COPING FUNZIONALE E SOCIO-AFFETTIVITA’. Sentire, scegliere e automotivarsi

Inviato da Nuccio Salis

pavone

Le risposte adattive funzionali alle sollecitazioni ambientali, come è già noto, costituiscono una delle espressioni più edificanti dell’intelligenza. La specie che riesce a perpetuare se stessa è quella che riesce a ri-programmare un nuovo piano di esistenza, modificando il carattere delle proprie risposte per il reperimento di un rinnovato equilibrio. Ciascun organismo, in natura, segue difatti una intrinseca tendenza alla riappropriazione di un’armonia interna, qualora la stessa fosse stata esposta e turbata da stimoli atti a destrutturarne le condizioni di base. Si tratta di un processo omeodinamico, spesso condotto mediante automatismi connaturati alla nostra costituzione genetica, al temperamento essenziale e ovviamente al carico delle esperienze che realizziamo nel corso della vita.

 

Acquisire consapevolezza e un discreto margine di controllo su tali meccanismi, può essere decisamente utile e salutare per ciascun individuo, in quanto può arricchire il proprio bagaglio di opzioni di intervento strategico, rispetto alle richieste che l’ambiente gli pone di fronte.

L’individuo in grado di manifestare reazioni efficaci sotto l’aspetto adattivo, infatti, è colui che ha imparato a rendere disponibile a se stesso un ottimale piano di fronteggiamento dei problemi, ovvero un percorso che prevede buone capacità di lettura e interpretazione della situazione complessiva e dei suoi elementi ostacolanti, e di conseguenza un sicuro ricorso ad un ventaglio di percorsi aperti o già sperimentati; il tutto nell’ottica di un’azione di ricerca attiva, alimentata dalla curiosità e dal desiderio di provare a farcela e di sfidare le incognite, nel tentativo di ricostruire o ridefinire eventualmente gli orizzonti della propria dimensione esistenziale, portando nuove domande e ulteriori contributi a servizio della propria esperienza, sia sul piano individuale che sociale.

Chi impara questo approccio, e lo fa proprio, concede a se stesso quella chance in più che manca invece a chi, dovendo affrontare un problema che costringe alla rivisitazione delle proprie coordinate identitarie e strategiche, si ritrova povero di strumenti e con un’insufficiente energia volitiva utile ad intraprendere nuovi sentieri ed espandere le proprie risorse esperienziali.

È peraltro questo il tema ricorrente spesso affrontato nell’ambito del counseling. L’attitudine e l’esercizio al cambiamento svolgono il ruolo decisivo nel tutelare e promuovere la salute dell’individuo in tutti i suoi aspetti. Chi accetta di equipaggiarsi di strategie adattive efficaci, rispondenti agli autentici bisogni del soggetto interessato, fornisce a se stesso un modello dinamico grazie al quale aumentare la possibilità di emettere risposte attive e resilienti. Si potrebbe dire che si conserva ed evolve al tempo stesso, rispetto a chi, avendo scelto di farsi mettere sotto scacco dalle abitudini e da un sistema di risposte obsoleto e inadatto ai nuovi scopi, finisce con il soccombere dentro un calvario rappresentato da una sostanziale sottrazione alla vita, in cui la perdita di senso, l’incapacità di percepire o affrontare i limiti, costituiranno uno scenario di resa, di disfattismo e di abbandono, nei confronti di ciò che dovrebbe invece essere l’avventura stessa della propria vita.

L’impegno nell’insegnare e soprattutto mostrare modelli efficaci, circa l’importanza dell’accettare e guidare il proprio cambiamento, dovrebbe essere un compito costante, soprattutto da parte di chi si propone in una veste di facilitatore e figura di aiuto e sostegno.

Sono infatti ormai ampiamente noti e diffusi, tutti quei dati che mettono in forte correlazione l’incapacità di apporre modifiche e aggiornamenti al proprio palcoscenico esistenziale, con i comportamenti di dipendenza, violenza, devianza e acting-out.

Esiste purtroppo una gravissima assenza di un’educazione socio-affettiva, giusto per fare un esempio, di cui si dovrebbe far carico ogni agenzia educativa. La scuola risulta fin troppo latitante rispetto a questo importantissimo tema, nonché di conseguenza corresponsabile di fronte alla società dello sconcertante deficit di competenze emozionali e comunicative, presso le nuove generazioni (e non solo). Gli effetti di questa lacuna si ripercuotono negativamente sul tessuto sociale, creando disgregazione, allergia e mancanza di propositi costruttivi sotto l’aspetto collettivo ed umanitario.

Il riconoscimento e l’utilizzo appropriato delle proprie emozioni, invece, è precisamente ciò che può riconnettere e ricostituire un menage socio-relazionale adeguato e produttore di importanti innovazioni, negoziazione di significati e rinnovo culturale, che si affermerebbero come valori e processi costitutivi di efficaci forme del vivere sociale.

Il primato, però, come si constata anche nella tradizionale impostazione educativa scolastica, spetta ancora al cosiddetto “mentalismo”, che peraltro riduce l’immensa potenzialità delle espressioni dell’intelligenza, al mero recupero di dati e alla riproduzione degli stessi secondo modalità meccaniche, asettiche, in un contesto che favorisce la ripetizione, l’automatismo, la convergenza e l’individualismo competitivo. Questa cattiva interpretazione dell’intelligenza, come dato misurabile e legato esclusivamente a un parametro monolitico che ne limita le sue numerose e interessanti applicazioni, ha probabilmente addestrato la mente a concepirsi funzionale soltanto se aderisce all’informazione riconosciuta ed accettata, soltanto se si uniforma a ciò che è considerato contemplabile, che non richiede sforzi e soprattutto non interferisce con le coordinate della conoscenza acquisita che non viene mai messa in discussione. Premiare i vantaggi dell’omologazione ha cronicizzato nel tempo una modalità di pensiero convergente, a scapito della creatività e della voglia di “sentire dentro”, di promuovere se stessi su un piano di integralità. Tutte lacune che siamo poi costretti a recuperare da adulti, possibilmente prima che sia troppo tardi.

Imparare il coping efficace consiste proprio nel ri-organizzare le proprie risposte in modo da ottenere il massimo del beneficio riducendone i costi. Un coping efficace è riconoscibile dal momento che il soggetto sente di poter guidare e accompagnare se stesso nelle nuove situazioni, avvertendo fiducia e un sentimento di autoefficacia. Il coping efficace si distingue per il livello di consapevolezza dell’individuo e per la motivazione e l’audacia che lo conducono, alleati al gusto della ricerca, dell’esplorazione, dell’appagamento che ne consegue per aver superato un ostacolo ed aver imparato nuove cose.

Tale processo non matura da sé, in assenza di un preciso e strutturato training che ne educa l’attivazione. Il ruolo del professionista dell’aiuto è dunque fondamentale. Egli, con l’ausilio di mezzi e strumenti opportuni per assolvere a questo delicato e importantissimo compito, che andrà a colmare le mancanze dovute all’assenza di una sana educazione di base, condurrà il soggetto a scoprire quante ricche e meravigliose opportunità di crescita si possono realizzare sviluppando un atteggiamento aperto, disincantato, curioso verso il non conosciuto, cedevole al procacciarsi nuove occasioni per sperimentarsi e mettersi in discussione. La protezione garantita dal counselor, potrà dare modo a ciascun individuo di abbattere il punto più significativo che rappresenta invece un atteggiamento resistente ed ostile al nuovo: l’approccio dogmatico alla vita.

E di certo non si tratta di rovesciare i cardini fondanti della propria impalcatura di base di principi e di valori. La trasformazione che si propone consiste nell’aprirsi alla possibilità di rimodellare i propri punti di vista, di provare a confutare le proprie rigide convinzioni interne, a rivedere le proprie abitudini e confrontarle con nuove ipotesi, a ridimensionare l’assolutismo e l’unilateralità delle proprie affermazioni.

Il linguaggio emozionale rende un ottimo servizio a questa causa, dal momento che legittima l’esistenza degli stati d’animo, ascrivendoli potenzialmente un ruolo e una funzione nella regolazione complessiva di sé. Il dispotismo mentalista non la fa più da padrone, e può dialogare con le emozioni, come proprie preziose alleate, grazie a cui si apre una visione più chiara e completa degli stessi meccanismi mentali e del Sé.

A questo punto, ciascuno può sentirsi libero di emanciparsi rispetto ai vincolanti ed austeri modelli di rigidità dogmatica, e sperimentare i vantaggi di un coping funzionale. La caratteristica di questo, infatti, si differenzia, come già scritto, per via del grado di consapevolezza dell’individuo circa l’uso, la scelta e la direzione delle strategie adottate.

Nel coping efficace, l’individuo ha imparato ad assumere la responsabilità delle proprie decisioni, e ne saggia consapevolmente gli effetti. Si è spostato in pratica dall’automazione all’autonomia, ed ora i suoi modelli di risposta sono maggiormente completi di assertività e di coraggio delle proprie azioni.

È necessario stabilire questo distinguo, dal momento in cui esistono anche risposte adattive che, se da una parte si manifestano comunque con il fine di preservare i nostri equilibri, d’altra parte non sono abbastanza utili nel garantire una crescita nel complesso delle competenze e delle qualità umane.

Si tratta, ad esempio, di quelle modalità che possono essere riconosciute rispettivamente in internalizzanti ed esternalizzanti, che descrivono cioè come le prime si riferiscano all’assunzione di comportamenti centrati principalmente verso se stessi, in direzione di una chiusura dall’esterno, mentre al contrario, le seconde sono associate a un avvicinamento verso l’oggetto in questione.

Un comportamento di fuga e di allontanamento dal fenomeno problemico, si palesa certamente come una tendenza internalizzante, condotta mediante strategie di evitamento, in gran parte acquisite dalle esperienze primarie e dunque per buona parte sfuggenti alla consapevolezza individuale. Mediante l’atto a tipologia internalizzante, il soggetto tende al ritiro, ad ignorare le difficoltà, ad arroccarsi in una dimensione privata e autoreferenziale, allentando i legami sociali o squalificandoli con non rari atteggiamenti di sufficienza o di preconcetta oppositività. Si tratta cioè di utilizzare il ripiego solitario come strategia a cui affidarsi nel tentativo di generarsi un nuovo equilibrio personale, decontaminato dalla portata delle strutture problemiche.

Sono invece decisamente esternalizzanti, comportamenti come l’attacco connotato da aggressività e l’apertura al contatto interpersonale a titolo di mero sfogo delle tempeste emotive. L’evidente disfunzionalità del primo risiede nel non poter crearsi margini flessibili di relazionalità efficace, quindi togliendo ai rapporti umani l’incredibile potere di rigenerazione e di collaborazione costruttiva verso nuove e più agevoli forme dell’agire. Anche la seconda modalità è caratterizzata da una disfunzionalità dovuta ad usare gli altri come contenitori passivi delle proprie frustrazioni, senza avviare una vera relazione basata sull’ascolto reciproco e la ricerca di soluzioni comuni. In questa circostanza, il soggetto interessato rovescia le proprie lagne sui malcapitati, trovando un temporaneo sollievo circa le proprie preoccupazioni, ma senza in realtà affrontarle costruttivamente o discettarle con un senso e una volontà di accurata analisi.

Non a caso, la forma di un coping funzionale, prevede un equilibrio combinato fra queste due tendenze, in quanto viene osservata la natura del problema in relazione ai propri fattori personali, dando la possibilità a ciascuno di comprendere il legame che esiste sempre fra il modello problemico e le strutture interne della persona che lo percepisce. Si tratta cioè di effettuare un lavoro di centratura su di sé e di intravederne risorse, limiti e potenzialità, in relazione alle vicissitudini che si stanno affrontando.

In questo modo, l’attenzione viene orientata su di sé e sul problema come due entità dialoganti, dal cui confronto si può sviluppare un piano solutorio che permette una visione il più possibile oggettiva, che previene cioè il rischio che siano gli altri a dover fare le spese di comportamenti inappropriati e contaminati da una soggettività che distorce la rappresentazione della situazione.

Indicare e formare alle strategie di coping funzionale, rimane dunque una priorità nel lavoro del counselor, affinché aiuti la persona ad esprimere se stessa nell’autonomia decisionale, nell’autenticità e nella pienezza del proprio cosciente e responsabile libero arbitrio.

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