IL PERCORSO DEL COUNSELING. Punti chiave comuni nel pluralismo degli approcci

Inviato da Nuccio Salis

 percorso comune

Il percorso proposto secondo i princìpi sostenuti dal counseling, prevede una serie di criteri che definiscono e sostanziano tale disciplina come una pratica con regole proprie ed una sua autonoma identità epistemologica, e pertanto ciò che viene pianificato abbraccia una serie di procedure e di coordinate che la rendono distinta da altre modalità, seppur affini nelle finalità ed in alcuni punti chiave che ne costituiscono l’ossatura valoriale e deontologica.

Come cammino esperienziale che punta ad assumere una decisiva valenza formativa nell’ambito della crescita della persona, il counseling si articola delineando un percorso strutturato e sequenziato secondo un modello collaudato in virtù di una collaudata e verificata efficacia sperimentata ed applicata nel corso delle ricerche e delle pratiche operative.

 

Deve altresì essere aggiunto che la specificità di tale itinerario può risentire dell’orientamento dentro cui si riconosce una determinata scuola di appartenenza, e pertanto può modellarsi in funzione di indirizzi metodologici e di approcci che si configurano secondo una caratteristica dominante.

Seppur nella pluralità dei modi di concepire e agire mediante varie tipologie di counseling, la necessità comune resta quella di procedere attraverso un ordine che abbia senso, rigore e affidabilità, e che conferisca una direzione il più possibile accreditata come strategia piuttosto sicuro dentro cui dirigersi. Inoltre, altro principio condiviso riguarda la possibilità di esporre il cammino esperienziale alle contingenze emergenti in situazione ed ai cambiamenti che possono introdurre elementi di novità e di ri-programmazione/ re-visione del progetto concordato in principio. Per giunta, un altro bisogno identificato consiste nell’avviare in itinere un’accurata analisi e un serio controllo del processo che si sta sviluppando. Per ultimo, esiste anche una notevole e sentita esigenza di saper chiudere un percorso da considerarsi giunto alla sua conclusione.

Considerate quindi le pur diverse opzioni percorribili, i seguenti elementi costituiranno la piattaforma di base ricorrente fra differenti aree metodologiche:

 

.) Bisogno di dare struttura: costruire il setting spazio-temporale dentro cui accogliere l’intera esperienza.

.) Flessibilità: necessità di concedere all’evento pianificato la possibilità di rispondere in modo proattivo alle variabili del sistema.

.) Monitoraggio e controllo: cioè l’esigenza di verificare la sostenibilità del cammino e l’aderenza fra auspici ed obiettivi, sia durante ciascuna fase intermedia e avanzata del processo, che come raccolta e valutazione sommativa finale rispetto alla congruenza fra aspettative pianificate e obiettivi realmente raggiunti. Il livello di concordia/discrepanza fra queste due componenti riferirà il punto in cui si è effettivamente raggiunto un cambiamento significativo, oppure se nei confronti dello stesso è possibile attivare l’invio presso setting più opportuni e idonei alla tipologia del cliente.

.) Conclusione e chiusura: risulta molto importante, qualora si riuscisse ad effettuare il numero di incontri previsti nel tempo, dissolvere l’esperienza raccogliendo gli aspetti costruttivi fondanti che insieme sono stati sollecitati, osservati e sviluppati, per consolidare il cammino esperito dentro una cornice di senso solida e sicura.

 

Visti e descritti sinteticamente tali punti focali, rimane da schematizzare il cammino organizzato dentro l’esperienza del counseling, secondo tappe che modellano lo stesso in un percorso con un carattere intrinsecamente universale, comprensibile e presentabile.

 

La prima fase può essere chiamata ‘Apertura e consulenza’, e coincide con il momento iniziale dell’incontro fra counselor e cliente. Si tratta di quel passaggio in cui la fanno da padrone le prime impressioni. Forse anche lo specialista più “palestrato” non può del tutto sottrarsi all’invasività del primo impatto, anche se nell’ambito dell’accoglienza gentile e dell’accettazione incondizionata, il professionista provvede a gestire l’effetto primacy, accantonando in posizione stand-by i suoi personali schemi di giudizio e di valore. Quindi, anche se inevitabilmente “assaggia” il cliente, che porta con se anzitutto una serie di input legati alla presenza: aspetto, abbigliamento, odori, voce, egli si impegna nel non attribuire valutazioni e aspettative premature basate sull’apparenza. Tale atteggiamento sarebbe peraltro rischioso in quanto suscettibile di condizionare effettivamente il cliente sulla base delle profezie dello specialista, che assume un ruolo di maggiore competenza e potere nella punteggiatura comunicazionale insita nel rapporto counselor e cliente. Questa prima fase deve altresì svilupparsi come occasione preziosa per dimostrare apertura e disponibilità, regolando a questo scopo ogni elemento del setting e curando in modo attento il livello analogico della comunicazione non verbale.

 

La seconda fase consiste nell’inquadrare con precisione un focus tematico di lavoro. Il counseling rende visibile e dimostrabile la natura del suo intervento quando mostra di sapere dove andare, con quali strumenti e con quali finalità. Gli incontri di counseling non sono una chiacchierata fra amici, ma un reciproco impegno in cui ciascuna parte si assume il suo compito e la sua responsabilità, in un contesto in cui si è chiamati a co-costruire senso, a co-partecipare all’evento ed a cooperare in un percorso pianificato, lasciandosi guidare da una intrinseca motivazione alla crescita e al cambiamento.

Oltre al fattore legato al contenuto, il counselor dovrà far emergere anche il vissuto autentico associato alla narrazione ed agli episodi riportati, individuando l’emozione predominante e ri-visitandola in rispecchiamento con il cliente, aiutandolo a riconoscerla, apprezzarla e gestirla in modo pratico ed efficace. È molto importante saper utilizzare il linguaggio della positività, ovvero una serie articolata e strategica di espressioni verbali che conferiscono volizione, ottimismo e fiducia; sia verso se stessi che nel processo di confronto con l’operatore. Il verbo ‘Puoi’ sostituirà il ‘Devi’ ma anche altre declinazioni legate a concetti troppo censori e obiettivamente limitanti. La portata di tale influenza, sospingerà il cliente a mobilitare le sue risorse dentro un orizzonte di attività e auto-direzione, superando quell’abituale impostazione nichilista, proibizionista e censuroide, che sorretta dal linguaggio della negazione riduce o recide il ventaglio delle nostre possibilità.

 

La specificazione e il chiarimento oggettuale dovuto a una corretta analisi della domanda, produrrà anche l’idea di una calendarizzazione temporale che aggiungerà, oltre al già presente elemento del ‘Dove’, anche quello del ‘Per quanto’, indispensabile per delineare il senso di un percorso e immettere un concetto di confine, di una linea del tempo da percorrere dentro una struttura stabile e prevedibile. Si continua anche in questo terzo step a rinforzare e potenziare l’atteggiamento positivo mediante il linguaggio del permesso. Si potrebbe affermare, in modo sintetico, la regola aurea riportata in un passo evangelico: “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”. Si presenta dunque un principio che vince l’inerzia e non si accontenta dell’inazione, ma spinge a costruire, pianificare e mettersi in gioco, saggiando responsabilmente le conseguenze delle proprie azioni.

 

Si è già fatto accenno all’importanza del monitoraggio circa il raggiungimento degli obiettivi. È questa infatti una fase che è poi intersecata in tutto il cammino percorso. Misurare le mete raggiunte, sia in termini di risultato che di processo (analisi quantitativa e qualitativa), aiuta entrambe le parti coinvolte nell’esperienza a far emergere domande ancora inesplorate, a reperire eventuali nuovi bisogni, anche derivati da quelli su cui si sta già lavorando. Ciascun obiettivo concretamente raggiunto dovrà essere sottolineato da un sincero feedback gratificante da parte del counselor, che lo commisurerà anche in funzione del livello di disagio/disadattamento presentato durante le condizioni iniziali. Per esempio: se una coppia di genitori condivide ancora il loro letto con il figlio autistico oramai adulto, sarà un obiettivo apprezzabile che questi sarà collocato nel suo letto singolo, seppur ancora affiancato temporaneamente al giaciglio dei genitori.

Inoltre, è molto importante considerare che i nuovi comportamenti esperiti non facciano parte di un momento fugace destinato ad estinguersi e a non ricomparire, ma questi dovranno essere monitorati e rinforzati affinchè si interiorizzino nel repertorio di abilità del cliente che intende svilupparli per ottenere effetti personalmente piacevoli e leciti.

Un comportamento è da considerarsi infatti acquisito quando viene ripetuto, agito con spontaneità, generalizzato e quindi traslato in una plurima dimensione contestuale.

 

L’ultima fase corrisponde alla chiusura, che può essere assorbita in una sintesi biografica da riconsegnare al cliente e da condividere insieme a lui, riepilogando i passaggi più salienti del percorso, rafforzando i nodi e gli svincoli più rilevanti, rintracciando gli elementi più significativi legati alle scelte che hanno condotto fino al momento conclusivo. Insomma si prende consapevolezza di quanto si sia entrati attivamente dentro una prospettiva di evoluzione, e di come ciò possa rappresentare un nuovo punto di partenza che apre ad ulteriori ed inediti auspici e scenari futuri. La fine dell’esperienza può anche essere ritualizzata secondo forme culturalmente condivise e riconosciute, oppure congiuntamente attestata anche attraverso la consegna di un oggetto che assumerà una importante valenza simbolica e metaforica per il cliente.

Il counselor potrebbe proporre a sua discrezione un unico incontro aggiuntivo di controllo (follow-up), con una calendarizzazione diversa rispetto a quella abituale, al solo scopo di verificare il reale consolidamento di una nuova situazione auspicata e raggiunta, nell’ipotesi della conservazione e del mantenimento del proprio stato di benessere. Una richiesta che potrebbe essere esplicitata fin dagli inizi come facente parte del percorso, in modo da non metacomunicare l’esigenza del controllo o di una non completa fiducia da parte del counselor.

 

Ogni decisione assunta va comunicata e chiarita con il massimo della trasparenza, dimostrando in corso d’opera che si agisce esclusivamente nell’interesse del cliente. Lo stile del counselor sarà in ogni caso l’elemento prevalente che costituirà il clima di lavoro condiviso, e che definirà la qualità della cornice relazionale fra operatore e cliente.

 

Nuccio Salis

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