Omofilia, omofobia e amore


dal film Colpo di Fulmine - Il Mago della Truffa

"La forza d’un bel viso a che mi sprona?
C’altro non è c’al mondo mi diletti:
ascender vivo fra gli spiriti eletti
per grazia tal, c’ogni altra par men buona.
Se ben col fattor l’opra suo consuona,
che colpa vuol giustizia ch’io n’aspetti,
s’i’ amo, anz’ardo, e per divin concetti
onoro e stimo ogni gentil persona?"

Cosa può esserci di male nell’amare, anzi nell’ardere di passione amorosa per una bella persona? In nome di quale giustizia dovremmo sentirci in colpa? E’ forse un peccato voler ascendere in paradiso ancora vivi, grazie all’ amore umano che riflette con tanta evidenza e forza l’amore divino che risplende nella bellezza dei volti e dei corpi gentili? Eppure Michelangelo, l’autore di questi endecasillabi, si sentiva colpevole agli occhi di Dio, soprattutto per le sue inveterate abitudini omosessuali (il famoso “trist’uso radicato e forte” ) alle quali non aveva la forza di resistere nemmeno sentendosi prossimo alla morte del corpo e temendo la ben più terribile morte dell’anima.

Quindi, malgrado teorizzasse l’innocenza della sua inclinazione amorosa per la bellezza delle creature in cui vedeva l’impronta del creatore, Michelangelo era talmente angosciato dal senso di colpa da rasentare la disperazione, da dubitare persino dell’amore perdonante del Signore, parendogli ardire eccessivo sperare che basti un pentimento tardivo per impetrare la salvezza.
Come non riferire questo senso acuto del peccato carnale “contro natura”alla biblica condanna che lo stigmatizza a lettere di fuoco? La maledizione la troviamo chiaramente formulata per la prima volta nel Levitico: “Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte, il loro sangue ricadrà su di essi”(20, 13).

Da allora in poi questa condanna cruenta si tramanderà di generazione in generazione fino agli scribi e ai farisei che si erano insediati sulla cattedra di Mosè ai tempi della predicazione evangelica - rimasti sinonimi di vanità e ipocrisia a causa delle sette maledizioni scagliate contro di loro da Rabbi Yehoshua (Gesù) - e trasmessa ai Padri della Chiesa attraverso il fariseo Saulo (poi divenuto san Paolo) e quindi a tutta l’Europa cristiana fin quasi alle soglie dell’età contemporanea (solo con la rivoluzione del 1789 verrà abolita in Francia la pena di morte per “l’abominevole crimine di sodomia”).

E tuttavia, se nonostante tutte le sanzioni penali e la diffusa riprovazioni sociale i summentovati crimini abominevoli hanno continuato e continuano ad essere consumati, qualche ragione ci dovrà pur essere! Non sarà che l’attrazione sessuale verso persone dello stesso sesso, giudicata da molti anche al giorno d’oggi “contro natura”, faccia anch’essa parte della natura? Se è, o dovrebbe essere, evidente che mascolinità e femminilità non sono categorie assolute neanche dal punto di vista anatomico, figurarsi da quello psicologico; e se è vero che presso tutte le culture esistono soggetti a comportamento omofilo, e che ognuno di noi attraversa nel proprio sviluppo una fase omosessuale fisiologica; e se è ormai accertato che esiste anche un’omosessualità tra gli animali, considerarla ancora un fenomeno innaturale e aberrante non ha più alcun senso, almeno secondo un criterio rigorosamente scientifico.

Ora, che gli omosessuali costituiscano una minoranza è fuori di dubbio, ma essere in minoranza è forse un reato? Certo che – è questa l’obiezione più seria – se tutti gli appartenenti ai due generi fossero del tutto omosessuali, addio generazioni future (a meno che con i progressi dell’ingegneria genetica non si possa ovviare anche a questa oggettiva difficoltà!). Per fortuna, o per provvidenza, gli omosessuali puri e le omosessuali pure non si incontrano tanto frequentemente.

Però esistono, e non è detto che non abbiano anche la loro brava funzione sociale e culturale: non è raro trovare tra gli omosessuali personalità che svettano sulla media per intelligenza e creatività; non per caso ho citato all’inizio Michelangelo Buonarroti, ma avrei potuto citare Leonardo, il Poliziano, Donatello, Benvenuto Cellini, il Pontormo, Caravaggio, Shakespeare, e, più vicini nel tempo, Oscar Wilde - che ha pagato a caro prezzo i suoi amori proibiti - e Proust, Gide, Jean Genet, Garcia Lorca e i nostri De Pisis, Palazzeschi, Sandro Penna, Visconti, Pasolini (orribilmente straziato)….Artisti e poeti che hanno arricchito, non certo impoverito, anche la nostra vita spirituale.

Già, ma non tutti i geni sono omosessuali, né tutti gli omosessuali sono dei geni; è vero, tuttavia come negare che, per la loro stessa condizione, per la loro “diversità”, gli omosessuali abbiano in genere, per così dire, una marcia in più in fatto di sensibilità estetica ed emotiva? Non per niente in certe culture primitive all’omosessuale veniva attribuita addirittura un’aura sacrale, in quanto detentore di un potere magico-religioso, il mana; difatti gli sciamani della zona artica e paleosiberiana erano considerati intermediari tra il mondo dei vivi e quello dei morti, e, proprio per la loro indeterminatezza sessuale, potevano maritarsi con persone del loro sesso.

E’ persino ovvio ricordare la celebrazione degli amori pederastici e saffici nella mitologia, nell’arte e nella poesia ellenica, e la serena accettazione delle relazioni erotiche tra adulti e adolescenti (efebi) - e in particolare tra maestri e allievi - considerate addirittura propizie all’ordinato e virtuoso svolgimento della vita sociale nella polis, nella Grecia dell’età classica.. Non bisogna ora generalizzare né mitizzare per questo la condizione non facile dell’omosessuale, certo; però un osservatore spassionato del fenomeno dovrebbe almeno sgombrare il campo da ogni valutazione negativa.

Ho detto spassionato a ragion veduta, sappiamo infatti quanto pesi il pregiudizio soprattutto in soggetti poco o male acculturati, oppure affetti da omofobia. Ma che cosa bisogna intendere propriamente con questa parola? Letteralmente significa paura irrazionale e repulsione istintiva nei confronti dell’omosessualità, considerata come un vizio deplorevole da cui stare alla larga e da reprimere con ogni mezzo, simile alla xenofobia, all’antisemitismo, al razzismo, al sessismo, che è l’atteggiamento discriminatorio e talora persecutorio basato sull’intolleranza verso orientamenti sessuali diversi dai propri.

Malgrado il nome, l’omofobia non è tuttavia contemplata da nessun manuale psichiatrico come una patologia, non si tratta quindi di una fobia vera e propria ma piuttosto di un tratto di personalità, è infatti caratteristica delle personalità cosiddette autoritarie, cioè rigide, intimamente insicure e che temono di perdere da un momento all’altro la loro identità e il loro potere, grande o piccolo che sia. Si comprende quindi come l’omofobia sia anche un tratto distintivo di ogni regime dittatoriale o teocratico e, sul piano personale, molto spesso sintomo di omosessualità rimossa o repressa.

Come uscirne? Temo che non basti aggiungere nei codici il diritto esplicito all’omosessualità e il conseguente reato di omofobia; in una società civile e sedicente democratica dovrebbe bastare l’articolo 3 della nostra Costituzione; ma è un articolo che, come tanti altri, rimane scritto sulla carta, non vissuto, non agito, non messo in opera. Per metterlo in opera non c’ è mestier lusinghe, né sanzioni, né pistolotti politically correct; se manca la carità, cioè l’amore, scriveva il fariseo convertito Paolo di Tarso ai Corinzi, manca tutto; se c’è la carità, cioè l’amore, non manchiamo di nulla.

Qui Paolo, divinamente ispirato, supera tutte le misere distinzioni e discriminazioni sessuali e non sessuali in nome di un corpo mistico le cui membra non stanno insieme per forza ma per amore. Per quell’amore che muove il sole e le altre stelle, ma che, evidentemente, non riesce ancora a muovere tutti gli esseri umani.

Fulvio Sguerso

www.foglidicounseling.org

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