Counseling e ricerca della felicità


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Parlarne dieci anni fa avrebbe fatto sbellicare dalle risate il mondo scientifico. Si, perchè alcuni tipi di argomenti sarebbero parsi poco seri, troppo frivoli. E magari, ad occuparsene, gli scienziati avrebbero corso il rischio di apparire meno autorevoli di altri più severi colleghi (come i concorrenti dell’IgNobel Prize). Sta di fatto che prima del passaggio di millennio, dentro le università, nessuno avrebbe mai osato parlare di benessere o felicità. Le accademie e le ricerche scientifiche in ambito umanistico sono state per decenni sequestrate dal Comportamentismo prima e dal Cognitivismo dopo: ed erano rivolte a capire quale percorso nel labirinto di cartone avrebbe preso il topino di turno, qualora fosse costretto alla visione di un programma televisivo pomeridiano. In generale, la ricerca scientifica sull’animo umano è un pò come Cenerentola, figliastra della ricerca medica. E siccome la tradizione medica da secoli si rivolge allo studio della malattia, anche la ricerca psicologica doveva fare lo stesso. Ne sono nati interi filoni di studio, anche con innegabile utilità, rivolti all’analisi dettagliata delle sofferenze, dei tormenti e delle pene.

Gli studenti universitari per decenni sono stati indottrinati all’assimilazione di tutte le possibili sfumature delle angosce umane e dei supplizi della mente. Esercizi, osservazioni, indagini e tirocini sono tutti stati (e in verità ancora sono) rivolti al riconoscimento delle afflizioni, tribolazioni e perversioni del pensiero umano. Da mezzo secolo di questi studi è nato il tristemente noto “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali”, conosciuto anche con l'acronimo D.S.M. derivante dall'originario titolo dell'edizione americana “Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders”, che è il sistema nosografico per i disturbi mentali più utilizzato da medici, psichiatri e psicologi di tutto il mondo. Una sorta di bibbia che promette di rivelarti come, quando, quanto e pure il perchè della sofferenza umana. Se avete la sfortuna di andare in un Centro di Salute Mentale, e scorgete il dottore tirare fuori dal cassetto la bibbia – pardon il DSM – cominciate pure a preoccuparvi.

Al di là di ogni ironia, si tratta sicuramente di un progresso, frutto di oltre 60 anni di studi e osservazioni. Ma a fronte di quest’indubbio e positivo sviluppo della ricerca, d’altra parte essa ha avuto anche dei costi elevati. Dice Martin Seligman: “il compito di alleviare gli stati che rendono la vita infelice, ha reso non-prioritario un altro obiettivo: quello di incrementare gli stati che rendono la vita degna di essere vissuta”.

Trascorrere anni chinati a studiare queste enciclopedie che sminuzzano e sviscerano tutte le pieghe della disfunzione, rischia di creare professionisti dell’Incapacità. Questi professionisti vengono sfornati con una grande conoscenza del disagio e – a questo punto – c’è da dire che lo fanno piuttosto bene. Grazie a questo indubitabile progresso, gli psicologi sono in grado di riconoscere decine e decine di psicopatologie e sono anche in grado di trattarle e curarle con un sempre crescente grado di efficacia.
Rimane tuttavia il legittimo dubbio di una scarsa competenza sul benessere, settore inevitabilmente trascurato perchè non sufficientemente degno d’attenzione scientifica. Gli studiosi tradizionali sanno tutto su ciò che fa stare male un individuo, ma non sanno nulla su ciò che lo fa stare bene. Non studiano come potenziare talenti, sviluppare inclinazioni, e in generale, non studiano come essere persone migliori.

La tradizione allo studio del dolore naturalmente non è responsabilità soltanto delle università, ma affonda le sue radici nella cultura religiosa, principalmente cattolica ed ebraica. Sono circa duemila anni che i concetti di “Colpa” e “Peccato” hanno avuto il tempo di penetrare nel nostro codice genetico, attraverso le varie declinazioni di “Trasgressione”, “Punizione”, “Espiazione”, “Male”, “Difetto”, eccetera. Questa radice è quella che fa poi germogliare uno strisciante vittimismo sociale, culturalmente tollerato. La ricerca scientifica quindi, altro non è, che la figlia di una tradizione millenaria alla ricerca del demonio dentro l’uomo, quell’intima corruzione sancita (sin dalla nascita) dal Peccato Originale, e che già tanto aveva ossessionato gli inquisitori del medioevo.

Gli scenari oggi stanno cambiando. C’è ancora molto da fare, ma il termine “Felicità” è stato finalmente sdoganato.
Già oltre 40 anni fa - controcorrente - Rollo May, uno dei pionieri del Counseling, era consapevole che lo studio del disagio era soltanto una parte del lavoro. Altrettanto importante è aiutare nella ricerca di se stessi, aiutare a costruire un adeguato senso di crescita, di evoluzione personale. Dice May: “compito del Counselor è quello di assistere il cliente nella ricerca del suo vero sè, e poi di aiutarlo a trovare il coraggio di essere quel sè”. Ci si rende oggi sempre più conto, che il benessere non è l’assenza di malessere. Ma semmai il risultato di una serie di competenze pro-attive e volitivamente rivolte alla ricerca della felicità. Dice ancora Seligman: “La gente non vuole semplicemente correggere le proprie debolezze. Vuole qualcosa di più: vuole una vita piena di senso, non solo un vano agitarsi finchè si muore”. E per dare senso alla vita di una persona è necessario andare oltre. È necessario saper cogliere, non solo la sofferenza, ma anche la fame di bellezza che agita l’animo umano. Dice Antonio Mercurio “Come miliardi e miliardi di batteri in continua evoluzione col tempo hanno creato prima la Biosfera e poi l’Essere Umano (che prima non c’era e adesso c’è), così miliardi di esseri umani in continua evoluzione, un giorno, tutti insieme, creeranno una forma di vita, fatta di bellezza immortale, che insieme è e insieme diviene.”

Andare oltre, significa anche aiutare a far crescere la spiritualità dell’essere umano, attraverso interventi positivi rivolti ad incrementarne la saggezza, il coraggio, la naturale umanità, la tolleranza, la coralità e la cooperazione. La ricerca della bellezza non è istintiva, ma è una potenzialità di natura trascendente. La felicità, in questo senso, non è uno stato fragile e passeggero, un istante rapido e fuggevole. Ma semmai una sensazione difficile da spiegare a parole, che lentamente conquista maggiore spazio dentro il cuore e che, inspiegabilmente, lentamente finisce per possederlo. Con buona pace della scienza.

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