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“I Principali modelli di riferimento della Mediazione Familiare”

Inviato da Manuela Fogagnolo

mediazione familiare

Introduzione

            La mediazione familiare è un percorso per la riorganizzazione delle relazioni familiari, è un tracciato in cui la coppia “accompagnata” da un terzo neutrale, il Mediatore, nell’ambito della propria autonomia e autodeterminazione ristabilisce la comunicazione e riesce a trovare solidi accordi accettati da entrambi per riorganizzare la relazione familiare ed essere titolari entrambi della responsabilità genitoriale

 

            Aiuta a eliminare l’antagonismo presente tra i coniugi e a sostituirlo con soluzioni vantaggiose per entrambi i componenti della coppia, poiché stabilite dall’accordo delle due parti; queste, essendo decise insieme, nella riservatezza di uno studio, non vengono percepite come “subite” per decisione di un giudice in un’aula di tribunale; dunque, non essendo imposte dall’esterno, vengono rispettate con più facilità.    

            Di tale “viaggio” se ne sono occupati vari studiosi scandagliando i processi chiamati di “mediazione” utilizzando modelli di lavoro, quadri di riferimento teorico e tecniche molto differenti. Esistono modelli noti ed altri meno, approcci particolarmente importanti per la mediazione nei procedimenti che riguardano i bambini ed altri, che , contrariamente a quelle che vengono considerati i principi cardine della mediazione, tentano di fornire terapia; lo scopo di questo lavoro è quello di fornire una panoramica e qualche approfondimento sui diversi modelli di mediazione.

Mediazione e conflitto

      Prima di cominciare questo excursus, tra principali modelli di Mediazione familiare, è utile fornire alcune indicazioni e definizioni.

            Il punto di partenza della Mediazione è il conflitto che si manifesta come crisi con le seguenti caratteristiche:

            Il conflitto è una parte naturale ed essenziale della nostra vita; non è ne positivo ne negativo, è una forza naturale necessaria al cambiamento ma, spesso,  è accompagnato da forme di distruzione e violenza che incutono, giustamente, timore per il bagaglio di sofferenza e morte che possono scaturirne. Tanto gli animali quanto gli uomini hanno elaborato strategia di risposta e reazioni istintive all’aggressione, una di queste, per l’uomo, è la negoziazione e la mediazione che a volte, però, egli non è in grado di applicare autonomamente; ecco perché, una terza parte, equidistante, centrale e bilanciata può aiutare a gestire l’energia generata dal conflitto, riuscire ad incanalarla in modo costruttivo, per elaborare soluzioni, cambiare percezioni ed atteggiamenti imparare a lavorare in modo cooperativo.

            In questo lavoro parleremo quindi di conflitto o meglio, di come questo, con tecniche ed approcci diversi, può essere gestito.

            La mediazione familiare, infatti, al contrario di quanto si creda, non è mirata al ricongiungimento della coppia ma piuttosto alla gestione della sua conflittualità.

 

Origini e sviluppo della mediazione

            La mediazione, contrariamente a quanto siamo portati a credere, non è affatto recente,  ma ha, in numerose e diverse culture,  una lunga storia. E’ stata da sempre utilizzata con diverse metodologie per facilitare la comunicazione ed assistere i disputanti al raggiungimento di decisioni consensuali.

            Tanto in Africa, quanto presso le Tribù Cheyenne, gli antropologi descrivono tradizioni di riunire in consiglio o adunanza gli anziani per aiutare ad appianare controversie tra villaggi o tra famiglie, ruolo del Capo tribù era anche quello di svolgere la funzione di mediatore.

             Uno dei primi documenti ai quali possiamo far risalire la mediazione risale al quinto secolo a.C. in Cina dove, Cunfucio, esortava le persone a non rivolgersi al tribunale per risolvere le loro dispute ma ad usufruire della mediazione.

            Altra cultura, nella quale è profondamente radicata la propensione alla risoluzione pacifica dei conflitti, è la religione islamica dei musulmani ismailiti che, nei paesi da loro abitati, dal Kazakistan al Canada, hanno istituito Comitati di Conciliazione per favorire la risoluzione delle controversie grazie all’aiuto di professionisti esperti in mediazione. (Keshavjee, 2003)

            Esempi di mediazione nel Nord America si hanno agli albori della società industriale ad uso dei quaccheri che la utilizzavano come strumento principale per risolvere dispute di carattere matrimoniale nonché per problemi commerciali.

            In Inghilterra, alla fine dell’ottocento, per contribuire alla risoluzione di controversie di carattere industriale, vennero istituiti i Boards Of Conciliation, veri e propri Comitati di Conciliazione.

            Analogamente in America, agli inizi del ‘900 vennero istituiti, ad opera della comunità ebraica , che vanta una lunga e consolidata tradizione in fatto di mediazione, i Jewish Conciliation Board, comitati per la risoluzione consensuale delle controversie.

            La novità attuale, rispetto a questi vari esempi di mediazione informale, sta proprio nell’aver formalizzato, in vari campi, il ricorso alla mediazione passando dal mondo del lavoro, dalle controversie civili e commerciali, dal sistema giudiziario, alla mediazione comunitaria fino ad approdare alla famiglia.

            Un ruolo fondamentale dei mediatori lo si è potuto apprezzare, pur non avendo avuto come esito finale la Pace,  nel corso dei lunghi trattati in Medio Oriente nei negoziati del 1997.

            Altro esempio, risalente a luglio 2000, lo possiamo collocare in Sud Africa; in tale occasione, Nelson Mandela, uomo di indiscussa capacità mediativa, ex presidente del Sud Africa,   utilizzò con successo le sue capacità nella delicata controversia sulla questione Aids, coinvolgendo per un lavoro collaborativo scienziati e politici per lottare contro quel male devastante.

            In Finlandia l’ex presidente Martti Ahtisaari, ricevette nel 2008 il Premio Nobel per la Pace, per i sui successi nella risoluzione dei conflitti internazionali, con la seguente motivazione “ E’ uno dei mediatori di pace più lungimiranti. Il mondo ha bisogno di persone come lui. Vogliamo dar risalto ai mediatori di pace che hanno ottenuto risultati di successo perché questo nostro mondo ha bisogno di mediatori di pace”.

            Alcuni Paesi come ad esempio Cina e Giappone, utilizzano e considerano la mediazione  lo strumento normale e migliore per la composizione delle liti.

            In Cina la popolazione supera il miliardo di persone ed il numero di mediatori raggiunge quasi il milione; la mediazione è disponibile ovunque ed i mediatori dispongono di una notevole autorità venendo considerati veri sostenitori dei valori morali. Analoga situazione la ritroviamo in Giappone paese in cui i disputanti vengono esortati a rivolgersi ai mediatori per risolvere le loro divergenze in modo pacifico e responsabile.

            In Europa alla fine dello scorso secolo, dopo un attento studio del Comitato Europeo di esperti in diritto, in seno al Consiglio d’Europa, vennero adottate delle disposizioni nella Raccomandazione n.1 del 21 gennaio 1998.

            La rilevazione fatta dal Comitato aveva evidenziato come, ricerche svolte in Europa, Nord America , Australia e Nuova Zelanda portavano a suggerire che la mediazione familiare fosse, rispetto ad altri meccanismi legali, il più idoneo per la risoluzione delle questioni affettive legate a problematiche familiari con indubbio giovamento e riduzione del conflitto tra genitori e genitori e figli.

            A fronte di ciò la disposizione adottata dal Consiglio d’Europa volta ad incrementare l’uso della mediazione familiare ha fornito le seguenti raccomandazioni ai governi degli Stati membri :

  1. introdurre e promuovere la mediazione familiare o, dove necessario, rafforzare la mediazione familiare esistente;
  2. prendere e rinforzare le misure considerate necessarie in vista dell’attuazione dei principi per la promozione e l’utilizzo della mediazione familiare come mezzo appropriato per risolvere le liti familiari.

 

            In Italia la Mediazione Familiare è una realtà presente nell’ordinamento giuridico già a partire dalla seconda metà degli anni novanta. Tuttavia, l’interesse verso questo metodo alternativo di risoluzione dei conflitti familiari, inizia a crescere dall’entrata in vigore della legge n.54/2006 (Separazione genitori e affidamento condiviso dei figli).

            La Mediazione si afferma in un primo momento nell’ambito giudiziario minorile per effetto del D.P.R 448/1988 che, pur non facendo cenno al termine di “mediazione”, prevede che il giudice ha la facoltà di impartire al minore, sottoposto alla messa alla prova, “prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e promuovere la conciliazione del minore con la persona offesa”.

Tra gli altri interventi legislativi è possibile indicare la legge 5 Agosto 2001, n.154 contenente “Misure contro la violenza nelle relazioni familiari” che ha introdotto il titolo IX bis, libro I del codice civile ed il capo V bis , titolo II, libro IV del codice di procedura civile recanti la disciplina degli ordini di protezione contro gli abusi familiari. In particolare, significativo è l’art 342 ter c.civ che in merito al contenuto del provvedimento giudiziale, prevede che “il giudice può disporre, altresì, ove occorra l’intervento dei servizi sociali del territorio o di un Centro di Mediazione Familiare, nonché delle associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e l’accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati”.

            Il legislatore italiano, prendendo spunto dalla procedura partecipativa entrata in vigore in Francia e ispirata al diritto collaborativo nordamericano, ha introdotto, con la legge n. 162/2014, l’istituto della negoziazione assistita da uno o più avvocati per parte e incentivato il ricorso all’arbitrato forense, allo scopo di deflazionare il carico giudiziario, favorendo la risoluzione stragiudiziale delle controversie civili. La negoziazione assistita è facoltativa nel contenzioso familiare. Infatti la Legge n.162/2014 dispone che “la convenzione di negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte può essere conclusa tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale della separazione personale, scioglimento del matrimonio, di cessazione degli effetti civili del matrimonio e modifica delle condizioni di separazione e divorzio.” L’art 6 dispone altresì che “Nell’accordo si da’ atto che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti e le hanno informate della possibilità’ di esperire la Mediazione Familiare e che gli avvocati hanno informato le parti dell’importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori”

Mediazione familiare e legge 54/2006 ( art. 155 sexies c.c. ).

            La legge 8 febbraio 2006 n. 54, recante disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli, ha introdotto disposizioni normative di nuovo conio in seno alla disciplina concernente la separazione personale dei coniugi, tra cui l’art. 155-sexies c.c. che, al comma II, recita: “Qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti ed ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione, per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli”.

            Il giudice, in vista o in seguito alla separazione o al divorzio, infatti, può prospettare (o accettare, ove la proposta provenga dalle parti) il ricorso alla mediazione “qualora ne ravvisi l’opportunità”. Si tratta, pertanto, di una facoltà, attribuita al prudente apprezzamento del magistrato, il cui esercizio, ove non avvenga al di fuori di ogni logica e buon senso, non è sindacabile attraverso forme di gravame.

            L’attuale diritto positivo non prevede alcuna obbligatorietà, né necessaria propedeuticità della mediazione familiare rispetto al processo di separazione o divorzio, ma attribuisce al giudice una facoltà, da esercitare discrezionalmente, per la sua attuazione, subordinata all’esistenza del consenso delle parti.

            Nella procedura di mediazione, il giudice dialoga con gli esperti al fine di monitorare il corso dei lavori ed acquisisce, periodicamente, le relazioni dei mediatori. Le operazioni degli esperti sono riservate e poste in essere in completa autonomia nei limiti fisiologici della mediazione.

 

            La mediazione familiare mette in campo strumenti propri delle conoscenze giuridiche, psicologiche e sociali che ben calibrate da un professionista esperto conciliano la ragione e il sentimento. Il suo scopo è quello di condurre la coppia a valorizzare la sua condizione genitoriale gestendo proficuamente il conflitto presente nella dimensione coniugale.

            Il mediatore familiare, professionista con una preparazione specifica in un contesto strutturato, offre la  garanzia del segreto professionale e l’autonomia dall’ambito giudiziario, e, come terzo neutrale, può essere  sollecitato dalle parti ed adoperarsi  affinché i partner elaborino in prima persona un programma di separazione soddisfacente per sé e per i figli, in base al quale possano esercitare la comune responsabilità genitoriale.

            Ove pertanto le parti, dopo la sospensione ottenuta per lo svolgimento di una mediazione, dimostrino di aver raggiunto un accordo, il giudice può attivare la procedura per la separazione consensuale, considerando l’accordo raggiunto come verbale da omologare.

            Il riferimento alla mediazione familiare, di cui alla legge sull’affido condiviso, non è l’unico che il diritto positivo compia in favore di questo istituto. Esso è infatti menzionato anche dalla l. 5.4.2001, n. 154 (Misure contro la violenza nelle relazioni familiari)

            Tale legge ha introdotto nel codice civile l’art. 342 ter, il cui 2° comma, recita: «Il giudice può disporre, altresì, ove occorra l’intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare, nonché delle associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e l’accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati...».

I principi fondamentali della mediazione familiare sono i seguenti:

             Il mediatore familiare, gestisce con la coppia  un percorso per la riorganizzazione delle relazioni familiari. Il suo lavoro si basa sulla promozione del riconoscimento della capacità di ognuno di uscire dallo schema difensivo e/o aggressivo in cui si è ingabbiato per arrivare a comprendere i bisogni dell'altro e ad accoglierli in sintonia con i propri. E’ su tale potenzialità dell'essere umano che si basa il suo mandato per la gestione delle situazioni in cui le parti non riescono autonomamente ad attivare le loro naturali capacità di mediazione, proprio per il livello di escalation cui il conflitto è giunto.

           

Quando si dice Mediazione 

            L’attività che genericamente viene ricompresa sotto il nome di Mediazione familiare, derivante dal latino “medius, medium” e significa “nel mezzo”, tale termine, oltre ad essere utilizzato in molte lingue, con piccole variazioni di pronuncia,  ha in realtà molteplici differenti modelli di lavoro che si discostano l’un l’altro  in ragione del quadro teorico di riferimento e delle tecniche utilizzate.

            Qui di seguito parte dei principali modelli di riferimento della Mediazione Familiare, alcuni dei quali  approfondiremo in questo lavoro:

 

I Modelli

 

            Esistono diversi modelli di mediazione familiare che si differenziano in base ad alcune variabili come il paradigma teorico di riferimento, il ruolo del mediatore, il setting di lavoro, il rapporto tra gli attori coinvolti sulla scena, le iniziative da prendere in caso di impasse; i mediatori nei vari paesi utilizzano l’uno o l’altro modello a seconda della cultura del luogo anche se, l’ampliamento dell’Unione Europea e la mobilità delle persone tra Stati ha fatto si che alcuni di questi si integrassero e che ognuno utilizzi una commistione tra approcci.

            Ad ogni buon conto, senza entrare nei dettagli del grado di applicazione, di sviluppo e di promozione della mediazione raggiunto dai singoli paesi, qui di seguito vedremo quelli che fino ad ora sono i maggiormente studiati e utilizzati.

 

Mediazione diretta alla risoluzione o mediazione negoziale / mediazione strutturata

 

            La mediazione strutturata o finalizzata alla ricerca di un accordo venne messa a punto nel 1983 dalla Harvard Negotiation Project da Fisher e Ury, gli autori presero spunto dal lavoro sulle relazioni industriali del 1942 di Mary Parker Follett. L’autrice sosteneva che nella negoziazione era più utile giungere ad un guadagno reciproco “mutual gains” piuttosto che ad una “distributive bargaining “ – negoziazione distributiva.

            Precedentemente Coogler (1978) e Haynes (1981) applicarono la mediazione strutturata finalizzata alla ricerca di un accordo alle controversie in caso di divorzio.

             Il modello negoziale di Hynes si sviluppa nel contesto delle  trattive di lavoro e si basa su una definizione unificata della controversia che viene considerata dall’autore come “un evento sano e non patologico”; l’assunto di base del modello e che gli ex coniugi detengono la maggiore quantità di informazioni per poter superare il conflitto per cui si punta principalmente sulle loro risorse positive (Hynes e Buzzi, 1996).

            Secondo Hynes (1994),  per evitare il sorgere di giochi relazionali,  è fondamentale lavorare su un “area comune” concentrando la problematica su un ambito operativo ridotto in quanto, l’accordo su un aspetto poco rilevante,  permette alle parti di avvicinarsi ed essere consapevoli della possibilità di poter arrivare ad un accordo, il cosiddetto “accordo minimale” da cui partire per poter arrivare ad un accordo globale.   Il modello di mediazione negoziale si concentra sul futuro, su aspetti pratici legati alla separazione, divorzio, affidamento e mantenimento dei figli, questioni economiche, piuttosto che sul passato interpersonale; non sussiste la possibilità di incontri individuali e i figli possono partecipare alle sedute in alcuni casi, se ritenuto opportuno dal mediatore; la mediazione negoziale viene considerata una mediazione globale che si conclude con la stesura di un accordo scritto.

            John Haynes, esperto negoziatore del mondo socio-assistenziale e del lavoro utilizzò nelle situazioni di conflitto familiare molte delle pratiche usate nella gestione dei conflitti nelle organizzazioni d’impresa, come ad esempio il brainstorming, il problem-solving e le tecniche della negoziazione ragionata.

            L’obiettivo di questo modello è il raggiungimento del miglior risultato possibile, utilizzando tali tecniche.

            Caratteristica della mediazione, secondo questo tipo di scuola, è quella di focalizzare l’attenzione principalmente sugli interessi e non sulle prese di posizione; una posizione riguarda l’esito preferito e solitamente comporta altri elementi quali la negazione del fatto, l’accusa o i diritti dell’uno e dell’altro, un interesse invece è un obiettivo fondamentale da soddisfare, è una necessità.
            Nella mediazione negoziale la coppia viene prima di tutto invitata ad esporre le  proprie rispettive posizioni, in modo tale che il mediatore possa individuare e comprendere gli interessi che stanno alla base di tali posizioni, determinando così, anche se in un contesto di conflitto, un’area comune su cui lavorare. Il metodo si propone dunque di delimitare la crisi della relazione in un ambito operativo ridotto, riguardante appunto gli interessi ed i bisogni comuni, impegnando le parti in un approccio di problem solving che le metta in grado di collaborare per un accordo, anziché sprecare tempo ed energie in una lotta distruttiva, che spesso parte dal timore di poter perdere la posizione di controllo e di dominio. Il mediatore collabora alla ricerca di soluzioni integrate che soddisfino il maggior numero di bisogni comuni.

            La premessa per cominciare un percorso verso un cambiamento più globale è quello di definire un accordo minimale su cui lavorare. 

            In questo modello di mediazione, infine, non vengono utilizzati i colloqui individuali, se non in casi estremi, quali ad esempio il sospetto abuso di alcool o di stupefacenti, di probabile violenza nei confronti del coniuge o dei figli, di altissima conflittualità. Nelle situazioni citate i colloqui individuali devono essere, comunque, brevi ed autorizzati da entrambe le parti. Nel corso del processo di negoziazione, se il mediatore lo ritiene opportuno, egli stesso o le parti possono richiedere la consulenza di un avvocato, un commercialista o di un agente immobiliare.

            Elementi predittivi dell’efficacia della mediazione riguardano la motivazione al raggiungimento di un accordo, la capacità di pensare razionalmente, essere ragionevolmente chiari con riferimento alle questioni che si vogliono risolvere, essere assertivi - cioè capaci di spiegare ed affermare le proprie posizioni, avere capacità negoziali e saper riconoscere un risultato accettabile  ed equo.

            Uno degli aspetti negativi di questo modello che, come abbiamo visto, origina da mediazioni di carattere civile e commerciale, riguarda la scarsa attenzione che viene data al riconoscimento dei sentimenti; in ogni separazione le emozioni in gioco sono sicuramente molto intense e non riconoscerle, o non dedicare loro sufficiente tempo, può portare ad un accordo che non migliora la comunicazione tra le parti e non tiene sufficientemente conto dei bisogni dei figli.

Modello strutturato: il pioniere fu O.J. Coogler, che delineò un modello improntato all’approccio sistemico che si occupa di aspetti di natura educativa e patrimoniale; può essere definito come un “processo globale” dove il mediatore detiene una posizione di neutralità ma con funzione direttiva, con l’obiettivo di controllare la simmetria tra le parti, di imporre il rispetto reciproco, ponendosi come obiettivo un lavoro comune e cooperativo ( Killman e Thomas, 1977); in questo modello di mediazione sono vietati i colloqui singoli e la consultazione ; il modello strutturato si basa sullo “schema di risoluzione del problema”che è caratterizzato da una serie di fasi specifiche: · definizione del problema;

· raccolta delle informazioni e delle preoccupazioni sulla situazione globale; · redazione di un accordo temporaneo che vada a identificare le difficoltà a breve termine e quelle a lungo termine;

·scelta dell’alternativa più idonea alla soluzione del problema, stabilendo la modalità di attuazione della stessa;

·stesura di un documento d’accordo la cui sintonia con la legge può essere verificata dall’apporto professionale di un legale.

Per concludere, l’obiettivo di questo modello si dirige verso l’autodeterminazione delle parti e la risoluzione dei problemi .

 

Mediazione Trasformativa

            Il modello trasformativo, messo a punto da Bush e Folger (1994), definisce la mediazione come “un processo nel quale una terza persona aiuta le parti a ridefinire la qualità delle loro dinamiche relazionali trasformando il conflitto da negativo e distruttivo in positivo e costruttivo attraverso l’osservazione e la discussione delle problematiche e delle possibili soluzioni” (Bush & Pope, capitolo 3 di Manuale di Mediazione familiare; JayFolberg, Ann l.Milne, Peter Salem, Editore Firera & Liuzzo Publishing 2008). In questo approccio il mediatore segue  le parti senza indicare una direzione ed i partecipanti sono incoraggiati a condurre sviluppando il dialogo e l’ascolto; l’obiettivo è quello di vedere attraverso il dialogo e la comprensione

            “Il cuore dell’approccio trasformativo alla mediazione è la crescita morale dell’uomo in due specifiche dimensioni : la forza del singolo e la relazione con l’altro” (Bush e Folger, 1994).

            La prima premessa di tale approccio è che la mediazione ha la potenzialità di generare trasformazioni benefiche non solo per la coppia ma anche per la società.

            La seconda riguarda la disposizione d’animo del mediatore e il suo metodo d’intervento che contribuiscono a realizzare gli obiettivi connaturati alla mediazione : Empowerment e Riconoscimento.

            L’Empowerment incoraggia l’autonomia e l’autodeterminazione del singolo spingendolo verso una visione più chiara della propria situazione ed aiutandolo a prendere decisioni in merito.

            Il Riconoscimento coinvolge le persone nel riconoscere i sentimenti ed i punti di vista dell’altro divenendo più sensibile ai bisogni altrui.

            Queste due caratteristiche fanno si che i partecipanti maturino maggior comprensione reciproca stimolando l’empatia.

            La mediazione trasformativa non è strumentale, volta cioè al raggiungimento di un accordo, ma è un procedimento che, con l’ausilio del mediatore, consente alle parti di confrontare i rispettivi punti di vista attraverso l’ascolto, permettendo loro di esprimere il disagio e il rancore conseguenti all’evento dannoso e di elaborare il conflitto stesso, senza alcuna tensione all’accordo che potrà essere definito in un altro momento: si può parlare di “un processo dal quale devono nascere o rinascere relazioni nuove, che devono servire a risanare le vecchie relazioni conflittuali”: cfr. M.R. Fascia, La mediazione e la responsabilità medica, in I contratti, IV, Ipsoa, Milano, 2011.

            La mediazione trasformativa si pone l’obiettivo di favorire una riorganizzazione pacifica del rapporto tra le parti e si concentra sull’interazione e sulla comunicazione tra le parti che possono condurre a una “crescita morale” (Curie, 2001). La conciliazione dei conflitti è un risultato gradito ma di importanza secondaria. Il focus sulle relazioni implica che il mediatore incontri le parti in sedute congiunte.

            Bush e Pope sostengono che il conflitto possa generare sentimenti di vulnerabilità e di egocentrismo; dal momento che tale stato di debolezza di una parte tende a rafforzare l’altra, la conflittualità inevitabilmente potrebbe acuirsi. Per evitare questo il mediatore ha il compito di trasformare la debolezza in forza e l’egocentrismo in capacità di identificazione. L’impatto cumulativo di questi cambiamenti va a modificare l’interazione tra le parti.

            A differenza di altri tipi di intervento, il mediatore trasformativo non gestisce il processo ma accompagna e sostiene le parti facendo ricorso all’abilità di riflessione, di sintesi e di verifica. Interventi direttivi – fissare un programma, normalizzare, far notare le ragioni comuni, cercare l’origine delle questioni o far concentrare le parti su un argomento di discussione – sono da evitare. I sostenitori della mediazione trasformativa credono che questo approccio offra alle parti l’opportunità di arrestare la spirale negativa del conflitto e di tendere verso dinamiche relazionali positive. Questo ribaltamento rappresenta l’opportunità più importante che la mediazione possa offrire alle famiglie in conflitto.

            Gli autori tracciano dieci punti essenziali della mediazione trasformativa:

  1. Il fine principale del processo ed il ruolo del mediatore sono l’impegno per l’Empowerment e il Riconoscimento reciproco;
  2. Rinuncia del mediatore della responsabilità dell’esito del processo in quanto libera scelta delle parti;
  3. Atteggiamento non giudicante relativamente a punti di vista e decisioni considerando che le parti sanno ciò che è meglio per loro;
  4. Visione ottimistica delle competenze e delle motivazioni delle parti; infatti il mediatore non addossa etichette ma con visione positiva crede alla buona fede e vede le parti, anche nei momenti peggiori, solamente come persone indebolite sulla difensiva ed assorbite dai loro problemi;
  5. Libertà nell’espressione delle proprie emozioni dando spazio ed incoraggiando a descriverle e dar sfogo ai sentimenti, ciò incoraggia e promuove la comprensione dell’altro e stimola prospettive comuni;
  6. Porre costantemente domande ed accogliere l’incertezza; non cadere nella trappola di presumere di capire la situazione fin da subito bloccando la fase della fluidità ed ambivalenza ma piuttosto mantenere un sano senso di incertezza per porre domande e non trarre conclusioni;
  7. Invece di tentare di risolvere problemi il mediatore si concentra sul qui ed ora dell’interazione conflittuale; lo scopo è quello di cogliere all’interno di affermazioni specifiche le mancanze di chiarezza, i sentimenti di incomprensione ed i fraintendimenti allo scopo di rallentare la discussione e dedicarsi al chiarimento , alla comunicazione ed al riconoscimento dell’altro;
  8. Contrariamente alla gran parte delle mediazioni Folger e Bush si concentrano anche sul passato nella convinzione che rivedere il passato può rivelare il perché di scelte fatte, opzioni di scelta e momenti di svolta , ciò può aiutare a rivalutare il presente con nuovi occhi;
  9. Vedere l’intervento come un punto di una sequenza più ampia di un’interazione conflittuale. La consapevolezza del fatto che il conflitto procede per cicli, determinati dalla lotta tra dubbi ed incertezze, aiuta a non scoraggiarsi nella progressione anche quando sembra ci si stia allontanando dall’accordo ma  si considera ciò parte del flusso e riflusso naturale del processo di mediazione;
  10.  “I piccoli passi sono quelli che contano”. Valorizzare e godere anche delle piccole conquiste della mediazione; quando si produce empowerment e  riconoscimento anche in misura miniam è utile aiutare a percepire il senso di successo che ne deriva, permettere di godere di tali soddisfazioni, anche se piccole, alimenta l’energia e la motivazione.

            Gli oppositori della mediazione trasformativa si dividono in coloro che affermano che non si tratta di mediazione ma di una forma di terapia e coloro che dubitano del fatto che le parti ricerchino un cambiamento. Inoltre, questo modello di mediazione non si presta ad affrontare controversie legate a forme di maltrattamento o di sbilanciamento di potere.

Mediazione Facilitativa

            L’elemento centrale di questo modello è l’importanza data alla responsabilità decisionale dei soggetti coinvolti ed il  potere che si attribuisce alle parti.

            Il processo di mediazione consiste nell’isolare in modo sistematico i punti di convergenza e quelli di divergenza, nell’individuare gli interessi, nell’elaborare tutte le soluzioni possibili e nel valutare gli accordi.

            Il ruolo del mediatore è quello  di  facilitatore  della comunicazione, sostegno,  terza persona neutrale, di guida verso una chiara definizione dei problemi e di intermediazione tra le parti nella fase della negoziazione (Folberg, 1983; Milne, 1982).

            Gli incontri di mediazione si svolgono con  le parti in sedute congiunte per  aprire uno  spazio comunicativo all’interno della coppia e sollecitare il processo di ricerca di soluzioni. Il mediatore non dà consigli alle parti né fa previsioni sull’esito di una eventuale azione giudiziaria (Zumata, 2000).

            Contrariamente al modello trasformativo, in questo caso il mediatore è responsabile del processo e le parti sono responsabili dei risultati.

            Mayer  (capitolo 2 Manuale di Mediazione familiare, JayFolberg, Ann l.Milne, Peter Salem Editore Firera & Liuzzo Publishing 2008) fa notare che tutti i mediatori si servono di alcune tecniche e individua quattro caratteristiche chiave della mediazione facilitativa:

1. La mediazione facilitativa è un processo orientato ma non focalizzato sul risultato. I mediatori gestiscono il processo di mediazione e assistono le parti in conflitto nelle loro discussioni;

2. La mediazione facilitativa è centrata sul cliente. Il mediatore ha il compito di agevolare il dialogo tra i clienti e di aiutarli a cercare soluzioni efficaci per i loro problemi;

3. La mediazione facilitativa focalizza l ’attenzione sulla comunicazione. La mediazione facilita, o limita in alcuni casi, la comunicazione tra le parti;

4. La mediazione facilitativa si fonda sull’interesse. Il mediatore aiuta i due coniugi a individuare gli interessi e le preoccupazioni soggettive e li invita a collaborare in funzione della risoluzione dei problemi relativi agli ambiti indagati.

            Lo scopo principale del modello facilitativo è la comunicazione, ovvero riattivare la comunicazione ed il dialogo tra le parti promuovendo il confronto e la ricerca dei comuni interessi e bisogni.

            Non è compito dei mediatore suggerire gli esiti del processo o proporre accordi, egli è fondamentalmente centrato sul processo comunicativo e sul fluire della mediazione; dal canto loro i partecipanti svolgono un ruolo attivo con precisi compiti, impegni e responsabilità per l’elaborazione della soluzione finale con la possibilità di essere coaudiuvati dagli avvocati in presenza alle sedute.

            Il principio sul quale si basa la mediazione facilitativa è quello dell’autodeterminazione in quanto si ritiene essere le parti ad essere le persone più adatte a conoscere ciò che è meglio per loro.

            Coloro che si oppongono a questo modello affermano che l’incapacità del mediatore di mettere a disposizione una competenza sostanziale potrebbe prolungare il processo di mediazione e provocare spese extra nel caso in cui le parti dovessero essere obbligate a consultare altri esperti. Inoltre affermano che gli accordi potrebbero non rispecchiare gli standard di correttezza (Zumata, 2000).

 

Mediazione Valutativa

            Il principale obiettivo da raggiungere per il modello valutativo è l’accordo e sancisce il successo del processo.

Contrariamente al modello facilitativo i mediatori valutativi mettono a disposizione delle parti in conflitto il proprio bagaglio di conoscenze e competenze.

La mediazione valutativa si presenta come una conversazione finalizzata a raggiungere un accordo .

            Compito del mediatore valutativo è quello di aiutare le parti a far chiarezza sulle rispettive posizioni considerando ciò che sarebbe potuto accadere se non si fossero prese determinate decisioni. Questo “reality test” può rivelarsi di grande aiuto per alcuni clienti nel caso in cui le questioni siano soprattutto di natura legale.

            Salvare la faccia, spesso, rappresenta per il cliente un punto importante nel processo di mediazione valutativa. Ascoltare le parti in sedute separate, in caucus, e fare la spola tra una parte e l’altra sono caratteristiche peculiari del modello valutativo. Secondo Lowry (capitolo 4 Manuale di Mediazione familiare, JayFolberg, Ann l.Milne, Peter Salem Editore Firera & Liuzzo Publishing 2008) il mediatore esprime una valutazione, “si forma un’opinione sulla controversia che ha davanti agli occhi e dichiara alle parti il suo giudizio”. Alcuni mediatori propongono soluzioni esplicite, altri le formulano attraverso domande, per esempio: “Credete davvero che sia una buona soluzione per il bambino spostarsi da una casa all’altra un giorno sì e un giorno no?”.

            Lowry sostiene che il processo valutativo sia il modo più efficace e valido per aiutare le parti ad arrivare a un accordo, offra l’opportunità di integrare competenze sostanziali richieste, possa rafforzare la parte più debole e permettere alle parti di salvaguardarsi nella fase del raggiungimento dell’accordo.

            Questo modello di mediazione, in America,  è stato fortemente criticato soprattutto a causa del favore che gode da parte di avvocati e di giudici in pensione che, a detta dei detrattori,  preferiscono svolgere un ruolo importante nella presa di decisioni piuttosto che lasciare maggiore potere ai clienti, hi critica teme inoltre che possano essere violate l’obiettività e la neutralità del mediatore.

            Interessante notare come, negli Stati Uniti, i Modelli standard della pratica di mediazione familiare e del divorzio (Model Standards of Practice for Family and Divorce Mediation, Schepard, 2000) mettono in guardia il mediatore dal fornire opinioni e consigli (vedi Schepard, capitolo 22 Manuale di Mediazione familiare, JayFolberg, Ann l.Milne, Peter Salem Editore Firera & Liuzzo Publishing 2008). Le Regole di condotta del mediatore (Rules of Conduct for Mediators) dello stato della Florida dichiarano che il mediatore è tenuto a dare informazioni e suggerimenti alle coppie a patto che non venga compromessa la sua imparzialità o l’autodeterminazione delle parti (Zumata, 2000). Per contrasto, la legge dello stato del Wisconsin autorizza le parti contrapposte a tentare di mediare il proprio conflitto e obbliga il mediatore ad assicurarsi che l’accordo raggiunto tuteli il supremo interesse dei minori.

                Alla luce di quanto esposto possiamo affermare che, mediazione facilitativa e valutativa si distinguono per il differente grado di coinvolgimento del mediatore nella gestione del conflitto e nell’individuazione delle soluzioni.

Mediazione Familiare Terapeutica / Mediazione Terapeutica

 

            Il modello, progettato da Irving e Benjamin, si basa sulla premessa che sia opportuno, prima di avviare un processo di mediazione, intervenire direttamente sui soggetti in causa.

            La mediazione, che non è in ogni caso di psicoterapia, in quelle coppie che non sono capaci o non ancora pronte a lavorare insieme nella mediazione, prende l’avvio con una particolare fase di pre-mediazione, ovvero una fase preliminare che è finalizzata a migliorare le relazioni, così da facilitare l’analisi dei problemi oggetto delle controversie.

            L’obiettivo è quello di provare, attraverso un aiuto preparatorio in incontri separati, di rendere le parti capaci ad accettare ed utilizzare la mediazione, invece di rifiutarla giudicandola inopportuna al processo mediativo.

            Il lavoro di mediazione, a differenza di altri modelli,  dedica grande spazio alle emozioni legate alla separazione coniugale, considerando indispensabile il lavoro sui sentimenti. Si cerca, più precisamente, di rivedere il passato appesantito da rivendicazioni e recriminazioni reciproche, individuando le risorse presenti fin dall’epoca del matrimonio ed utilizzando il passato stesso per evidenziare la continuità del legame genitoriale. È importante precisare che, nonostante l’apertura agli aspetti affettivo-emotivi, la mediazione terapeutica è chiaramente distinta dalla psicoterapia, in quanto non vi è un’indagine nel profondo della storia personale o delle dinamiche intrapsichiche, ma l’intervento rimane centrato su specifici obiettivi, nell’ottica continua

di favorire la riconciliazione della coppia.

            Gli autori ritengono che, solo dopo aver eliminato i sentimenti di ostilità, rabbia, di rivendicazione e vendetta che ostacolano ogni possibile e duratura condizione di equilibrio, sia possibile di giungere ad un dialogo.

            La mediazione terapeutica di Irving e Benjamin, che come metodologia utilizza la lettura clinica della relazione all’interno della coppia genitoriale, si compone quattro fasi.

            Dopo circa due mesi dalla conclusione del processo, è infine previsto il Follow-up, che consiste in una verifica di routine con l’obiettivo di controllare i progressi della coppia, di valutare la tenuta dell’accordo raggiunto in mediazione, di appurare se l’accordo realizzato ha i presupposti per poter essere mantenuto, di evidenziare i progressi e le problematiche e di valutare l’ipotesi di fattibilità sul lungo periodo e le possibilità di ridiscussione.

            Esistono degli elementi chiave del processo di mediazione particolarmente interessanti per orientare l’attività del mediatore e consentirgli di avere il polso della situazione e del progresso nei cambiamenti oltre che per meglio capire le dinamiche relazionali:

- il focus sui sentimenti disgreganti che bloccano eventuali e possibili cambiamenti e possono essere di impedimento anche rispetto la mediazione;

- l’individuazione dei modelli d’interazione relazionale;

- gli stili di comunicazione;

- gli schemi insiti nei diversi codici familiari che caratterizzano le famiglie (coppie, figli, parenti);

- l’eliminazione di fattori influenti da parte di terze parti sulle dinamiche relazionali della coppia.

            Il mediatore ha come obiettivo quello di neutralizzare o modificare i modelli disfunzionali che sono di ostacolo alla comunicazione tra le parti  al fine di aiutare i soggetti a ristrutturare le proprie competenze relazionali e comunicative e successivamente, con l’integrazione e l’intervento di altre professionalità come quelle dell’avvocato, arrivare ad un accordo.

            Trattandosi di terapia, per utilizzare questo modello viene richiesto al mediatore una formazione specifica attinente alle professioni psicologiche, così da poter essere in  grado di agire e modificare le disfunzioni relazionali delle coppie. Il mediatore svolge un ruolo attivo ed incisivo sulla coppia,  sugli stili di comunicazione, gli stati emotivi e comportamentali dei soggetti e verifica e controlla i progressi.

           

            In Italia chi utilizza tale approccio non sempre concorda sulle modalità di presenza dei figli in ambito terapeutico; c’è chi prevede la possibilità d’incontri con i figli piccoli verso la fine del processo o nella fase centrale della mediazione se sono adolescenti, e chi si oppone fermamente alla loro presenza nell’arco di tutta la mediazione.

 

Mediazione Narrativa

 

 

            Il modello narrativo parte dall’idea di un’influenza reciproca che si manifesta in mediazione tra i partecipanti; mediatore e disputanti, attraverso il dialogo, si suggestionano e condizionano vicendevolmente (Burrell, Donohue e Allen 1990; Cobb e Rifkin, 1991).

            L’idea di framing elaborata da Bateson (1972) è uno dei concetti centrali della mediazione narrativa; ilframe o cornice è un mezzo psicologico per delineare i messaggi, così come le cornici  dei quadri  consentono di contenere le immagini che devono essere viste ed escludono i soggetti esterni, allo stesso modo le cornici includono alcuni messaggi escludendone altri . Pur se il termine cornice evoca qualcosa di statico gli autori l’hanno utilizzata nella comunicazione, di per sé dinamica, utilizzando ampiamente il termine reframing volto ad indicare un processo interattivo, uno scambio di messaggi.

            Bodtker e Jameson, (1997) analizzando la continua e congiunta co-costruzione di cornici e forme da parte dei partecipanti, che formulano e riformulano gli uni nei confronti degli altri, hanno introdotto la metafora del caleidoscopio per descrivere la complessità dell’interazione fra le forme.

            Ogni partecipante introduce al processo un disco che si incastra al fondo del suo caleidoscopio ed il mediatore deve poter scegliere e comprendere il rapporto che si stabilisce tra questi (almeno tre – mediatore e due partecipanti) durante il processo di influenza reciproca.

            Altri autori sostengono che, all’interno di una seduta narrativa, la sequenza delle forme offerte è importante; infatti la parte che narra per prima la sua storia riporta un vantaggio in quanto la storia successiva necessariamente non sarà più una storia a se stante ma una reazione o addirittura una sfida all’altro. Essa diventa una trama secondaria a meno che non venga intrecciata alla prima storia. Risulta quindi evidente la delicatezza e il potere del mediatore nell’invitare le parti a parlare o nel decidere di lasciar loro la scelta.

            Haynes (1993) descrive la mediazione come quel processo che apre le storie delle coppie a nuove interpretazioni mentre Cobb (1994) sostiene che le caratteristiche della narrazione – coerenza, - chiusura e – interdipendenza narrativa, spingono nella direzione opposta ai modelli tradizionali di mediazione aprendo il campo ad inquadrare la narrazione nella dimensione della metafora “capire l’influsso reciproco della formulazione e riformulazione che tutti i partecipanti mettono in atto nel processo , ci fornisce una nuova struttura analitica per comprendere gli interventi”. (Parkinson , La mediazione familiare)

 

Mediazione Familiare Sistemica e Mediazione Ecosistemica

 

"un fenomeno resta inspiegabile finché il campo di osservazione non è abbastanza ampio da includere il contesto in cui il fenomeno si verifica”

 

                La Mediazione Familiare Sistemica prende spunto dalla teoria generale dei sistemi di Bertalanffy e dal Contestualismo, per il quale, per poter arrivare ad una sicura ed efficace risoluzione dei conflitti, soprattutto nell’ambito familiare bisogna poter comprendere prima di tutto il contesto in cui è nata e si è svolta la situazione di ostilità.            La teoria generale dei sistemi cerca di spiegare scientificamente il conflitto familiare affermando che esso non può ridursi alla separazione atomistica dei suoi elementi per essere risolto, ma deve essere affrontato attraverso il principio unificatore dell’organizzazione. La famiglia deve essere studiata come sistema, inteso come un complesso costituito da elementi in interazione tra di loro. Ad influenzare tale modello è la visione di Gregory Bateson, che ha dato vita all'idea che senza contesto non è possibile comprendere il comportamento umano.

            L’approccio sistemico relazionale valorizza "la relazione nella misura in cui l'individuo viene colto entro la struttura dei rapporti che ha con altri individui nei vari contesti di appartenenza".

            La famiglia viene intesa come un sistema aperto, inserita in un contesto, organizzata in sottosistemi in relazione tra loro e con altri sistemi.

            In quanto sistema, la famiglia ha le proprietà attribuite ai sistemi stessi:

  1. Totalità, per cui "ogni parte di un sistema è in rapporto tale con le parti che lo costituiscono che qualunque cambiamento in una parte causa un cambiamento in tutte le parti e in tutto il sistema";
  2. Non-sommatività delle parti, secondo la quale un sistema non può coincidere con la somma delle sue parti, quindi per conoscere il sistema è necessario trascurare le parti per fare attenzione all'organizzazione;
  3. Principio delle relazioni circolari tra gli elementi del sistema: se il comportamento di A influenza il comportamento di B, questo non può far altro che influenzare a sua volta la reazione di A. (questo principio smentisce la teoria dellainterazione unilaterale tra elementi)
  4. Retroazione: "circolarità e retroazione sono il modello causale appropriato per la teoria dei sistemi interattivi". Il comportamento di ogni elemento del sistema influenza ed è influenzato dal comportamento di ogni altro elemento;
  5. Equifinalità: "in un sistema circolare e autoregolantesi, i risultati non sono determinati tanto dalle condizioni iniziali quanto dalla natura del processo o dai parametri del sistema. ... Gli stessi risultati possono avere origini diverse perché ciò che è determinante è la natura dell'organizzazione; Se il comportamento equifinale dei sistemi aperti è basato sulla loro indipendenza dalle condizioni iniziali, allora non soltanto condizioni iniziali diverse possono produrre lo stesso risultato finale, ma risultati diversi possono essere stati prodotti dalle stesse cause

            Il processo di mediazione familiare in un'ottica sistemica considera  il contesto in cui il conflitto si verifica, più che il suo contenuto; ciò implica un allargamento dell'attenzione a tutto il sistema familiare e non solo alla diade marito-moglie, ma anche ai figli (se presenti) e alle generazioni parentali;

            Il conflitto viene considerato in un ottica trigenerazionale, nelle relazioni orizzontali e verticali tra i membri del sistema per capire le relazioni, le dinamiche del conflitto e approntare strategie d’intervento lo strumento fondamentale e il genogramma oltre che l’analisi del ciclo di vita della famiglia.

            Il modello sistemico, considerando l’intero sistema familiare, suggerisce una lettura articolata della dinamica relazionale che ruota intorno al conflitto e sceglie un approccio interdisciplinare richiedendo il dialogo e la sinergia operativa tra figure professionali di ambito diverso, psicologico, giuridico e sociale.

            Il principale punto di riferimento teorico della mediazione ecosistemica è la teoria dei sistemi in grado di offrire un mezzo per concettualizzare e capire l’esperienza dei singoli e gli eventi della loro vita nel contesto dei processi sociali e familiari.

            Nella nostra carrellata di modelli di mediazione, da quanto abbiamo fin qui potuto apprezzare,  riguardo agli approcci di mediazione strutturata, narrativa, trasformativa…, il focus è sempre centrato sul punto di vista degli adulti anche in tutti i casi in cui si discuta del figli. Nella maggioranza delle teorie essi  sono considerati oggetti di competizione, oggetti di cui prendersi cura ma mai soggetti attivi aventi diritti con capacità decisionali, quasi mai ascoltati  e consultati.

            L’approccio ecosistemico, anche in ciò,  è differente : incoraggia i genitori a

prendere in considerazione tutti i punti di vista , compresi quelli dei figli, sollecita la gestione del cambiamento tenendo ben presente desideri, bisogni dei figli e incoraggi il mantenimento del rapporto genitori – figli tanto dal punto di vista educativo quanto di sostegno.

            Uno degli strumenti utilizzati in mediazione è l’ecogramma cioè una versione modificata del genogramma , strumento utilizzato principalmente in terapia familiare.

            Parkinson e Bérubé (2002) utilizzano il termine ecogramma quale strumento per tracciare l’ecologia della famiglia in fase di transizione, strumento che aiuta a “Fotografare” la  famiglia o in Landscape (particolarmente allargata) o Portrait orientata in verticale. Nell’ecogramma vengono inseire informazioni sul lavoro, reddito priorità e questioni personali di ogni genitore, è uno strumento per pensare alla famiglia nella sua struttura e funzionamento.

            I principi che regolano la mediazione ecosistemica  sono:

  1. Guardare alla famiglia da un punto di vista listico incoraggiando e facilitando la comunicazione;
  2. Gestire il cambiamento e concordare delle decsioni;
  3. Considerare la famiglia “famiglia” anche dopo una separazione e aver cura dei bisogni dei suoi membri facilitando la comunicazione e  l’ascolto reciproco;
  4. Aiutare a giungere non solo ad accordi di carattere pratico ma valorizzare e apprezzare l’aiuto reciproco che i membri possono, in ogni caso, continuare a garantirsi;
  5. I mediatori devono essere professionisti con una mente orientata alla interdisciplinarietà. L’approccio multidisciplinare è essenziale e pertanto essi devono conoscere e comprendere i diversi contesti intercorrelati : culturale, sociale e legale;
  6. E’ sempre garantita la riservatezza e pur se la mediazione è collegata alla giustizia familiare essa aiuta i partecipanti a raggiungere accordi concordati in prima persona.
  7. Considera i figli portatori di diritti tra i quali quello di conservare le relazioni familiari, educative ed il sostegno;
  8. Include nella mediazione, a fronte di una formazione specifica e con il consenso dei genitori, i figli che devono essere partecipi ed informati sul cambiamento della loro vita.

            Se dovessimo definire la mediazione ecosistemica potremmo dire che si tratta di un sistema di processo decisionale partecipativo all’interno del quale i genitori / i membri della famiglia cercano di raggiungere accordi su questioni che hanno conseguenze ed implicazioni psicologiche, sociali, economiche e legali.

            La sua peculiarità sta nel comprendere e gestire il conflitto cercando un accordo mediante la fusione di conoscenze interdisciplinari.

 

Mediazione Interculturale/ Transfrontaliera

            Il Parlamento Europeo e il Consiglio dell’unione Europea, nel 2008, hanno emanato una direttiva,  la 2008/52/EC/del 21 maggio 2008, relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale invitando gli Stati Membri ad applicare tale Direttiva non soltanto nei casi previsti e disciplinati di controversie trasfrontaliere ma anche ai procedimenti di mediazione interna. Tale atto si colloca tra gli sforzi dei vari paesi di armonizzare i sistemi legali europei per rendere più agevoli quelle controversie che insorte tra cittadini di Stati diversi con giurisdizioni e principi legali diversi.

            Gia nel 1998 Il Consiglio d’Europa sulla Mediazione Familiare emanò un Raccomandazione che evidenziava come sempre più spesso le controversie sui figli coinvolgevano elementi di diritto transfrontaliero ed in seguito le Convenzioni dell’Aia , in particolare quella del 2006 chiede al Permanent Bureau di allestire uno studio di fattibilità sulla mediazione transfrontaliera in materia familiare.

            La definizione di mediazione transfrontaliera che scaturì da questo studio di fattibilità era pressappoco questo _ mediazione in controversie familiari , riguardanti assegni di mantenimento, beni di famiglia o questioni di potestà genitoriale, in casi in cui le parti hanno la loro residenza normale, o stanno per fissarla, in Paesi diversi.

            Molti sono gli sforzi dei paesi per affrontare questa particolare forma di mediazione e molti sono i modelli che si sono sviluppati tra i quali : la mediazione bi-nazionale, la co-mediazione interdisciplinare, la mediazione diretta e indiretta.

 

 Mediazione – shuttle e caucus

            E’ una forma particolare di mediazione che parte dal presupposto che la mediazione faccia a faccia, pur avendo come scopo quello di incoraggiare la comunicazione, talvolta infiamma gli animi ed i conflitti di coppia; per tale motivo il mediatore o meglio i co – mediatori incontrano le parti separatamente permettendo così un esame più tranquillo della situazione.

            La mediazione shuttle è usata di rado in mediazione familiare anche se, il suo uso potrebbe essere auspicabile in presenza di violenza domestica o forme di abuso. In tali circostanze la presenza dei due partner  in unica seduta potrebbe essere pericolosa come del resto uno dei due partner potrebbe essere intimorito dalla presenza dell’altro e preferire a rinunciare all’incontro. Questa modalità potrebbe essere pertanto applicata fino al superamento del rischio o del timore.

            Il caucus – trascrizione dell’algonchino cawcawwassoughes  - (termine che indica il capo Tribù dei nativi americani Algonchini), simboleggia discussioni interminabili e ripetitive ed è utilizzato per descrivere una forma di incontri di mediazione alternati tra momenti di copresenza ad altri di  discussioni separata.

            Più che come modello può essere considerata una strategia in tutti quei casi in cui può essere conveniente consentire ad una delle parti esprimere separatamente paure e timori relativamente all’incontro con l’altra rassicurandola sulla riuscita civile e collaborativa degli incontri sucessivi.

Questa metodologia porta in se alcuni svantaggi possibili, tra questi  è possibile che il mediatore perda la fiducia da parte dei disputanti così come possa perdere la sua imparzialità . I messaggi che vengono portati non hanno la stessa chiarezza di quelli diretti e la scaletta prevista per gli incontri potrebbe involontariamente penalizzare l’uno o l’altro . Cosa a mio avviso più grave è la possibilità che la coppia si senta estranea al processo lasciando tutto il “lavoro” al mediatore.

 

Mediazione online

 

            In casi particolari di mediazione transfrontaliera, quando viaggi e costi renderebbero difficile accedere ad incontri di mediazione familiare, pur nella necessità di affrontare eventi importanti della propria vita familiare, può venir fatto uso di strumenti di comunicazione online , servizi di Voip, Skype.

            Secondo Melamed (2009) dobbiamo incontrare le famiglie la dove si trovano  ed i mediatori devono imparare a conoscere varie possibilità di comunicazione: “ c’è un relazione affascinante, in continua evoluzione, tra la comunicazione e le esperienze online e la comunicazione e le esperienze faccia a faccia. Se bene utilizzate, ciascuna di esse migliora l’altra in modo straordinario(..) Il mondo virtuale è un estensione del mondo reale e crea nuove abilità che prima non esistevano”

 

Co – Mediazione/ Mediazione Integrata / Interdisciplinare

 

La Co – mediazione o mediazione integrata o mediazione interdisciplinare è un modello nel quale è prevista l’integrazione di due o più figure professionali. Solitamente si tratta di due professionisti, uno con una formazione umanistica l’altro con formazione legale che lavorano in sedute separate, ma in modo integrato, collaborando alla gestione del conflitto di coppia. Durante le sedute di mediazione è dato molto spazio sia alla dimensione emotivo-affettiva, sia a quella pratico-legale.

            E’ un modello sviluppatosi negli Stati Uniti che vede come maggior esponenti L. Marlow e D. Sauber, rispettivamente avvocato e mediatore familiare, si basa sul concetto di integrazione tra professionalità.

 

            La co-mediazione usata con funzione di equilibrio e supporto è utile per lo scambio informativo e l’ampliamento dei punti di vista.

            Altro  forma proposta ed utilizzata principalmente in Germania  (Gold 1988) è  un modello che detiene le stesse caratteristiche del modello strutturato ma si differenzia dal fatto che l’intervento viene svolto in co-presenza, principalmente da due professionisti ,avvocato e mediatore nel corso del quale  il primo si occuperà di aspetti legati al diritto di famiglia mentre l’altro si occuperà della relazione affettiva e di contenere le dinamiche conflittuali per cui, il contesto della mediazione sarà composto da quattro  soggetti che collaborano e cooperano verso un unico obiettivo, trovare un accordo.

 

 

Conclusioni

            Gli studi e la letteratura ci dimostrano che, sempre più, nel mondo, abbiamo bisogno di strumenti che ci aiutino ad affrontare la crisi in modo costruttivo e cooperativo, in tutti i settori della vita.

            Noi qui ci siamo occupati di mediazione familiare, vale a dire quel processo che ha come obiettivo principale quello di rendere i partecipanti capaci di raggiungere le proprie decisioni, il proprio accordo. Sembra quasi un paradosso pensare che in nessun modo, nel ciclo di vita familiare, ci si occupi della coppia prima che questa si formi, fornendo orientamento e sostegno alle scelte e decisioni di chi si appresta a seguire un percorso di vita comune, nella convinzione che le persone possono fare da se e invece si pretenda di intervenire sulla crisi, comporre il conflitto, nel modo più pacifico possibile  tra due persone tra di loro in forte contrasto e che, in quel periodo di vita, vorrebbero solo “farsi del male”. Sembra, da questa prassi consolidata, di poter credere nel potere della mediazione a priori ed attribuire al mediatore una forma di potere magico al di là e sopra le stesse parti.

            Ovviamente non è così.

            La mediazione indubbiamente porta benefici per i partecipanti risolvendo conflitti e riducendo lo stress tanto nella coppia quanto nei figli ma sicuramente non è magica, nè una panacea; richiede impegno da parte della coppia, dei figli, della famiglia, dei mediatori stessi.

            Sono stati svolti studi accurati, soprattutto dopo che negli ultimi trent’anni la mediazione ha conosciuto un considerevole sviluppo,   per valutare i risultati che si possono ottenere utilizzando tale pratica di lavoro e quali sono le caratteristiche che rendono una mediazione più o meno efficace ed un mediatore più o meno incisivo.

            Non ci sono elementi predittivi ed unanimità nei dati che riguardano gli esiti positivi di una mediazione infatti le circostanze e le dinamiche interpersonali sono profondamente diverse e variabili e  non possono produrre esiti standardizzati. Ciò non di meno la mediazione risulta essere un processo di risoluzione delle controversie che può aiutare a risolvere i contrasti e raggiungere buoni accordi  per il futuro (buoni per i partecipanti, quello che per loro è positivo) .

            Molte,  come abbiamo visto,  possono essere le strategie di intervento di tale disciplina volta ad accompagnare la trasformazione delle relazioni tra i due genitori e tra genitori e figli e molti i modelli che ogni singolo mediatore adotterà e cucirà su se stesso per il miglior esito possibile.

            Personalmente, da Assistente sociale specialista e Counselor professionista,  da sempre orientata al modello sistemico relazionale, ritengo che l’approccio ecosistemico meglio si adatti al mio modo di sentire ed operare. Il  processo decisionale e partecipativo, è in grado di fondere conoscenze interdisciplinari, comprensione e gestione del conflitto e, supportato dalle influenze della Teoria del caos,  mi consente di essere incoraggiata nel lavoro di mediazione e fiduciosa riguardo ai possibili esiti senza peraltro perdere competenza e professionalità e spingendomi all’arricchimento costantemente del bagaglio culturale o, come mi piace dire, all’integrazione della mia cassetta degli attrezzi.

            Affermare che una catena di eventi presenta punti critici in cui anche interventi molto piccoli possono avere una grande influenza è sicuramente la miglior spinta positiva che un sistema in movimento possa ricevere. "Può, il batter d'ali di una farfalla in Brasile, provocare un tornado in Texas?" (conferenza di E.Lorenz 1972).

 

My Counselor

dott.ssa Manuela Fogagnolo

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