LA CREATIVITA’ COME QUALITA’ TOTALE. Creatività e personalità

Inviato da Nuccio Salis

Creativity and personality

Tratto dal mio saggio sulla creatività, un capitolo che illustra il legame fra creatività e personalità.

 

Il legame fra la creatività e la personalità ha da sempre affascinato scienziati, filosofi e letterati. Il rapporto fra di esse ha sollevato numerose domande e curiosità. È noto, per esempio, il tema della personalità creativa nel suo rapporto con lo squilibrio mentale; nonché la questione del legame fra il genio e la follia, su cui esistono numerose ed interessanti speculazioni teoriche. Nell’ambito psichiatrico si è cominciato ad indagare su questo argomento verso la fine degli anni Cinquanta ad opera dello psichiatra statunitense Frank Barron.

Tuttavia, prima di introdurre l’approfondimento del tema proposto, sottopongo all’attenzione del lettore il seguente aneddoto, riportato dallo psicanalista austriaco Bruno Bettelheim. Si racconta che un tale, a causa di una gomma bucata, fermò d’urgenza la sua auto in uno spazio aperto recintato di un ospedale psichiatrico. Il tizio scese dall’auto, smontò la gomma bucata per sostituirla con quella di scorta ma, forse a causa della strada un po’ in pendenza, quattro dei cinque bulloni svitati rotolarono fin dentro un tombino. L’uomo cominciò a disperare, a chiedersi come avrebbe potuto raggiungere la prossima stazione di servizio, quando, ad un certo punto, al di là delle sbarre, apparve un signore che gli disse che avrebbe potuto togliere un bullone da ciascuna delle tre ruote integre, e aggiungerli all’unico bullone rimastogli in mano per poter rimontare la ruota di scorta. In questo modo, egli avrebbe tenuto ciascuna gomma integra con un totale di quattro bulloni per ogni ruota, sufficienti a raggiungere almeno la prossima stazione di servizio. Il tale, sorpreso da quell’uomo che gli offrì la soluzione, gli chiese perché mai egli si trovasse all’interno di un ospedale psichiatrico. L’uomo gli rispose: “Perché sono matto, però non sono stupido.”

 

Quale, secondo voi, fra le due persone protagoniste dell’aneddoto può essere considerata più creativa?

Fino agli anni Cinquanta la creatività era considerata un’attitudine, una predisposizione innata, una dote riservata a pochi individui. La sua manifestazione era valutata esclusivamente in riferimento alle espressioni artistiche e al mondo delle idee o delle invenzioni. Tuttavia, durante gli anni Sessanta, la pedagogia sembra aver allargato lo sguardo dall’osservazione dell’atto creativo al soggetto autore dell’atto medesimo. Da allora, infatti, la creatività è considerata un vero e proprio atteggiamento, quindi un’espressione globale della personalità. In particolare, l’oggetto di studio in questione viene inteso come una “connotazionegenerale della personalità, affiorante in ogni trattodella stessa, che conferisce all’individuo la capacità diattuarsi psichicamente in un continuo rinnovamento oltreche di comunicare socialmente i fermenti che lo animano, con stimoli e prodotti innovativi” (Calvi, 1964).

Tale modo di pensare la creatività richiede un’analisi ed un’interpretazione maggiormente approfondita circa le dinamiche del processo creativo, poiché ad esserne direttamente partecipe è l’individuo stesso, produttore dell’atto creativo. Quindi, l’analisi della creatività include anche il mondo del pensiero e dell’immaginario. Comunemente, invece, per ammettere che un atto segua a tutti gli effetti una modalità creativa, permane il bisogno di verificare se quello stesso atto produce infine determinate realtà tangibili di cui si può fruire esteticamente, riconoscendone l’originalità. In altre parole, solo se ci troviamo di fronte a un qualche manufatto od opera artistica siamo propensi a riconoscere la manifestazione di un atto di creatività, e allo stesso tempo ad identificare come creativo colui o colei che ha originato il prodotto.

In questo senso, però, la creatività assume connotazioni squisitamente artigianali, pragmatiche e legate all’industriosità.

Sono sufficienti queste qualità a definire la creatività? oppure la creatività è un’attitudine mentale in grado di coinvolgere in toto la persona creativa? In altri termini, è possibile che la persona creativa manifesti tale dote in tutte le dimensioni della sua personalità? Se la risposta fosse affermativa, la creatività assumerebbe un valore totalizzante per la persona che ne è dotata, ed investirebbe tutte le aree relative alla sfera cognitiva, emozionale, verbale ed espressiva in genere.

A questo punto, il concetto di creatività sembra rimandare al gioco delle scatole cinesi. La complessità del tema in questione si allarga a dismisura. È lecito quindi domandarsi se la persona creativa può possedere un sistema di ragionamento, di rappresentazione della realtà, di giudizio estetico, di giudizio morale, avente una qualità differente rispetto ai canoni del senso comune. Anche in questo caso, se la risposta fosse affermativa, varrebbe la pena approfondire quali siano tali differenze, e quali vissuti esperienziali ed emotivi sviluppa la persona creativa all’interno di una struttura sociale in cui domina uno stile di pensiero convergente congiunto a modalità di espressione omologanti. Dal momento in cui l’atto creativo richiama al nuovo, all’inatteso, al cambiamento. La persona creativa rappresenta tutte queste istanze di rinnovamento e di lateralità del pensiero. Ma a questo punto, la sua stessa qualità di vita e il suo livello di integrazione sociale, possono dipendere dal grado di accettazione del nuovo da parte dei gruppi sociali? In sintesi, il creativo - per via della sua espressività rivoluzionaria e totalizzante, mettendo in discussione le rigide strutture di valore che creano coesione gruppale - rischia di fare la fine del lupo che viene sbranato dai compagni della stessa specie perché ha osato violare le regole del branco? Anche nell’ambito della psichiatria è stata rilevata una sorta di destino ineluttabile della creatività, caratterizzato dall’esito finale dell’esclusione e del rifiuto nei confronti del soggetto creativo da parte della società. Egli, infatti, nel tentativo di interpretare la realtà mediante nuove relazioni e nuovi schemi di pensiero, giungendo a soluzioni innovative dei problemi, incapperebbe nelle tagliole di una società che liquida frettolosamente come non valide ed incomprensibili le ipotesi del pensiero creativo.

Sembra esistere dunque un atteggiamento sociale ambivalente nei confronti dell’espressione creativa. Essa può essere tollerata, finanche apprezzata, a patto che non travalichi o metta in discussione il sistema di ragionamento e di pensiero consolidato dal repertorio esperienziale collettivo. Tale atteggiamento non intravede nella creatività un’istanza di rinnovamento totale dell’esistenza sociale. Anzi la rifiuta, relegando alla creatività uno spazio non disturbante all’interno del quale essa può esprimersi come fenomeno esteticamente gradibile ma non pericoloso per il sistema di convinzioni e di credenze su cui si può orientare dogmaticamente la propria esistenza. Eppure la creatività è propriamente una tendenza all’imperfezione, alla ricerca, alla distruzione del noto e del ripetuto.

In estrema sintesi viene spontaneamente da domandarsi se la creatività fa paura, e se fosse così, per quale motivo? Sotto questo aspetto, la società sembra comportarsi in modo ambivalente. Da una parte, al creativo è riservato un atteggiamento di ossequioso riconoscimento rispetto a ciò che riesce a fare: fiere dell’arte, mostre di pittura, incontri con scrittori ecc. costituiscono ancora luoghi di grande attrazione, in grado di esercitare un notevole fascino estetico. Il creativo che produce tali cose fa la parte di una sorta di “buon selvaggio”, ovvero di un fenotipo portatore di un’identità peculiare che contrasta con quella comune, ma dai tratti che inducono ad un riconoscimento positivo. Egli, in questo caso, riconosciuto nella sua cornice di creativo, in quanto capace di soddisfare certe istanze di infatuazione estetica, potrebbe però essere al tempo stesso percepito come un pericolo sociale dal momento in cui la sua immaginazione ed il carattere distintivo della propria personalità tendono a penetrare nel sistema dei concetti e dei giudizi di realtà collettivamente più diffusi e condivisi. Secondo un classico esempio elenchiamo due file rispettivamente prima di lettere e poi di numeri:

 

A I3 C D E F

12 I3 14 15 16

 

Osservando attentamente entrambe le file si può notare come sia presente in entrambe un simbolo comune: si tratta del numero 13. La differenza è che nella prima fila, il simbolo I3 viene percepito e letto come lettera, nel secondo caso come un numero. Ciò è dovuto al fatto che il contesto nel quale il simbolo è inserito condiziona la percezione complessiva della forma totale. Ciò può aiutare a capire come molte impressioni e valutazioni sulla realtà percepita sono in verità influenzate dalla cornice nella quale sono inserite (framing), che permea, orienta e determina attivamente un giudizio di valore. Con quale sguardo può essere valutato un soggetto creativo? Fino a che punto arriva e si conclude l’ammirazione per l’espressione creativa e comincia invece la paura per una modalità tendente in molti casi a mettere in discussione il sistema generale delle convinzioni socialmente acquisite?

Non è semplice rispondere in modo esaustivo, ma è certo che l’espressione creativa del pensiero e della personalità, nel ribaltare le strutture interiori del sentire e dell’agire comuni, può risultare una modalità incomprensibile e destabilizzante cui, come già accennato, seguono reazioni politiche e sociali di rifiuto o di esclusione. Il creativo può dunque esercitare il suo fascino,ma non se viene guardato negli occhi; non se, attraverso la sua personalità trasudante di creatività pervasiva, egli interferisse col sistema collettivo di giudizio e con la bussola di valori mediante la quale si giustifica la routine dell’esistenza. A questo punto, il soggetto creativo, dal paradigma del “buon selvaggio” transiziona al modello del “cattivo selvaggio”, quindi percepito come alterità in un senso stavolta svalutativo e deviante. Forse quasi nessuno è disposto ad ammettere con tutta coscienza di pensare che la creatività costituisca un pericolo sociale, eppure è sufficiente che un’espressione di sé si manifesti in modo originale e di conseguenza vengono attuate dalla società (sia micro che macro-gruppale) certi meccanismi di esclusione per condurre una personalità creativa in una situazione di out-group, affinché la sua tensione innovativa non rivoluzioni modelli di comportamento e di pensiero noti e quindi sicuri e prevedibili. L’ignoto, il nuovo, l’imprevedibile e il non controllabile contrastano con una generale tendenza al controllo, al dominio, al razionalmente spiegabile; in pratica a tutti quei cascami di una certa società pragmatica e materiale sempre in costante stato di allarme, governata e soggiogata dalla paura. Ciò che emerge con urgenza è la necessità di un cambiamento, l’apertura di una nuova epoca in cui la creatività può vivere il suo pieno risorgimento. Un’epoca in cui la personalità sana non sarà più definita da parametri di netta vicinanza o adesione al modello ideologico-politico e sociale dominante, ma sarà riconosciuta secondo un modello di personalità avente a che fare con l’espressione artistica, una nuova tipologia di soggetto umano per il quale l’immaginario è uno stile di vita.

La dimensione del soggettivo, a questo punto, seppur non misurabile o non riproponibile in termini di verifica o controllo sperimentale, potrà essere ugualmente assunta ad oggetto di interesse scientifico. Sarà soprattutto la psicologia a dover abbandonare definitivamente il determinismo causalistico, per potersi confrontare pienamente con l’ambito della interiorità soggettiva di ciascun individuo. L’approccio, dunque, sarà di tipo fenomenologico, in quanto dovrà essere marcatamente evidenziata l’importanza dei fattori soggettivi nella costruzione della personalità e della rappresentazione della realtà.

In sintesi, la creazione, intesa anche come atto creativo immaginario, non dovrà essere considerata come un innocuo prodotto della fantasia, ma come una delle attività fondamentali del pensiero soggettivo, capaci di accompagnare lo sviluppo del pensiero oggettivo.

Si è visto come, da un approccio squisitamente psicologico, il discorso può abbracciare considerazioni di natura antropologica, sociale, esistenziale. Potrebbe essere sufficiente ciò per ammettere che l’atto creativo si colloca oltre il dato fattuale, oltre la finalità di una soluzione pratica di un problema, per assumere invece il carattere di un processo che determina notevoli implicazioni sotto tutti i fattori costituenti la realtà e la struttura della persona e della personalità.

Se la creatività, come si è ipotizzato, innescherebbe nel soggetto che la possiede una sorta di energia totalizzante, che fa propendere il creativo stesso a manifestarsi interamente nella sua originale soggettività, questa qualità totale, che prende il nome di creatività, costituirebbe una notevole risorsa a favore del processo di individuazione, una spinta verso un immaginario dionisiaco, dove però lo svincolarsi dalla realtà è ridirezionato verso la realtà stessa, poiché il creativo è cosciente del suo tempo e delle sue risorse. Egli, in pratica, meno influenzato da stili sociali omologanti e convergenti, aderirebbe maggiormente ad un percorso di raggiungimento e di espressione della propria autenticità interiore. Tuttavia, questo processo richiede un profondo convincimento e una profonda etica di sé. Nel senso che, l’individuo che assume la propria forma peculiare, può pagare il prezzo dell’incomprensione, dell’isolamento, e forse non tutti sono disposti a guardare il diverso che cova dentro ciascuno di noi. Questa entità diversa, profonda, che si anima dentro noi, nella Atene antica di Socrate veniva dallo stesso denominata daimon, per fare riferimento a una sorta di demone non certo identificato col peccato o con la malignità. Tale entità, invece, può essere considerata una sorta di fanciullo interiore che aspetta di uscire, per esplorare il mondo e ricercare la verità. L’individuo che seguiva il proprio daimon era per quei tempi considerato un saggio.

Attraverso la lente del razionalismo empirico odierno, lo stesso individuo sarebbe attualmente considerato un folle. Eppure tale entità è proprio ciò che spinge all’individuazione, ovvero alla più grande paura che è stata indottrinata all’essere umano: quella di guardarsi dentro e scoprire di non essere l’involucro che lo ricopre. Autorevoli osservatori di questo fenomeno concordano con l’affermare che all’individuo umano non piaccia affrontare il rischio di scoprire chi abita davvero dentro sé. La ragione fondamentale per la quale questo impegno non viene assunto, riguarderebbe la prospettiva di perdere i propri privilegi dovuti all’essere uguali, indistinti ed allineati a ciò che è funzionale all’organizzazione socio-politica generale. Chi parla la voce del padrone è notoriamente avvantaggiato, può diventare benestante, assumere una posizione di rilievo o di prestigio, rilevare incarichi dei quali magari non si è competenti, avvallando percorsi insicuri e accidentati.

Il creativo, però, non dovrebbe avere come finalità ma mediocre, ma egli, piuttosto, spinto da questa speciale forma di adattamento superiore che è per l’appunto la creatività, seguirebbe percorsi di crescita proprio per uscire da uno stato di grigiore dell’anima, indotto soprattutto da una società che ha bisogno di sfruttare e condizionare le scelte e i consumi della collettività. Il creativo genera dentro sé i dubbi, le contraddizioni, guarda senza giudizio la propria natura complessa, salvandosi dall’ipnosi indotta dalle menzogne mediatiche. Egli può intraprendere ciò che viene chiamato anche viaggio metanoico, intendendo in proposito quel movimento interiore dell’individuo dentro se stesso, che ha come fine l’elaborazione complessiva di ogni aspetto osservato e scoperto, nonché la nascita di un nuovo progetto esistenziale in cui la disobbedienza (che non è da intendersi come violazione della legge o delle regole civili), diventa la condizione per produrre il risveglio e la consapevolezza circa la propria realtà individua e sociale.

Questo discorso può essere ammesso in modo pertinente, perché il piacere della scoperta di sé può essere a mio avviso affrontato con coraggio soltanto se si esplicita la creatività, soltanto se si assumono valori umani profondi, secondo i quali la dignità e l’unicità umana vengono prima di tutto. La complessità delle tematiche sollecitate dalla creatività ne ampliano l’orizzonte concettuale. Per tale ragione si è ritenuto fosse necessario tentare di fare ordine a fronte dei svariati possibili punti di vista secondo cui è possibile focalizzare l’interesse su tale oggetto in questione. Perciò, il tema conduttore del libro è la proposta di pensare alla creativitàcome a una qualità totale della persona, cheinveste ogni nucleo del Sé ed ogni forma esterioreed interiore dell’espressione soggettiva.

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