la lettura, un’innaturale fatica …


la lettura, un’innaturale fatica …

Immagine di Joel Robinson.

La fatica di leggere è reale e oggi ancor più scoraggiante in quanto leggere non può competere con la facilità di guardare, e allora, rispetto al libro, la televisione, il pc, tablet, il cellulare ognuno zeppo di immagini, diventa il medium più amichevole, perché è quello che "dà meno da fare".

L'intelligenza sequenziale, che finora ha caratterizzato l'Occidente nella costruzione delle sue conoscenze, cede ogni giorno di più il passo all'intelligenza simultanea. Per questo il piacere della lettura è ancor più una conquista preziosa. Lo è perché leggere arricchisce la vita. E lo è doppiamente perché leggere è anche un’attività del tutto innaturale. I lettori esperti tendono a sottovalutare questo fatto. O se ne dimenticano.

 

Comunicare è naturale. Come ricorda Tullio De Mauro, la capacità di identificare, differenziare e scambiarsi segnali appartiene al nostro patrimonio evolutivo e non è solo umana: la condividiamo con le altre specie viventi, organismi unicellulari compresi.

Leggere, invece non è naturale per niente. Ed è faticoso. La fatica di leggere è sia fisica (i nostri occhi non sono fatti per restare incollati a lungo su una pagina o su uno schermo) sia cognitiva: il cervello riconosce e interpreta una stringa di informazioni visive (le lettere che compongono le parole) e le converte in suoni, e poi nei significati legati a quei suoni.

Poi deve ripescare nella memoria il significato delle singole parole che a quei suoni corrispondono, e a partire da questo deve ricostruire il senso della frasi, e dell’intero testo. Tutto in infinitesime frazioni di secondo, e senza pause.

È un’operazione impegnativa, che coinvolge diverse aree cerebrali e diventa meno onerosa e più fluida man mano che si impara a leggere meglio, perché l’occhio si abitua a catturare non più le singole lettere, ma gruppi di lettere (anzi: parti di gruppi di lettere. Indizi a partire dai quali ricostruisce istantaneamente l’intera stringa di testo). Un buon lettore elabora, cioè riconosce, decodifica, connette e comprende tre le 200 e le 400 parole al minuto nella lettura silenziosa.

Seguiamo il procedere delle argomentazioni di Tullio De Mauro:

La stessa lettura silenziosa è una conquista recente. Greci e latini leggevano compitando il testo a voce alta, o sussurrando. Quando il giovane Agostino di Ippona va a trovare sant’Ambrogio, che è un gran lettore, resta talmente colpito dal fatto che legga in silenzio da registrarlo, poi, nelle Confessioni: «Nel leggere, i suoi occhi correvano sulle pagine e la mente ne penetrava il concetto, mentre la voce e la lingua riposavano. Sovente, entrando, poiché a nessuno era vietato l’ingresso e non si usava preannunziargli l’arrivo di chicchessia, lo vedemmo leggere tacito, e mai diversamente.»

Oggi, ci dibattiamo tra dovere e voler leggere. A dirlo è l’Ocse: il 69 per cento degli italiani è ancora sotto il livello minimo di competenza nella lettura necessario per vivere in un paese industrializzato. Se questo è il dato di base, non deve stupire che il 58 per cento degli italiani dai sei anni in su non abbia spontaneamente (cioè non per obbligo scolastico o lavorativo) aperto neanche un libro negli ultimi 12 mesi, manuali di cucina e guide turistiche comprese.

Tra saper decifrare un testo semplice, si tratti di un sms o di una lista della spesa, e saper agevolmente leggere e capire un testo di media complessità al ritmo di centinaia di parole al minuto c’è un abisso e prima di interrogarsi sulle strategie per colmarlo bisognerebbe, porsi una domanda: che cosa può motivare le persone che leggono poco a leggere di più (e, dunque, a imparare a leggere meglio)? In altre parole: che cosa compensa davvero la fatica di leggere?

Le motivazioni più forti sono quelle interne, o intrinseche (sentirsi bravi, capaci, appagati), mentre le motivazioni esterne (o estrinseche) come premi e punizioni, voti scolastici compresi, funzionano meno. Forse un’unica cosa può pienamente compensare l’innaturale fatica di leggere, ed è il piacere della lettura: il gusto di lasciarsi catturare (e perfino possedere) da una storia, o il gusto di impadronirsi di un’idea, una prospettiva, una competenza nuova attraverso un testo. È il piacere di sentirsi appagati, o migliori.

Ma è un piacere difficile perfino da immaginare finché non lo si sperimenta, arduo da evocare e raccontare (non a caso molte campagne in favore delle lettura lasciano il tempo che trovano. Non tutte, però) e impossibile da imporre.(Carlo Mazzucchelli https://www.solotablet.it/blog/tabulario/).

Ancora una volta svetta come la soluzione efficace l’apprendimento in forma esperienziale che non può prescindere dalle molte responsabilità dell’adulto che è chiamato a imparare per sé il piacere della lettura e a far sì che si accenda in ogni giovane mente…a partire dall’infanzia. Resta insostituibile tuttora, accanto ad ogni più recente invenzione tecnologica e mediatica quella lettura espressiva che un familiare adulto dona, per pochi minuti desiderati e attesi come il vero viaggio di ogi giorno:  storie reali o fantastiche, narrazioni che animano, agitano, espandono progressivamente nel piccolo ascoltatore i confini del suo mondo interiore.

La valenza formativa della narrazione, il narrarsi (ben diverso dal raccontare o raccontar-si), è infatti cardine strategico del counseling, speculare alla capacità di ascolto.

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

 

 

 

 

 

 

 

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