di presenza scomoda e secondaria. Deve invece riguadagnarsi quella centralità che le spetta dal momento in cui ogni individuo ridiscute se stesso rimodellando la visione di sé e del mondo.

Perché, dunque, l’interesse scientifico verso le dinamiche del corpo ridisegna il suo profilo di straordinaria importanza, anche nell’ambito delle ricerche in campo analitico-transazionale?

Possiamo dire che nel profilarsi degli studi in AT, si è data sempre priorità all’osservazione, dalla quale ricavare una serie di inferenze e coordinate oggettive che spiegassero posizioni esistenziali e comportamenti drammatici (giochi) delle persone. Le dinamiche del corpo rappresentano l’effetto espressivo di elaborazioni più complesse nell’ambito del processamento dei dati esperienziali e delle informazioni sensoriali catturate dall’esterno. Questo fenomeno si esplicita come la conseguenza di un confronto incrociato fra ciò che viene metabolizzato internamente e ciò che viene rilevato dal di fuori. Naturalmente, anche questa dualità è da intendersi nel modo di una semplificazione schematica che aiuta a comprendere la natura di tale processo. Tutto rimane da considerarsi nell’ambito di un’esperienza unitaria, secondo il motto degli alchimisti “ciò che è fuori è anche dentro”. L’importante è comprendere come tutto ciò possa far scaturire quella risultante come prodotto fra esperienza e lettura della stessa, che rende ciascuno di noi come artefice principale del proprio vissuto e del proprio ordine di valori, orizzonti ideali, stili di vita, scelte ed obiettivi. Ciò che conta è prendere atto che grazie a questo procedimento possiamo disporre di un piano di osservazione tangibile e misurabile anche e soprattutto grazie al corpo, come mediatore dell’esperienza psichica che interpreta visibilmente i contenuti latenti della persona. Questo non significa che ciò che il corpo rivela è sempre intriso di verità inconfutabile, ma almeno abbiamo una piattaforma osservabile dalla quale estrarre informazioni rilevanti e verificabili. Con tutta la necessaria prudenza che occorre.

È vero anche che aderendo alle generali regole della comunicazione, sappiamo anche che il modello analogico legato alle espressioni del corpo è meno soggetto al controllo cosciente e al filtro deliberatamente consapevole che riguarda per esempio la selezione accurata delle parole, per quanto anche questa dimensione comunicativa non sia esente da errori ed imperfezioni che tradiscono l’incongruenza con i propri vissuti.

IL corpo in questo contesto si rende dunque testimone dei percorsi intrapsichici dai quali ogni persona ricava quelle soggettive interpretazioni dalle quali poi si manifesta visibilmente in una modalità sociale. Dentro i canoni e i linguaggi dell’AT, sappiamo che questo effetto sortisce a seguito di un fluire di carica libera che viene catturata dai vari elementi strutturanti della personalità (Bambino, Adulto, Genitore), per poter poi divenire carica espressiva sottoforma appunto di comportamenti osservabili. Perlomeno ciò è che con estrema sintesi avviene in assenza di processi interessati da forme più o meno marcate di squilibri quali contaminazioni o esclusioni, sulla cui meccanica si rimanda alla letteratura transazionale.

Ciò che ci interessa è l’importante possibilità concessaci nel dedurre dall’osservazione del corpo importanti informazioni sullo stato psicologico ed emotivo della persona. Compiendo un passo con maggiore profondità, e rimanendo dentro la cornice euristica dell’AT, sarebbe possibile estrarre suddette informazioni anche da piccole unità temporali dentro cui il corpo, manifestandosi, rivela parti significative del corollario narrativo del singolo, che ne descrivono i principali capitoli in termini di espressione dominante di sé, decisioni di ruolo ed epilogo del proprio progetto di vita. Si potrebbero osservare le componenti più presenti e persistenti pur in piccole unità temporali distinte e separate.

Tutto questo potrebbe poi comunque essere ricondotta ad una unità osservativa che include sia la parola che altre espressioni comunicative extraverbali quali per esempio il paralinguaggio.

L’impegno che ci si può assumere consiste nel decodificare i linguaggi del corpo e cercare di ricondurli a ciascun rispettivo stato dell’Io-Sé, denotando un’espressione specifica e identificabile per ciascuno di esso. Ovvero, da quali informazioni in merito all’osservazione delle dinamiche corporee dovremmo dedurre lo stato esistenziale della persona soggetta al nostro interesse? Pur senza avanzare ipotesi associate a declinazioni di tipo diagnostico-clinico.

Partiamo dall’ego primario, ovvero il Bambino, contenitore archeopsichico dei vissuti e delle esperienze più pregnanti sotto il profilo emotivo.

Il corpo che si esprime mediante la modalità Bambino, dovrebbe manifestare una certa dose di esuberanza, turbolenza e reattività nel comportamento. Diverse espressioni di sé, destinate all’invio di messaggi comunicativi legati a bisogni percepiti di prioritaria importanza, dovrebbero associarsi ad una certa enfasi che ne denota la pretesa e l’urgenza dell’ascolto e dell’accoglimento. La dominanza egoica tipica del Bambino dovrebbe palesare comportamenti particolarmente avvalorati da componenti accentuati sia nel contenuto del messaggio che del processo che accompagna lo stesso. I movimenti, siano essi scomposti o aggraziati (nel caso in cui ad esempio si stia svolgendo un’attività corporea armonizzata), il corpo esprime in questa dimensione la sua tendenza ludiforme, facendo prevalere il tema dello svago e del piacere, della dimostrazione ad altri da sé, sia nella ricerca della prossimità del contatto, della relazione in genere ed ancora più basilarmente la tendenza ad ottenere l’attenzione e i riconoscimenti (carezze). Sono centrali in questa prospettiva l’attitudine al gioco, alla condivisione, allo scambio, al bisogno di intimità, al richiamo e al coinvolgimento dell’altro. Il corpo desidera mostrare se stesso ed esercitare eventualmente il suo potere attrattivo per declinarlo anche nella dimensione erotico-sessuale finalizzata a vivere le passioni e ad esaltare l’appagamento dei sensi. Il corpo, d’altra parte, di per sé è nudo, e questa nudità rimanda anche ad un simbolo di purezza originaria, quale solo il bambino può incarnare.

Naturalmente, tale aspetto generale può essere fatto ricadere negli aspetti funzionali specifici, allargando cioè la cornice dell’egogramma e fornendoci informazioni sulle modalità attraverso le quali lo stato dell’Io-Sé Bambino potrebbe manifestarsi.

Le variabili sopradescritte, infatti, possono assumere infatti altre tipologie di manifestazioni e di valenze. Per esempio, è sempre attraverso l’energizzazione dello stato dell’Io-Sé Bambino che un corpo può anche manifestare una carica violenta o aggressiva, con la precisa e intenzionale tendenza a ferire, colpire e sopraffare. IL corpo impegnato ad occupare spazio, ad impossessarsi di cose a scapito di altri, il corpo che si nutre con eccesso, che usa gli altri per catturare l’attenzione esclusiva in modalità puerile, gratuitamente contraria a regole sociali sia formalmente stabilite che non dichiarate, attraverso precisi schemi comportamentali che richiamano i capricci e le intemperanze infantili. Si esprime in questo caso anche l’incapacità dell’adattamento e della mediazione, cosicchè potremmo chiamare questa la posizione del “Bambino critico-ribelle”.

Altra funzionalità negativa dell’adattamento è quella passiva, in cui il corpo passa all’altro estremo dell’espressione enfatica e apertamente provocatoria in merito all’espressione di sé, scegliendo una forma espressiva connotata dall’irrigidimento e dall’immobilità. Un corpo che per esempio, nel rifiutare di essere coinvolto dentro una dinamica di gruppo o anche dentro una relazione a due, oppone resistenza mediante una ipertonia di fondo che lo protegge dall’essere manipolato a piacere altrui. Un corpo che in questo caso comunica la sua posizione rifiutante e di non accettazione del contatto, sottraendosi esattamente a quegli elementi che invece venivano proprio citati precedentemente. Questo indica come per entrare nel merito specifico della caratterizzazione stile Bambino, sia necessario addurre anche la corretta funzionalizzazione dello stato dell’Io-Sé ivi in oggetto. Questo infatti può assumere modalità funzionali appropriate oppure evincere forme di disadattamento ribelle e distruttivo.

Quali invece le forme e le rappresentazioni corporee relative allo stato dell’Io-Sé Adulto?

I corrispettivi del corpo in modalità Adulta dovrebbe manifestarsi mediante una serie di gesti e di atti finalizzati congruenti, lineari e pertinenti che fungono da risposte in seguito agli stimoli esterni e alle richieste ambientali che raggiungono e sollecitano il soggetto. In piena efficacia delle proprie funzioni, l’Adulto è in grado di stabilire e pianificare comportamenti rispondenti validi e di provata efficienza. Da una semplice camminata svolta con equilibrio e precisa direzionalità, ad un repertorio gestuale formale e ritualistico che aderisce ai canoni culturali ed a una condivisa ed accettata semiotica comune deputata a regolare i processi delle relazioni sociali mediante schemi e sequenze già note, quindi sicure e prevedibili (cenni di saluto, stretta di mano, inchino ecc.). Suddetta circostanza può anche includere l’espressione di una comunicazione globale che vede il corpo come veicolo che sostiene, guida ed accompagna in modalità congruente i contenuti verbali inviati dalle parole e dal corpus di regole sintattico a cui aderiscono. Fanno parte del repertorio comunicazionale Adulto tutti quei gesti regolativi impiegati per favorire la continuità e la gestione del flusso comunicativo circolare durante una relazione, soprattutto i gesti che descrivono connotazioni temporali (aspetta, dopo ecc.).

Il corpo associato allo stato dell’Io-Sé Genitore produce tutte quelle dinamiche osservabili che dovrebbero dunque includere comportamenti sia riferentesi all’area funzionale normativa che a quella affettiva. Compito dell’Io-Sé genitoriale è appunto promuovere azioni deputate a trasmettere ordini, consigli, indicazioni, raccomandazioni ed anche a proteggere e prendersi cura. A seconda della valenza con cui tale funzionalità viene espressa, è possibile osservare dominanze comportamentali in cui possono prevalere gesti che rimandano a stati di particolare rigidità tonico-emotiva, ad esempio la postura del predicatore col dito puntato, del salvatore che vuole offrire aiuto a tutti i costi anche quando non richiesto, del premuroso soffocante che chiude spazi di libertà. Anche la modalità paraverbale sarà accomodata su questi parametri e pertanto si potrà sentire una voce dal ritmo incalzante, oppure stentorea o condotta come una litania allo scopo di convincere e con la convinzione di proteggere.

Altre valenze, invece significative e idonee, possono essere assunte dal corpo genitoriale che guida e sostiene con modalità sicura e al tempo stesso concedendo libertà. Ad esempio, un conto è stimolare la camminata del bambino piccolo, serrandogli vigorosamente e senza sosta le mani e le braccia, forzandolo a non assumere l’iniziativa di far da sé, altra questione è invece lasciarlo libero e al tempo stesso sicuro perché magari cinto da braccia che contengono e arrestano la caduta in caso di passo falso. In modalità genitoriale si può offrire amore e supporto affettivo regolando le distanze per una giusta intimità, mettendo in equilibrio l’esigenza di sorreggere e di essere sorretti, con l’istanza di autonomia e di autodeterminazione.

Tali interessanti spunti e riflessioni sono possibili dal momento in cui si accoglie con favore la volontà di riconsegnare al corpo la sua preziosa funzione di collettore di stimoli ambientali e co-costruttore di significati ed eventi psichici, che egli incamera nelle sue memorie. Se gli eventi legate a queste sono di ordine traumatico, la biografia psico-corporea illustrerà i passaggi più salienti e pregnanti nella storia del soggetto, trasformandoli in tensioni, nodi, corazze e ogni genere possibile di risposta somatica.

Riprendere il dialogo con il corpo sofferente, dunque, viene ad assumere l’impegno di sciogliere ed abbattere tali rigidità, in modo da rendere libera e fluida l’energia vitale del soggetto, aiutandolo a prendere consapevolezza delle sue determinanti storiche e identitarie, riconoscendo bisogni latenti che il corpo può rendere accessibili e mettere in evidenza mediante le sue peculiari strategie comunicative, come entità biochimica e fisiologica che però interloquisce ed interpreta anche i motti dell’anima.

Da qualche tempo relativamente recente a questa parte, in AT ci si riferisce al corpo come il contenitore della coscienza non conscia, e pertanto sottolineando l’importanza di passare attraverso il corpo per riagganciare emozioni autentiche fino ad arrivare al nucleo essenziale e profondo dell’individuo, aiutandolo così a rimpossessarsi del suo atto co-creatore che tende all’indipendenza ed all’affermazione di sé, ovvero ad essere un soggetto autenticamente libero, liberato cioè da quelle congestioni di antiche ferite e da processi di impasse dovuti ad emozioni ancora non lette ed interpretate alla luce di una rinnovata visione di sé.

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