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Disattenzione e Iperattività, un problema anche relazionale

Inviato da Giancarla Mandozzi

Disattenzione e Iperattività, un problema anche relazionale

 

La diagnosi di ADHD (attention deficit hyperactivity disorder), disturbo da deficit di attenzione/iperattività, di origine complessa e neurologica, è diagnosi fortunatamente rara (secondo recenti rilevazioni, incide sulla popolazione scolastica, intorno al 4%), tuttavia adulti genitori ed educatori di fronte al bambino ipervivace tendono troppo frequentemente ad ignorare la sostanziale distinzione tra difficoltà e disturbo. Da qualche tempo si intensificano gli inviti di esperti e specialisti ad una maggiore prudenza nel cercare diagnosi clinica per ogni problema dell’età evolutiva, che si manifesti in famiglia, a scuola, con estranei o con coetanei. Formatori, pedagogisti, psicologi e la recente normativa MIUR concordano su un dato: è eccessiva la medicalizzazione a cui vengono sottoposti i bambini anche per lievi difficoltà.

 

Neppure per il bambino che manifesti qualche forma di disagio è prevista diagnosi clinica prima che arrivi a frequentare la seconda elementare, e tuttavia è pur vero che agli insegnanti della Scuola dell’Infanzia è richiesta osservazione mirata dei bambini (da 3 a 6 anni) per individuare possibili carenze anticipatrici di successive difficoltà di apprendimento, socializzazione, cognitive o emotive. Frequentemente i genitori sollecitano visite e richiedono diagnosi cliniche e, fermo restando che è certamente importante intervenire tempestivamente e con proprietà per arginare e risolvere un disagio che il bambino manifesta, occorre tener presente che le difficoltà più diffuse, anche di apprendimento, sono legate a situazioni educativo-relazionali rientrano in un quadro di relazione di aiuto che va gestita da un competente intervento di adulti educatori (insegnanti, docenti, genitori, allenatori sportivi…) assistiti da figure quali il counselor o lo psicologo e  non richiedono pertanto diagnosi clinica.

Un carico ulteriore di lavoro per gli insegnanti? Dario Ianes, Docente ordinario di Pedagogia dell’Inclusione, Comunicazione in condizioni difficili, Educazione all’affettività e Didattica Speciale all'Università di Bolzano, definisce l’invito pressante della recente normativa della scuola, oltre che della normativa europea, a comporre un Profilo Dinamico Funzionale del bambino per rilevarne il potenziale di sviluppo, a dare priorità alla lettura dei Bisogni per progettare una Programmazione individualizzata e personalizzata al di là della diagnosi medica,  lavoro discrezionale – valutativo assunzione di responsabilità  pedagogico-didattica, parte integrante del ruolo educativo di ogni insegnante e docente.

Leggiamo una pagina da Gian Marco Marzocchi, Elena Bongarzone da Disattenti e iperattivi. Cosa possono fare genitori e insegnanti, Il Mulino, 2019:

"Ogni giorno ci alziamo e iniziamo la giornata pensando a come affrontare tutti gli impegni, cercando strategie efficaci e a basso costo energetico da utilizzare, Per programmare la giornata (lavoro, studio, famiglia, amici), organizzare pensieri e azioni, elaborare le informazioni che via via accumuliamo in memoria abbiamo bisogno di un insieme di processi mentali complessi chiamati «funzioni esecutive». Sono processi che lavorano in continuo rapporto tra loro e dipendono dal tipo di situazione che deve essere affrontata; bisogna tenere sempre in considerazione che non sono processi automatici ma richiedono uno sforzo mentale. Facciamo un esempio pratico: siamo al lavoro e ci viene chiesto di fare più cose contemporaneamente in breve tempo. Cosa facciamo?

 

Teniamo a mente le istruzioni che ci vengono fornite e l'obiettivo da raggiungere; elaboriamo tutte le informazioni vecchie e nuove per svolgere il compito. Contemporaneamente dimentichiamo le informazioni che non ci servono, ci concentriamo solo su quelle importanti, ci spostiamo da un'informazione all'altra per completare il lavoro che ci è stato chiesto. Alla fine della giornata lavorativa siamo stanchi e ci vengono chiesti ulteriori sforzi cognitivi, come pensare alla cena, aiutare i figli nei compiti, ascoltare e aiutare un amico che ha un problema.

Che cosa ci succede? Sentiamo di fare molta fatica, di non avere più «energie mentali» per elaborare altre informazioni e ci irritiamo per la frustrazione di non essere in grado di fare tutto oabbastanza.

I processi che abbiamo utilizzato per affrontare le situazioni appena descritte sono spesso deficitari nei bambini con Adhd e questo deficit causa difficoltà nell'adattamento quotidiano e in tutti i contesti di vita. Inoltre, quando ci troviamo in situazioni di black-out tendiamo a giustificarci con frasi come «Sono troppo stanco... non riuscirei ad affrontare la situazione... devo staccare!», ma se facciamo queste considerazioni su noi stessi perché non farle anche per un bambino con Adhd? Può, infatti, capitare di non fermarsi a riflettere sulle continue richieste osulle continue considerazioni negative e sminuenti che si fanno nei loro confronti, abbassando la loro autostima.

É come dire a un bambino con dislessia: «Impegnati! Devi leggere meglio e più velocemente». Otterremo il risultato sperato? Purtroppo no: il bambino non riuscirà a fare meglio se si sta già impegnando al massimo! quindi fondamentale provare a capire le caratteristiche del bambino con Adhd, il tipo di richieste che possiamo avanzare e con quali modalità. Per capire le difficoltà di un bambino con Adhd immaginiamo, quindi, quanto sia difficile affrontare tali situazioni; con questo pensiero forse potremmo riuscire a essere più cauti nel relazionarci con un bambino che presenta difficoltà di attenzione e iperattività."

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

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