AFFRONTARE O ARRETRARE? Legame fra temperamento e motivazione alle sfide esistenziali

Inviato da Nuccio Salis

madre teresa di calcutta

“La vita è una sfida, affrontala”, declamava Madre Teresa di Calcutta fra i versi del suo famoso Inno alla vita. Il tema della sfida evoca molto spesso significati differenti, spesso anche contrapposti, specie se si lega questo termine all’ambivalenza del rapporto fra pericolo e opportunità.

Non c’è progresso che non sia avvenuto se non contravvenendo in qualche modo alle condizioni ordinarie stabilite arbitrariamente dalla collettività. Così come non c’è evoluzione che non sia avvenuta soltanto a seguito di un inarrestabile impulso alla ricerca, al gusto della sperimentazione e della novità. In tutto questo percorso, naturalmente, non si è dispensati dal pericolo eventualmente insito nell’affrontare la sfida come proposito di cambiamento. Gli obiettivi previsti e gli effetti risultanti, legati alle scelte implicate nella sfida, delineano un mutamento personale che richiede adattamento, flessibilità, capacità di contestualizzarsi presso scenari e territori che impongono ulteriori sviluppi e nuove coordinate esistenziali.

Molto spesso, l’azzardo percepito dalla sfida è proprio valutato nei termini di un cambiamento misurato come non auspicabile o ingestibile. La radicalizzazione di un tale atteggiamento, sembra spingere un soggetto ad una paralisi dell’iniziativa in merito a scelte da intraprendere e progetti da realizzare. Di contro, abbracciare ogni ipotesi rivoluzionaria indotta da una sfida, potrebbe invece condurre ciascuno a sminuire incautamente il peso delle trasformazioni a cui vincola la sfida medesima.

 

Dunque cosa scegliere, fra una sterile immobilità, protettiva e rassicurante, ed un orientamento sprezzante, forse ingenuo, in merito alle contingenze offerte dalla sfida?

Sono in gioco, a questo punto, due filosofie nettamente antitetiche l’una all’altra. La prima quella del sedentario, che ricerca soprattutto stabilità e si sente tutelato dall’abitudine; l’altra quella dell’avventuriero, sempre pronto a farsi sedurre proprio da ciò che è incerto, ignoto e rischioso. Due strutture di personalità distinte diametralmente, aderenti a due sistemi di valori e di linguaggi inconciliabili. L’apollineo e il dionisiaco, per dirla con Nietzsche. Il primo diffida perfino dall’idea di potersi buttare col paracadute, il secondo si lancerebbe anche senza. Dovendo ricorrere a categorizzazioni cliniche, potremo distinguere il primo come tendenzialmente nevrotico, ed il secondo come propenso alla psicosi.

Ma è possibile che il tema della sfida debba per forza imporre la scelta fra due sistemi di valori e di atteggiamenti che, se analizzati uno per volta, risulterebbero entrambi inefficaci?

La problematizzazione del tema sfida, davvero è limitata fra scegliere se è meglio non buttarsi mai o buttarsi senza paracadute? Se si affronta il quesito con la ricorrente ottica dualistica, l’orizzonte dialettico certamente si contrae. In alternativa, si potrebbe infatti concepire l’idea di potersi lanciare col paracadute? Potrebbe essere un ragionevole accordo fra due istanze legate da una posizione vicendevole di contrarietà. Ciò implicherebbe, in termini pragmatici, di avvalersi di un atteggiamento che contempla la possibilità di raccogliere una sfida, concependo il rischio come assunzione di responsabilità, e il pericolo come circostanza eventuale o prevedibile che darebbe l’occasione di misurare le proprie competenze di fronteggiamento. In questo modo, la sfiducia cede il passo alla motivazione ad agire, l’imprudenza si arrende alla pianificazione, la flessibilità la vince sulla rigidità e sull’anarchia.

Spesso, questo tipo di atteggiamento efficace va costruito, nel senso che la persona potrebbe non averlo affatto maturato da se, specie se sopraffatta da circostanze che hanno favorito la struttura dominante di una personalità o eccessivamente rinunciataria ed evitante nei confronti della sfida, o d’altra parte massimamente disinibita verso ogni ipotesi di rischio.

Sembra propriamente esistere un importante legame fra la struttura della personalità e l’orientamento nella gestione delle sfide esistenziali, siano esse naturali, cioè incontrate come tappe nel cammino della crescita fisiologica, o in certo modo prescritte dalla fonte culturale di riferimento. Questo accostamento è dovuto ad una personale riflessione scaturita durante lo studio della teoria psicobiologica della personalità, sviluppata agli inizi degli anni Novanta dallo psichiatra Robert Cloninger. Egli infatti ricostruisce sapientemente il modello gerarchico della struttura epigenetica della personalità, individuando giustamente la combinazione fra i caratteri stabili ed i fattori dinamici della stessa.

La permanenza dei tratti temperamentali, forniti dall’ereditarietà neurobiologica, sembra spiegare in gran parte le differenze già osservabili durante il periodo neonatale, prendendo come focus l’area del comportamento di un bambino durante l’attaccamento, in riferimento alla qualità espressiva degli atti esplorativi di ricerca attiva e quelli di ritorno alla base sicura rappresentata dal caregiver adulto. Fin dai primi mesi di vita, infatti, è possibile rilevare differenze regolative in merito a ritmi, cicli, arousal implicati nell’attivazione propriocettiva, sensoria e motoria nella vita di un neonato. Ciò che risulta maggiormente influente, per la direzione di tutte le attività vitali in questa fase dello sviluppo, è soprattutto il temperamento, che può essere concepito come una sorta di primo filtro grezzo attraverso cui il bambino molto piccolo recepisce e significa ciò che accade dentro e al di fuori di lui. Ovviamente, ogni prima impressione di base farà successivamente i conti con la complessità degli stimoli ambientali, che andranno via via ad assumere una sempre maggiore pregnanza sotto l’aspetto culturale ed educativo. Ciò equivale a dire che un bambino che per sua natura è personalmente propenso ad una intensa e prolungata esperienza sensoria e manipolatoria, nel caso riceva apprezzamento ed incoraggiamento per questo, potrà accrescere la qualità in questione, in caso in cui riceva sollecitazioni di tipo inibitorio o non ragionevolmente limitante, la risultante comportamentale sarà una combinazione fra elemento personale e componente ambientale, per via della quale è chiamato ad una mediazione. Ciò fa supporre, soprattutto se si ricordano le ricerche sui modelli secondari dell’attaccamento, che anche nell’adulto, le determinanti temperamentali continuino ad esercitare una notevole interferenza sulle decisioni e gli orientamenti progettuali. Sono infatti gli elementi costituenti del temperamento a delineare la prima impronta di identità psicologica, in un individuo, in forza della loro qualità fondante e nucleare della struttura personologica di ciascuno. Le componenti del temperamento individuate da Cloninger sono 3:

_ Ricerca di novità: il gusto avvincente per una sfida è decisamente sostenuto dalla tensione verso ciò che è inedito. E’ tale inclinazione a rappresentare il grande motore motivazionale dell’assunzione del rischio. L’efficacia di tale propensione risiede nel suo controllo, affinché non trascenda in una voragine di imprudenza e sottovalutazione di rischi non gestibili.

_ Evitamento del pericolo: la direzione contraria alla precedente è contrassegnata dal movimento di arretramento di fronte alla possibilità della sfida. Tale atteggiamento è funzionale fino a che il soggetto si dispensa da un rischio oggettivamente inadatto alle proprie pretese e oltre ogni possibilità di fronteggiamento. Diventa invece inadeguato quando il soggetto si irrigidisce, organizzando l’azione di fuga ed affrancandosi così dalle potenzialità apprenditive insite dall’esperienza.

_ Dipendenza dalla gratificazione: si tratta della diffusa e comunissima caratteristica che riguarda la possibilità di reiterare o inibire la propria azione, a seconda che gli effetti ivi scaturiti siano percepiti in un ordine di piacevolezza o di frustrazione. Nel primo caso, infatti, il comportamento tenderebbe a ripetersi, nel secondo ad estinguersi. Questo tratto, che in vero rappresenta già un modello della relazione individuo/ambiente, è comunque presente in una misura del tutto soggettiva e preformata dalla genetica individua.

La combinazione di queste caratteristiche produrrebbe così un primo prototipo di personalità che definisce il profilo di un individuo, in merito all’orientamento e alle modalità attraverso cui egli decide di ricercare od affrontare sfide. Un’occasione imperdibile per chi, deciso a percorrere un cammino formativo di crescita e potenziamento delle proprie risorse personali, voglia avere elementi ulteriori di comprensione e rafforzamento di se.

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