Fasi del lavoro con il sogno contro la morte emotiva.


sogni

Il lavoro col sogno può essere molto utile coi clienti che sembrano “emotivamente morti”; essi sembra che abbiano abbandonato quasi completamente il loro vero sé oltre ad avere poca vitalità, che può essere ritrovata nei sogni. Perls dichiara di avere conferme continue di queste sue affermazioni, quando il lavoro è fatto con clienti molto passivi e che continuamente dicono di non sentire nulla.[1]

Partendo dal presupposto che nella Gestalt ogni elemento del sogno rappresenta una parte rinnegata della personalità, consegue la necessità di fare interpretare tutte le parti al cliente. In queste proiezioni da sperimentare e recuperare, tutti i frammenti del sogno sono inclusi (cose, persone, luoghi, ecc.), anche se tra essi non sembra esserci nessun legame.

 

Perls ritiene che l’attenzione vada subito rivolta alle cose che il cliente dice prima di tutto. Egli evidenzia che di solito il cliente racconta una scena, es. di essere in una piazza, in un teatro, in montagna, ecc.; già questa affermazione per Perls è una chiave di lettura importante per comprendere come la persona considera il suo stare al mondo.

Altro punto fondamentale è capire fin dall’inizio come la persona si esprime, se è in contatto con qualcuno. Qualora questo non accade, il compito del counselor è di invitarlo ad enfatizzare ed esagerare il suo comportamento di chiusura al mondo, che Perls definisce “autistico”.[2]

Il momento che segue consiste nell’accompagnarlo ad entrare in modo più profondo in sé stesso, per contattare il suo centro, chiedendogli dove vorrebbe stare, se nel sogno o nel presente, e come si sente quando torna nel presente abbandonando il sogno.

Baumgardner riporta come esempio il lavoro fatto da Perls con il cliente Sam.[3]Nel fare la spola, nel’oscillare tra la dimensione interiore e il gruppo col quale lavorava, Sam giunge alla consapevolezza di sentire che il respiro si blocca quando vede e incontra gente, riuscendo a trovare una relazione tra il suo corpo e il rapporto con gli altri.

E’ in questo periodo che a Sam giunge in sogno un demone che minaccia i suoi genitali e che conquista la sua attenzione, nel momento in cui inizia a permettersi la consapevolezza delle sue sensazioni. Il cliente preferisce rapportarsi ad un prodotto del suo immaginario piuttosto che confrontarsi coi suoi sentimenti, in quanto per lui la vita sembra essere una lotta coi draghi.

Per agevolare lo sviluppo emotivo dei clienti è funzionale fare drammatizzare ed esasperare i diversi ruoli del sogno, non solo raccontarlo; il rischio per il counselor è quello di farsi prendere e guidare dai processi intellettuali del cliente.

Di solito nel racconto non si conserva la vivacità e intensità del sogno e, per questo motivo, per avvalersi del sogno nel modo migliore, occorre procedere in modo sistematico e osservare quello che succede durante il racconto del sogno del cliente.

Altro passo è chiedere al cliente di rivivere il sogno, con totale coinvolgimento, rimanendo nel presente; l’obiettivo è di portare di nuovo il sogno in vita.

Tutto questo si ottiene con una semplice astuzia grammaticale, chiedendo al cliente di raccontare il sogno al presente, di parlare di ciò che accade nel sogno come se si stesse svolgendo in quel momento, di descrivere l’esperienza come se coincidesse con la realtà presente. Si può fare dichiarare al cliente, dopo ogni affermazione, la frase: “Questa è la mia esistenza”. Tutto ciò, per rafforzare questo procedimento di lavoro, in modo che il cliente possa abbinare l’esperienza del sogno e i suoi messaggi con il copione della sua vita;[4]ad esempio: “Sto guidando l’auto, e questa è la mia esistenza”, “Sento di soffocare, e questa è la mia esistenza”, “Sono in una scuola, e questa è la mia esistenza”.

Questo tipo di lavoro permette di portare la nostra attenzione a ciò che per noi è difficile accettare: l’idea che il sogno è solo una piccola vicenda che però contiene l’essenza del copione della nostra vita.

Il terzo passo consiste nel fare del sogno una storia o una rappresentazione teatrale, nella quale il cliente è regista, attore, scenografo; così, può aver luogo il “dramma della reidentificazione”.[5]Il compito del cliente sarà quello di parlare (in prima persona, per agevolare l’identificazione e al presente, per ridare vita alla storia) e di recitare tutti gli elementi del sogno. Il cliente andrà incoraggiato a progredire attraverso incontri e dialoghi tra le diverse parti del sogno e per fargli creare altri copioni.

Attraverso questo lavoro, il counselor potrà osservare come il cliente “emotivamente morto” si sblocchi, diventa più vitale grazie alla reintegrazione di quelle polarità che sono state frazionate, vincolate e frammentate nel processo di socializzazione.

La bellezza e la ricchezza di questa esperienza consiste nello scoprire che, anche se lo si coglie come spento e privo di energia, c’è ancora una vita autentica nel cliente: essa è il sogno. Per Perls c’è ancora un serbatoio di vita nei sogni della persona che ne sembra totalmente priva. Qualcosa nel sogno è ancora in vita, c’è ancora speranza: può essere paura, rabbia, una lotta, un conflitto, il tentativo estremo di ottenere qualcosa, ecc.

La scintilla scocca e si illumina quando il cliente riesce a identificarsi in questa vita; allora qualcosa accade, si accende e il cliente si trasforma, ritorna al presente. Gradualmente, da solo, inizia ad identificarsi con le parti disperse della sua personalità che è stata tenuta insieme in modo compatto e artificioso dall’espressione “io”.

Questa esperienza è la dimostrazione che “quando qualcosa si accende, la dinamica, l’élan vital, la forza vitale che è stata negata e proiettata sugli altri, comincia a fluire verso il proprio centro e il paziente ricomincia ad essere se stesso”,[6]nella scoperta di sentirsi più vivo ad ogni recupero ed assimilazione di parti sempre meno divise.

 

 

 


[1]Fritz Perls, Patricia Baumgardner, Legacy from Fritz & Gifts from lake Cowichan, Palo Alto, California, Science and Behavior Book  Inc., 1975 (tr. it. L’eredità di Perls . Doni dal lago Cowichan, Roma, Casa Editrice Astrolabio – Ubaldini, 1983, p. 74).

[2]Ivi, p. 75.

[3]Ibidem.

[4]Ivi, p. 105.

[5]Ibidem.

[6]Ivi, p. 106. 

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