DA OGGI SMETTO… MA DOMANI RIPRENDERO’. Come cambiare ma anche no

Inviato da Nuccio Salis

nuova strada

Ci inoltriamo in un luogo sperduto, magari un bosco fitto, privo di punti di riferimento per organizzare un minimo di orientamento per poter intraprendere una qualche direzione. Saremmo dunque costretti a procedere per tentoni. A un certo punto, però, un percorso già solcato sembra indicare una pista su cui ci si può incamminare. Si tratta della classica traccia formata dall’andirivieni delle persone che hanno seguito tutte il medesimo punto. Segno di camminate e passeggiate, nonché di una presenza che testimonia finalmente una strada. Forse ciò riesce a tranquillizzare, e senza farsi troppe domande, magari ci si impegna ad avviarsi, con la sensazione che quella debba essere per forza la strada giusta, visto che in tanti hanno deciso di percorrerla.

 

Inizia così anche il processo di consolidamento di un’abitudine. Le analogie con l’esempio letterario di cui sopra, sono per davvero curiose. Si cercano sicurezze, e c’è sempre un qualche residuo di paura: paura di agire da sé e per sé, paura di sbagliare, paura di perdersi, paura di non essere all’altezza, di percorrere vie non ancora esplorate, paura di sperimentare, paura di violare consuetudini e dunque di non essere accettati. Allinearsi al solco già delineato in precedenza fa sentire di stare dalla parte di ciò che è giusto fare, pensare, sentire, e ciò consente l’immediatezza dell’azione, con una economia cognitiva percepita come vantaggiosa. Una sorta di istinto interno, infatti, comanda di trovare al più presto rifugio, riparo e protezione, di guadagnarsi la salvezza evitando spreco di forze e di fatiche, da preservare per sopravvivere. È rimanendo su questo livello arcaico del comportamento, infatti, che l’umano conoscerà la fatica di modificare nella sua vita una serie di abitudini, nonostante una o più di queste possano essere avvertite malsane dallo stesso soggetto.

L’abitudine interiorizzata genera comportamenti ripetuti e schemi d’azione automatici, offrendo così il vantaggio di semplificarci l’esistenza, rimanendo nella dimensione del prevedibile. La rottura di tali modelli e l’introduzione di elementi di novità, da sempre provoca una situazione destabilizzante nella persona umana. Ogni trasformazione infatti implica una revisione di sé e della propria visione di mondo, quindi la stimolazione di un nuovo approccio alla quotidianità. Purtroppo, rispetto a questo fenomeno, sembra molto più diffusa la paura di modificarsi che non l’entusiasmo di procedere per un’epoca più avvincente della propria storia e della propria identità.

Questo è decisamente il punto critico più discusso e più significativo nell’ambito dell’aiuto alla persona.

Ciò avviene anche perché l’abitudine è apparentemente più comoda dell’impegno al cambiamento: essa infatti genera una situazione agevole e confortante, che soddisfa il ricercato e diffuso bisogno di controllo. Esenta inoltre da responsabilità avvertite come troppo impegnative e riduce la fatica del ri-pensarsi dentro una inedita cornice di valori, assumendo nel concreto azioni quotidiane percepite come non raggiungibili.  In pratica, la fuoriuscita da un’abitudine e l’accesso ad un cammino di cambiamento, coinvolge in toto la persona, che dovrà ri-pianificare ciò che prima era comodo, gestibile ed ammetteva giustificazioni.

Questa fatica, molto spesso, coincide molto più nel pensare e programmare un eventuale cambiamento, dal momento che possono mancare le strategie per poterlo organizzare, e dunque si immagina una meta troppo lontana ed irraggiungibile in confronto alle risorse che si pensa di possedere. Si parte cioè, il più delle volte, da una sensazione di scoraggiamento che fa già sentire di essere falliti in partenza. Si crede, nella maniera più classica, di non potercela fare, e ci si da per vinti prima ancora di compiere almeno il primo passo. Questo è il punto: “almeno il primo passo”.

Dal momento che un individuo ammette almeno a se stesso l’esigenza di una svolta nel panorama delle proprie abitudini, egli va aiutato almeno a fare quel timido e piccolo passo che notoriamente può rappresentare comunque l’inizio di un grande percorso di rinascita.

Come poter aiutare ad assottigliare queste ostiche resistenze che si attivano puntualmente ad ogni potenziale cambio di rotta?

Si è parlato di fatica nell’immaginare rinnovati scenari di vita, quindi di conseguente rinuncia nell’organizzare il percorso concreto per sviluppare il cambiamento. Tale fatica è proporzionata a quanto il soggetto sta immaginando nel livello delle conseguenze connesse al rischio, alla perdita, agli svantaggi, e soprattutto a quanto dovrà investire in termini psicologici per poter guidare se stesso verso un passaggio esistenziale di trasformazione.  Va detto, infatti, che la percezione della fatica nel cambiare, può sviluppare per giunta un comportamento regressivo, come naturale propensione consolatoria verso ciò che già si conosce o nell’attaccamento a oggetti transazionali. In questa dimensione, il soggetto recupera forme non mature legate alla ricerca della sicurezza, e potrebbe creare uno stallo, da cui poi diviene difficile trainare fuori.

Un primo punto, allora, potrebbe consistere nel non chiedersi mai troppo, quando si vuole sollecitare la volontà di cambiare, e sollecitarne invece la forza motivazionale, proprio annullando aspettative troppo elevate (sia positive che negative) e puntando l’azione ad un presente immediato, fattibile e costruibile mediante piccoli traguardi quotidiani. È importante ridimensionare il proprio potere all’interno della situazione contingente, con tutti i suoi fattori che rendono concreta e sviluppabile l’azione di cambiamento. Quindi, evitare sia di sottostimarsi che di sovrastimarsi, caricati eccessivamente da una spinta galvanizzante. Occorre conquistare una nuova cornice di esistenza fatta di piccole manovre, per un concatenamento di obiettivi  organizzati secondo una progressione crescente. Ciò permette di sperimentare giorno per giorno la vittoria e la soddisfazione nel raggiungere ciò che ci si propone, anelando alle mete successive, arrivandoci allenati e con una visione di se fondata sulla percezione di valore, e stavolta dimostrabile a se stessi, perché poggia su azioni che hanno dato risultati.

Questo allontana la fatica del pensare e fare troppo, o subito, quando ancora non si è pronti. Procedendo per piccole ma significative battaglie vinte, invece, ci si auto-rinforza, concedendosi la possibilità di sentirsi finalmente abili e capaci, meritevoli dei risultati raggiunti, quindi con maggiore stima di sé ed autoefficacia. Si previene la saturazione e il senso di colpa da insuccesso, poiché ciò condurrebbe invece a una caduta motivazionale e quindi all’interruzione di ogni proposito iniziale.

Tali principi guida, congiunti ad un’efficace complesso di azioni quotidiane, dirette a realizzare i propri auspici in vista del cambiamento, ci restituiscono anche un’immagine di noi maggiormente caratterizzata da elementi di valore e di aspetti positivi, essenziali per poter poi vivere i nuovi atteggiamenti con profonda convinzione,e farne una risorsa vincente per conquistare una grande finalità: essere protagonisti principali del proprio percorso di trasformazione, con l’augurio che ciascuna nuova abitudine interiorizzata sia maggiormente in linea con il proprio vero Sé, e soprattutto che sia salutare e lecita, considerato come sono dure a morire.

È molto importante che l’abitudine costruita secondo il proprio volere corrisponda  ai propri autentici bisogni, che porti inequivocabili vantaggi per promuovere la nostra crescita, e che possa insegnarci ad essere sempre pronti a nuovi viaggi dell’Io, liberi e capaci scegliere, di pensare, di sentire e di auto-determinarci.

Potrebbero interessarti ...