PROATTIVI O REATTIVI? Modelli e atteggiamenti di problem-solving a confronto

Inviato da Nuccio Salis

Durante i percorsi formativi ispirati ai princìpi ed alle metodologie del counseling, ciascun soggetto coinvolto nell’esperienza viene orientato a considerare (e di conseguenza introiettare o rafforzare) un modello propositivo e costruttivo legato agli atteggiamenti considerati più funzionali per avviare strategie efficaci di problem-solving. Si cerca in estrema sintesi di sollecitare e facilitare una modalità che agevoli il confronto fra l’individuo ed una situazione di problematicità, a vantaggio dello stesso, perché possa cioè ricavare ipotesi e concrete risorse atte al superamento e alla trasformazione di ciò che genera in quel momento ostacolo e difficoltà. Tale modalità, prima ancora di essere associata ad una competenza strategica di tipo applicativo, viene indicata in riferimento allo sviluppo di una condotta comportamentale legata ad una visione di mondo che prevede un approccio improntato sulla percezione di autoefficacia e sulla volontà di generare situazioni nuove, e di sforzarsi a creare mutamento partendo esattamente da ciò che per circostanza può essere diventato stantìo ed obsoleto. Secondo questa prospettiva, la cura dell’area del “saper essere” precede per priorità quella del “saper fare”, da cui la precedenza riservata al lavoro interiore, come risorsa principale per acquisire solo in seguito una serie di requisiti validi per attivare un piano di azione realmente risolutivo. Seguendo questa impostazione, si deve dedurre che sia soprattutto l’atteggiamento condotto nel percorso di un problem-solving a determinare gli effetti stessi del livello di rendimento dovuto al piano di azioni intrapreso ed implementato. D’altra parte, l’itinerario che richiede capacità di pianificare e ragionare secondo prospettive problemiche, richiama una serie di capacità organizzative che non si attiverebbero se non vi fosse in un soggetto un forte investimento energetico votato alla ricerca di soluzioni di fronte a ciò che si presenta come complesso e problematico. Insomma, la determinazione e la grinta impegnate in una direzione costruttiva ed ottimistica, e con le quali si rivolge fiducia verso il protagonista che si confronta direttamente con il suo vissuto problemico, sono da considerare i principali punti di forza che sospingono il soggetto dentro un sentiero in cui lo stesso si misura con le sue scelte, i suoi valori, i suoi aspetti funzionali così come con i limiti e gli elementi di criticità. È l’atteggiamento con cui si decide di approcciarsi nel vivo del contesto problemico, che decide sull’efficienza e sul raggiungimento degli obiettivi auspicati. Occorre dunque puntare sulla formazione in merito alla tipologia del rapporto fra il soggetto e l’ambiente percepito dallo stesso, ovvero da come il primo decide, considera ed assume posizioni e scelte strategiche soprattutto sulla base di come rappresenta se stesso ed il mondo. È la visione delle cose ad influire in modo rilevante e significativo sulla qualità del proprio agire. Sulla base di taliconclusioni, un professionista che si dedica alla formazione della persona dovrà di conseguenza privilegiare la creazione di un atteggiamento idoneo e funzionale elevato a risorsa principale di problem-solving. In ultima analisi, ciascun specialista impegnato nell’ambito suddetto si prodigherà per far crescere e mantenere un’inclinazione “proattiva” al posto di quella “reattiva”. Quest’ultima viene più comunemente riscontrata ed osservata per la maggiore nei comportamenti di coloro che non producono soluzioni appropriate e vincenti in merito ai problemi emergenti. Vi sono infatti importanti e sostanziali differenze fra le due posizioni. Coloro che si collocano e si riconoscono nella mentalità proattiva, si sforzano di ricercare e reperirealternative opzionali laddove un problema appare come chiuso ed affrontabile solo secondo una sola modalità. Questa tipologia di soggetti mostra fiducia, ottimismo, flessibilità, apertura, impegno propositivo a superare posizioni rigide e unilaterali. Possono vedere addirittura in ciascun fattore costitutivo del problema un potenziale elemento da trasformare in opportunità e risorsa. Costoro non pretendono niente da loro stessi o dagli altri, e possono arrivare ad accettare certi limiti oggettivi imposti dalla vicenda che li vede coinvolti e interessati. Modificano le loro aspettative e si mostrano pronti a cambiare tattica, oppure a ri-considerare l’ordine delle priorità dapprima avvicendate. In pratica mostrano un elevato grado di adattamento e resilienza che tende comunque a conservare un margine di scelta e di volontà. La propensione reattiva, al contrario, si qualifica per un atteggiamento di tipo disfattista, anche perché si mostra pretestuoso nei confronti delle manchevolezze o del livello di difficoltà manifesto o sopraggiunto nella situazione. In questa condizione mentale, diventa più facile per un soggetto arretrare o abbandonarsi alla resa, sentirsi cioè privo di quel giusto livello di autoefficacia e fiducia in sé col quale si può invece attivare il percorso solutorio. In genere è anche più sensibile e vulnerabile alle questioni che lo implicano a livello emotivo personale, trovando cioè più difficoltà nel gestire stati interiori che di solito possono essere connotati da espressioni di rabbia, tristezza o rivendicazioni frustrate. È dunque anche più facile e frequente che di fronte alle difficoltà, il suo locus of control personale ascriva le responsabilità anche di un suo tentativo fallace verso personalità terze o inverosimili e non provati eventi avversi. In pratica, se il proattivo è maggiormente in grado di agire secondo una prospettiva realistica e concreta, il reattivo agisce secondo suggestioni ed impressioni, perdendo così anche la possibilità di muoversi ed orientarsi dentro una visione obiettiva e costruttiva. Il proattivo rappresenta dunque un punto di arrivo e di mantenimento di una struttura di personalità sana ed equilibrata. Una sfida aperta per lo specialista che si propone come performer e valido supporto a favore della crescita e dello sviluppo del sé. Un compito che ci vede impegnati dentro un individuale e perpetuo percorso formativo che possa testimoniare la congruenza dei princìpi e delle aspettative che proiettiamo sugli altri. Si tratta, cioè, di una grande prova di coerenza, ovvero di un affidabile test di credibilità per chi si presenta a ciascun soggetto in formazione come esperto della relazione di aiuto. -dott. Nuccio Salis - pedagogista clinico, counselor socioeducativo, formatore analitico-transazionale
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